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“Il Mistero di Penelope”: la recensione del libro fantasy di Claire North


Il Mistero di Penelope - recensione - Claire North

La mia recensione de “Il Mistero di Penelope” non può che iniziare sollevando uno sconcertante interrogativo: com’è possibile che il retelling di Claire North – senz’altro uno dei migliori libri fantasy del 2022 – sia passato così clamorosamente inosservato?

Ovvio, sto facendo riferimento alla versione del testo in lingua originale inglese (“Ithaca”, edizione Orbit).

In realtà, non ho la minima idea di quale possa essere la qualità della traduzione proposta in Italia dalla Newton Compton.

Certo è che “Il Mistero di Penelope” sembra essere sfuggito ai radar della maggior parte dei lettori forti internazionali.

Una lacuna che non mi aspettavo e che, francamente, tende a lasciarmi abbastanza sconcertata.

Voglio dire: tutto quel polverone sollevato in onore di “Circe” di Madeline Millar, e neanche una parola su un retelling ispirato alla mitologia greca che dimostra di riuscire DAVVERO a combinare la tematica del femminismo a una trama impeccabile, a uno stile inconfondibile e a una galleria di personaggi tragicamente tormentati?

Il tutto, senza mai rischiare di scadere nel sentimentale, nei patemi di dubbio gusto o nella banalità supponente di un’insegnante pronta a salire in cattedra?

Sinceramente, Amico Lettore…

Altro che “Mistero di Penelope”!

Stavolta, è proprio questo paradosso, che non sono in grado di spiegarmi…


La trama

La guerra di Troia è finita da anni, ma il re Odisseo non è mai tornato.

Ormai, nella verdeggiante isola di Itaca, gli unici uomini rimasti sono quelli troppo attempati, menomati o immaturi per combattere.

La regina Penelope veglia sulla sua terra al fianco di un consiglio di vegliardi che non si fanno scrupolo a mostrare quanto poco tengano alla sua opinione; dopotutto, dal punto di vista di un antico greco, una donna non vale molto più delle singole parti del suo corpo, e il cervello non fa sicuramente parte dei suoi asset principali.

Eppure, Penelope si muove nell’ombra e intesse in silenzio la sua tela, cercando di proteggere la sua isola dalle mire dei pretendenti che non aspettano altro che di arraffare il potere… a costo di una brutale guerra civile, che potrebbe tranquillamente causare la rovina di Itaca e di tutti coloro che la abitano.

L’ostinata perseveranza della regina, il suo dolore di moglie e di madre incompresa, attira infine l’attenzione di Hera, sferzante dea dei reietti e degli emarginati.

Inizia così una dettagliata rivisitazione – insaporita dall’impareggiabile e caustica voce narrante della Regina degli Dei – di alcuni fra i più celebri episodi mitologici che la cultura occidentale ci abbia tramandato: dalla morte di Agamennone alla cattura di Clittemnestra, passando per l’inganno dell’arazzo mai compiuto e per la ribellione di Telemaco



“Il Mistero di Penelope”: la recensione

Se hai già letto qualcosa di Claire North (autrice di piccole/grandi gemme quali “Le Prime Quindici Vite di Harry August” e “The Sudden Appareance of Hope”), probabilmente hai già una certa familiarità con la forza travolgente della sua personalità.

La voce autoriale della North è un dissacrante ciclone di modernità e consapevolezza storica. Il suo è un tipo di prosa che esige la massima attenzione e, in genere, riesce a ottenerla senza troppo sforzo.

Non si può dire che la North scriva romanzi per signore beneducate, no. O per gente con gli occhi foderati di prosciutto.

La sua penna è una lama; la sua immaginazione, una tela dai bordi spigolosi e affilati. Perfino (e anzi, forse, soprattutto…) nei momenti in cui i suoi mordaci giochi di parole caustici iniziano a intrecciarsi a squisiti slanci di virtuosismo lirico.

La prima idea geniale, quella che basta a differenziare “Il Mistero di Penelope” dalla recente inondazione di retelling simili?

La scelta di affidare la narrazione al personaggio più brillante e sottovalutato di tutti: Hera, la dea che una caterva di secoli di cultura patriarcale hanno cercato di sminuire e relegare ai margini.


La voce della Dea

Hera, quella stessa “signora del focolare” che le correnti classiche hanno deciso di interpretare nel senso più misogino e banale del termine. Ai posteri sia consegnata, dunque, l’effige di una matrona invidiosa, orgogliosa, altera, vendicativa e pronta a subissare di meschinità chiunque (leggi: le donne più giovani e belle di lei) commetta l’errore di ferire la sua vanità.

Che è un po’ – se ci fai caso – il modo in cui l’ipocrita narratore (maschio) medio tende a descrivere le proprie consorti, figlie, sorelle, madri eccetera eccetera.

Bè…

Non la nostra Hera, la Hera dipinta nel libro di Claire North!

Nelle vene di questa dea scorre l’acciaio più puro, combinato a uno spaventoso (e giustificato) quantitativo di veleno.

E, alla fine, sarà proprio lei a riunire intorno a sé una buona parte del resto del pantheon greco femminile (tratteggiato in modo altrettanto provocatorio e interessante) e a spargere i semi di una ribellione divina già sul punto di sobbollire…


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“Come Uccidono le Brave Ragazze”: la recensione del libro mistery di Holly Jackson


come uccidono le brave ragazze recensione - holly jackson

La recensione di “Come Uccidono le Brave Ragazze” arriva, puntuale come un orologio, a ricordarci che il mondo degli YA ha ancora tantissimo da offrire!

E a dimostrare che perfino il lettore più adulto e smaliziato può leggere un classico “whodunnit” in versione teenager e divertirsi come un pazzo.. a patto che la storia risulti orchestrata a dovere.

Come in questo caso.

In effetti, il primo volume della trilogia crime di Holly Jackson offre una vera e propria girandola di colpi di scena, personaggi ambigui e complicazioni al cardiopalma.

L’elemento che colpisce più di tutti, però?

La costruzione dell’eroina di “Come Uccidono le Brave Ragazze”.

Un meraviglioso personaggio femminile, capace di aggiudicarsi in breve tempo il cuore di qualsiasi lettore.

Il suo nome è Pippa Fitz-Amobi: la briosa, tenace detective dilattante che è un po’ Hermione Granger, un po’ Temperance Brennan, un po’ ognuno di noi


La trama

A Fairview, tutti conoscono la storia.

Andie Bell era bella e popolare, e poi è stata assassinata dal suo fidanzato. Un ragazzo di nome Sal Singh che, subito dopo il crimine, si è tolto la vita in preda a un attacco di sensi di colpi.

Per anni, è stato l’unico argomento di cui chiunque, in città, riuscisse a parlare. E, cinque anni più tardi, Pip riesce ancora a intravedere i segni delle cicatrici che quell’infame tragedia ha lasciato sul volto della sua comunità.

Eppure, Pip non riesce a scuotersi di dosso la sensazione che quel giorno sia accaduto qualcosa di più.

Da bambina, Pip conosceva Sal, e lo reputava un ragazzo gentile, buono e affidabile, incapace di far del male perfino a una mosca.

Com’è possibile, allora, che Sal fosse anche un efferato assassino?

Adesso che è giunta all’ultimo anno di liceo, Pip decide di riesaminare il caso e sfruttare le sue indagini per compilare il progetto scolastico speciale che le permetterà, con ogni probabilità, di diplomarsi in grande stile.

All’inizio, il suo obiettivo è semplicemente quello di gettare un seme di dubbio sulla sequenza dei fatti che gli inquirenti hanno ricostruito in relazione all’omicidio di Andy.

Ma, a poco a poco, una scia di segreti comincia a venire alla luce; verità insospettabili, che potrebbero riuscire a scagionare davvero il giovane accusato.

Sal avrebbe potuto essere innocente

Pip non fa in tempo a pensare questa frase, che la linea che divide il passato dal presente inizia piano piano a sfumare.

Perché qualcuno, a Fairview, farebbe qualsiasi cosa per evitare che Pip continui a ficcanasare a caccia di risposte… e, adesso, la sua stessa vita potrebbe essere in pericolo.


“Come Uccidono le Brave Ragazze”: la recensione

Come dicevo, uno degli aspetti del romanzo di Holly Jackson che ho apprezzato di più ha a che fare con il rinfrancante atteggiamento di Pip nei confronti di tutta l’indagine: vale a dire, la tendenza a reagire con un rassicurante, energico, condivisibilissimo «No Bullshit» al cospetto di ogni tipica “distrazione” da storia young adult.

Se in questi giorni ti è capitato di fare un’occhiata alla serie tv “The Midnight Club” su Netflix, probabilmente avrai già intuito di cosa sto parlando. Ritmo annacquato, giovani amori tragici pronti a sbocciare a casaccio, una sgradevole tendenza a sminuire la complessità delle personalità individuali, per cercare di dar lustro a questa o quell’altra tematica altamente educativa…

In poche parole, un autentico strazio!

Sono lieta di farti sapere che, nel thriller della Jackson, non troverai all’opera nessuno di questi limiti.

Al contrario: l’intreccio di “Come Uccidono le Brave Ragazze” è un meccanismo serratissimo, implacabile e pronto a fagocitare il lettore.

Per come la vedo io, i vari espedienti della Jackson funzionano soprattutto perché:

a) L’autrice riesce a pianificare la sua trama alla perfezione, riadattando tutti gli elementi tipici del genere secondo una ricetta altamente personale e, soprattutto, centrando in pieno tutti i momenti-chiave della narrazione (il “midpoint” di questo romanzo, ad esempio, è una vera e propria forza della natura, ragazzi!)

b) In nessun momento della narrazione, le (poche) concessioni al romance, o quelle (leggermente più numerose) legate al sottogenere “interno” del romanzo (la storia di formazione), arrivano a distogliere l’attenzione del lettore da ciò che conta davvero: vale a dire, nell’ottica di un romanzo giallo, l’enigma, l’intrigo, le false piste, la componente psicologica.


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“Vespertine”: la recensione del libro fantasy di Margaret Rogerson


vespertine recensione - libro margaret rogerson

Iniziamo la recensione di “Vespertine”, nuovo romanzo fantasy YA di Margaret Rogerson, partendo da una piccola conferma alle tue impressioni più immediate: ebbene , Amico Lettore… effettivamente, questo libro contiene una bella sintesi di elementi tratti dal film “Venom: La Furia di Carnage”, “Sabriel” di Garth Nix  e “L’Orso e l’Usignolo” di Katherine Arden!

Una storia a tinte action dalla trama abbastanza caotica e improvvisata, che riesce tuttavia a riscattarsi in virtù della sua freschezza e dalle sue spassose parentesi umoristiche


La trama

Artemisia si sta addestrando per diventare una Sorella Grigia, una suora che ha il compito di purificare i corpi dei deceduti affinché le loro anime abbiano la possibilità di passare oltre.

In caso contrario, quelle anime si solleverebbero e si trasformerebbero in spiriti pronti a infestare il mondo dei viventi.

A causa di un traumatico passato, Artemisia è di indole schiva e solitaria; in effetti, la ragazza preferirebbe di gran lunga trascorrere il resto della sua vita a occuparsi dei morti, piuttosto che essere costretta a trattare con la gente che ancora respira!

Ma quando il suo convento viene attaccato da un drappello di soldati posseduti, Artemisia difende le altre suore risvegliando l’antico spirito che dimora in una sacra reliquia. Si tratta di un “revenant”, un’entità malevola e bizzarra che continua a minacciare di impossessarsi del suo corpo, nell’istante stesso in cui la ragazza commetterà l’errore di abbassare la guardia.

Usare i formidabili poteri della creatura richiederà un dazio spaventoso sul corpo e sulla mente di Artemisia, cominciando ben presto a consumarla dall’interno.

Ma la morte è giunta a Loraille, e ormai soltanto una “Vespertine” – una sacerdotessa addestrata per imbracciare il potere di una sacra reliquia – potrebbe avere il potere di fermare il massacro.

Tuttavia, poiché l’arcana conoscenza alla base della magia delle Vespertine è andata perduta nel corso dei secoli, Artemisia non avrà altra scelta: dovrà rivolgersi all’unica autorità sul campo rimasta in circolazione.

Vale a dire, il revenant stesso.

Così, mentre svela un sinistro mistero a base di santi, segreti e magia oscura, a poco a poco Artemisia scopre che affrontare questo male nascosto potrebbe richiedere da parte sua un aperto tradimento nei confronti di tutto ciò che conosce…

Sempre ammesso, certo, che non sia il revenant a tradirla per primo.



“Vespertine”: la recensione

“Vespertine” è il primo romanzo di una nuova serie fantasy.

Il punto è che quasi non lo diresti, leggendo il romanzo di Margaret Rogerson: non tanto perché sarebbe facile, in fondo, considerare la storia come autoconclusiva, quanto per il fatto che, almeno per il momento, non sembra che la trama stia andando da qualche parte.

In effetti, mi è capitato di leggere su Tumblr che la stessa autrice non ha la più pallida idea di quanti volumi conterrà in totale la serie: sarà una duologia? Una trilogia? Altro? La Rogerson al momento non lo sa e, a quanto pare, la stessa cosa vale per il suo pubblico e per il suo editore.

In realtà, “Vespertine” mi ha garantito diverse ore di lettura spensierata. È un libro fantasy per ragazzi dal taglio molto “old school”, se riesci a immaginarlo: il che vuol dire che combattimenti, battaglie, inseguimenti ed effetti speciali la fanno da padrone in ogni momento, e che le uniche tematiche ammesse sono quelle tipiche di ogni storia di formazione.

L’intreccio, dal canto suo, è estremamente semplice, e tutti i personaggi secondari, in qualche modo, sembrano intenti a danzare sulla delicata linea di confine che separa il regno degli archetipi da quello degli stereotipi.

Tuttavia, bisogna anche dire che la dinamica fra Artemisia e il suo “revenant” (irriverente, buffo e sboccato: un perfetto prototipo di “spalla” Marvel!) funziona e coinvolge a meraviglia, regalando al lettore una tonnellata di siparietti comici e dialoghi spassosi.

Non solo: posso assicurarti che il loro legame di “riluttante condivisione/amicizia con riserva/bizzarra simbiosi” riserva più di una sorpresa e riesce a sfiorare corde anche piuttosto emozionali, infondendo nella trama quella specifica componente di originalità che basta a rendere la lettura del libro della Rogerson un’esperienza così fresca e piacevole

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“Nona the Ninth”: la recensione del libro fantasy di Tamsyn Muir


nona the ninth recensione - tamsyn muir - gideon 3

La recensione di “Nona the Ninth” arriva sul blog dopo una settimana di latitanza da questi schermi. Per amor di cronaca, dal mio punto di vista si è trattato di sette giorni di malori, febbre alta ed emicranie spaventose.

Ma, se non altro, il tempo trascorso a letto mi ha dato l’opportunità di riflettere a fondo sul nuovo romanzo di Tamsyn Muir, terzo volume della rivoluzionaria saga “The Locked Tomb”.

Perciò, dopo tanto ponderare, e persino a prescindere dal viscerale pugno emozionale che questo libro è in grado di sferrare, adesso posso finalmente confermarlo in via ufficiale: “Nona the Ninth” è uno dei migliori libri fantasy del 2022, se non il migliore in assoluto…


La trama

Nona ama la sua vita. Anche se, tecnicamente parlando, la sua vita è cominciata soltanto sei mesi fa.

La sua città è sotto assedio. Una gigantesca sfera di luce azzurra minaccia l’orizzonte. E, quel che è peggio, a quanto pare i necromanti delle Nove Case sono sul punto di tornare.

Eppure, nulla di tutto questo riesce a scalfire la tranquilla serenità domestica di Nona: i giorni di scuola con la sua “gang” di amici squinternati, le sue nuotatine notturne, le passeggiate con il cagnolino Noodle, le serate di giochi e lezioni con i suoi tutori speciali (Camilla, Pyrrha e Palamede)…

Almeno, fino a quando le navi dell’Imperatore Immortale non arrivano cingere d’assedio la città, costringendo le forze ribelli del Sangue dell’Eden a imbastire una contromossa. Un piano che potrebbe anche – a sua insaputa – coinvolgere Nona.

Perché Nona potrebbe anche sembrare una ragazzina come le altre. Eppure, sei mesi fa, la nostra eroina si è svegliata nel corpo di una perfetta sconosciuta e adesso sa che, al di là di ogni dubbio, verrà il giorno in cui sarà costretta a restituire ciò che ha preso.

Nona ama la sua vita e le persone che ne fanno parte. Se potesse scegliere, non li lascerebbe andare mai e poi mai.

Ma nulla di buono dura per sempre.

E così, ogni notte, Nona sogna una donna con un teschio dipinto sul viso



“Nona the Ninth”: la recensione

Prima di cominciare, un piccolo avvertimento: non è possibile scrivere una recensione di “Nona the Ninth” senza includere qualche microscopico spoiler inerente ai precedenti capitoli della saga, “Gideon the Ninth” e “Harrow the Ninth”.

Ovviamente, sarà un articolo totalmente spoiler-free dal punto di vista del terzo volume; perciò, se sei in pari con la pubblicazione italiana, leggi pure il resto del post senza temere alcun male.

Prima di tutto, i punti fondamentali.

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“La Collezionista di Anime”: la recensione del libro di Kylie Lee Baker


la collezionista di anime recensione - kylie lee baker

È possibile scrivere una recensione de “La Collezionista di Anime”, romanzo fantasy di Kylie Lee Baker, senza affrontare lo spinoso argomento delle traduzioni targate Fanucci?

Ho paura di no.

Perché l’italiano sgangherato e improbabile che caratterizza l’80% del catalogo recente della nota casa editrice romana – incluso questo titolo – sta cominciando a diventare un problema. Non è l’unico motivo che mi impedisce di consigliare ai fan del genere la lettura de “La Collezionista di Anime”, sia chiaro.

Ma è comunque la ragione che mi spinge a dire: «Se volete leggerlo, acquistate l’edizione in lingua originale». Anche se l’oggettiva bellezza della copertina italiana basta a tingere questo consiglio di una lieve sfumatura dolceamara…


La trama

Londra, 1890. Ren Scarborough è per metà Mietitrice, per metà Shinigami. In ogni caso, la sostanza non cambia: raccogliere le anime dei defunti ha sempre fatto parte del suo destino.

Ren è cresciuta a Londra, la città di suo padre. Ma l’unico che sembri avere a cuore il suo destino è il fratellastro, Naven: dal punto di vista di tutti gli altri Mietitori londinesi, infatti, Ren non è altro che una meticcia, un’incapace e una piantagrane, non necessariamente in quest’ordine.

Tant’è che maltrattare Ren è diventato, per molti dei suoi “colleghi” Mietitori, una specie di passatempo del cuore.

Tuttavia, un giorno alcuni di loro commettono l’errore fatale di tirare un po’ troppo la corda; senza volerlo, Ren ricorre quindi ai suoi poteri di Shinagami per fermare le percosse.

Da quel momento in avanti, è come se qualcuno avesse dipinto un bersaglio scarlatto sulla sua schiena.

Ren deve lasciare Londra, e in fretta.

L’unica destinazione possibile? Il Giappone, ovviamente; la terra di sua madre e degli altri Shinigami, l’unico posto al mondo in cui Ren è convinta di potersi liberare di paura e pregiudizi.

Tuttavia, non appena si presenta al cospetto della famigerata Dea della Morte giapponese, la ragazza capisce di aver preso un brutto granchio: di fatto, se vorrà ottenere un posto nel suggestivo e inquietante aldilà nipponico, dovrà guadagnarselo.

Versando sangue; suo e degli altri, ma soprattutto altrui.

E sacrificando anime… quelle degli altri, ma soprattutto la sua.


“La Collezionista di Anime”: la recensione

Sotto alcuni punti di vista, “La Collezionista di Anime” è il libro più noioso e ridondante che mi sia capitato di leggere quest’anno.

Descrizioni statiche e personaggi folcloristici di pochissimo (o nessuno) spessore appesantiscono la prosa di Kylie Lee Baker, una zavorra che minaccia di affondare la trama in più di un’occasione.

Le numerose scene d’azione, blande e strutturate in modo tale da riuscire a esercitare un impatto molto limitato (perché la posta in gioco è sempre troppo bassa o troppo condizionata dalla prospettiva avvelenata di Ren), si avvicendano a un ritmo che può essere decritto come “vertiginoso” nella migliore delle ipotesi, e “dissennato” in tutte le altre.

La trama è un pasticcio, quasi dall’inizio alla fine. Il classico modello del Viaggio dell’Eroe, interpretato nel suo senso più letterale, ma eseguito in modo goffo e alquanto rapsodico.

Come premessa di un plot da videogioco, probabilmente l’idea delle tre prove da assegnare a Ren non sarebbe stata malvagia. Ma ritengo che dovrebbe esistere un limite al numero di volte in cui un personaggio può continuare a risolvere i suoi conflitti usando sempre lo stesso trucchetto (toh, qualcuno per caso ha detto “orologio magico”?!).

Per non parlare della spropositata quantità di dialoghi generici, inutili e infantili che minacciano continuamente di sminuire la storia…


Antieroina, o… inumana?

Perché è sicuramente vero che i tre protagonisti de “La Collezionista di Anime” sembrano decisi a battibeccare come massaie per nessuno scopo al mondo, tranne quello di rivelare al mondo la loro scarsa profondità emozionale

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“My Best Friend’s Exorcism”: la recensione del libro horror di Grady Hendrix


my best friend's exorcism recensione - grady hendrix

In America, i lettori appassionati di horror sanno che “My Best Friend’s Exorcism” di Grady Hendrix è un imperdibile classico moderno del genere.

La più divertente, folle, epica, commovente commedia dark sugli esorcismi che sia mai stata scritta!

Ne avevo sentito parlare spesso, ma, per un motivo o per un altro, mi ero sempre ritrovata a rimandare il momento della lettura. Almeno fino a quando non saputo del suo omonimo adattamento cinematografico, e dell’ imminente sbarco della pellicola sul servizio streaming Amazon Prime Video.

È stato allora che ho capito: era finalmente arrivato il momento di recuperare il romanzo.

E alla buon’ora, ragazzi!

La verità?

Non sapevo cosa mi stavo perdendo…


La trama

È il 1988.

Abby e Gretchen hanno appena cominciato il secondo anno di liceo. Sono migliori amiche sin dai tempi delle elementari, abituate a fare insieme qualsiasi cosa e ad essere l’una il punto di riferimento dell’altra.

Ma una sera, durante un festino finito male, Gretchen si perde nella foresta e rimane dispersa per una notte intera.

Quando torna indietro, l’amica di Abby sembra… diversa. Strana. Irritabile. Imprevedibile.

E, presto, una serie di sinistri incidenti comincia a verificarsi ovunque Gretchen si avvicini.

Abby comincia a indagare, ma l’unica risposta sensata ai suoi tormenti sembra essere quella più inverosimile.

Gretchen non è più se stessa. Gretchen vuole fare del male alla gente. Gretchen è un’altra persona.

Gretchen è… posseduta dal diavolo?!


“My Best Friend’s Exorcism”: la recensione

Chi è convinto che l’amore romantico sia l’unico degno di essere celebrato, l’unico in grado di dare un senso a questa nostra tetra, strana e grigia vita…

Bè, diciamoci la verità: non ha davvero capito una cippa di come funzionano le cose, dico bene?

“My Best Friend’s Exorcism” racconta una delle più belle storie d’amore di cui abbia mai letto.

Solo che:

a) il libro di Grady Hendrix è un horror e, come tale, in grado di farti accapponare la pelle nei momenti più impensati;

b) le protagoniste, Abby e Gretchen, non sono innamorate, nel senso romantico e “fisico” del termine. Sono amiche del cuore. Anime gemelle. Semplicemente la persona più importante, l’una nella vita dell’altra.

Almeno fino a quando non arriva Satana a metterci lo zampino.

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“The Daughter of Doctor Moreau”: la recensione del libro gotico di Silvia Moreno-Garcia


the daughter of doctor moreau recensione - silvia moreno garcia

Sul blog non poteva mancare la recensione di “The Daughter of Doctor Moreau”, il retelling firmato Silvia Moreno-Garcia di uno dei più intramontabili classici della fantascienza di H. G Wells.

Un libro a cui i fan di “Mexican Gothic” non hanno alcuna possibilità di resistere, dal momento che ripropone le stesse atmosfere “calde” e passionali, le medesime tematiche, gli stessi personaggi ambigui e tormentati del popolare bestseller edito in Italia dalla Oscar Vault.

Fra parentesi, non è necessario leggere il romanzo originale di Wells per riuscire ad apprezzare l’opera “collaterale” di Silvia Moreno-Garcia… ma, un paio di giorni fa, vi ho fornito 5 ottime ragioni per leggere “L’Isola del Dottor Moreau“: per cui, mi auguro di avervi convinto a prendere almeno in considerazione l’idea di recuperare questo grande libro! 🙂


La trama

Carlota Moreau: una giovane donna cresciuta in una magione isolata e circondata da vegetazione lussureggiante, al riparo dai conflitti e dalle dilanianti lotte interne che lacerano la penisola dello Yucatán. L’unica figlia di un ricercatore che potrebbe anche essere un genio… ma che molti considerano semplicemente pazzo.

Montgomery Laughton: un malinconico sorvegliante al servizio del famigerato dottor Moreau. Sulle sue spalle grava il peso di un passato tragico, che il giovane si sforza caparbiamente di affogare nell’alcol. Un emarginato, molto lontano dalla natia Inghilterra, assunto per assistere il dottore nei suoi esprimenti, finanziati dalla ricca e potente famiglia Lizaldes.

Gli ibridi: il frutto del lavoro di Moreau. Creature deformi, o comunque affette da gravi patologie, destinate a ubbidire ciecamente al loro padrone. E a rimanere nell’ombra. Perché sono umani soltanto a metà, e sanno benissimo che il mondo non sarebbe mai disposto a perdonare la loro diversità.

Tutti questi personaggi vivono in un mondo perfettamente bilanciato, fatto di stasi, verità sepolte e obiezioni ingoiate. Almeno fino a quando Eduardo Lizalde, l’affascinante e incosciente figlio del mecenate del dottore, non fa il suo trionfale ingresso in scena.

Eduardo, senza saperlo, innesca una reazione a catena dalle conseguenze molto pericolose.

Perché il dottor Moreau ha dei segreti, Carlota ha delle domande e, nel soffocante calore della giungla, passioni letali potrebbero essere sul punto di sbocciare.


“The Daughter of Doctor Moreau”: la recensione

“L’Isola del Dottor Moreau” raccontava una strepitosa storia d’avventura e d’azione, in grado di introdurre una tematica scottante per l’età moderna, quanto per quella contemporanea: il complesso rapporto fra etica e scienza.

C’è da dire che l’argomento ricorre anche fra le pagine di “The Daughter of Doctor Moreau”. Tuttavia, come i fan dell’autrice probabilmente si aspetteranno, in questo caso Silvia Moreno-Garcia preferisce concentrare l’attenzione soprattutto sui conflitti interiori dei personaggi e sulle morbose dinamiche che regolano le interazioni fra i singoli abitanti della penisola.

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“Fiore di Cadavere”: la recensione del libro thriller di Anne Mette Hancock


fiore di cadavere recensione - anne mette hancock

La mia recensione di “Fiore di Cadavere” si apre su una nota di lieve sconcerto: in effetti, il mio livello di gradimento nei confronti dell’atteso thriller di Anne Mette Hancock è stato così basso, da trasformarmi immediatamente nella riluttante portatrice di una “very impopular opinion”!

A livello di intreccio e di personaggi, l’ho trovato un romanzo asettico, banale e deliberatamente manipolatorio.

Peraltro, secondo me, il livello di qualità si aggira, più o meno, intorno a quello di un qualsiasi episodio dello show “Law&Order: Special Victims Unit”.

Con una notevole differenza…

In termini di umanità, credibilità ed empatia, il personaggio di Heloise Kaldan – giovane giornalista investigativa nata dalla penna di Anne Mette Hancock – non ha nessuna speranza di reggere il confronto con la mitica detective Olivia Benson della serie tv!

Urge una piccola precisazione, però: amo il genere crime, ma non sono mai stata una grandissima fan del thriller nordico.

E “Fiore di Cadavere” è un libro che tende sicuramente a seguire il copione di autori come Stieg Larsson o Jo Nesbø


La trama

La giornalista danese Heloise Kaldan ha l’impressione di vivere in un incubo.

Una delle sue fonti è stata beccata a mentire e, da un momento all’altro, lei potrebbe perdere il lavoro.

Come se non bastasse, Heloise riceve la prima di una lunga serie di missive dal contenuto piuttosto criptico… e quanto mai disturbante!

L’autrice delle lettere è una latitante in fuga, una certa Anna Kiel, sul cui capo grava un’accusa di omicidio.

Dal giorno in cui una videocamera di sicurezza ha registrato la sua immagine, inquietante e grondante sangue, sul sito del brutale assassinio di un giovane avvocato, Anna non si è più fatta vedere né sentire.

Le autorità ritengono che abbia lasciato il Paese, almeno fino a quando il detective Erik Scháfer non riesce a individuare una pista che potrebbero collegare Anna al reporter che, ai tempi dell’omicidio, seguì il suo caso per conto dello stesso giornale per cui lavora adesso Heloise.

Pochi giorni dopo, il cronista in questione viene trovato morto nel suo appartamento.

Possibile che Anna Kiel abbia colpito di nuovo? O a piede libero c’è più di un assassino?

Mentre indaga sulla nuova catena di eventi, Scháfer non può fare a meno di chiedersi… perché tutti gli indizi sembrano puntare in direzione di Heloise Kaldan?

E che cosa vuole Anna da lei?


“Fiore di Cadavere”: la recensione

A mio avviso, la sinossi del thriller di Anne Mette Hancock promette un livello di tensione che il plot non si rivela assolutamente in grado di sostenere.

Certo, il mistero che ruota attorno alla figura di Anna è piuttosto intrigante…

Ma siamo seri: alla resa dei conti, non è difficile risolvere l’enigma che circonda la sua vita!

Anche perché, dal punto di vista del lettore, nessuna delle “false piste” predisposte dall’autrice si dimostra credibile, e la caratterizzazione dei personaggi secondari non sembra mai inoltrarsi oltre il mero livello superficiale.

In realtà, “Fiore di Cadavere” è un libro piuttosto “diretto”, che rifiuta ogni forma di sottigliezza e cerca piuttosto di assestare a chi legge un paio di vigorosi colpi sotto la cintura, al diavolo i sottotesti e qualsiasi forma di ambiguità morale!

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“Lightlark”: la recensione del libro fantasy di Alex Aster


lightlark recensione - alex aster - libro fantasy

La mia recensione di “Lightlark” non può che iniziare con un piccolo disclaimer: ho deciso di leggere il chiacchieratissimo romanzo YA fantasy di Alex Aster soltanto dopo l’esplosione di polemiche e gli episodi di review bombing avvenuti ai danni dell’autrice nel corso delle ultime settimane.

Se devo essere sincera, all’inizio la trama di “Lightlark” mi ispirava soltanto fino a un certo punto. Ma sono una persona curiosa per natura e, alla fine, le millemila proteste scandalizzate da parte del piccolo esercito di fan internazionali della Aster sono riuscite ad accendere in me una scintilla di interesse.

Bè, suppongo che, alla resa dei conti, tutto questo polverone sia riuscito a giocare a vantaggio della mia esperienza di lettura! All’inizio, infatti, le mie aspettative nei confronti di questo titolo si attestavano intorno a livelli oscenamente bassi.

Eppure, vuoi sapere un segreto?

“Lightlark” non è affatto il libro fantasy per ragazzi più detestabile, pompato e illeggibile dell’anno.

È soltanto il più anacronistico, tradizionale e superato modello di romanzo YA che un appassionato del genere potrebbe ritrovarsi a leggere nel 2022….


La trama

Ogni 100 anni, le nebbie che avvolgono Lightlark si diradano e l’isola si prepara a ospitare il Centennale, un gioco mortale che prevede la partecipazione dei sovrani dei sei regni.

L’invito è una convocazione – una chiamata ad abbracciare vittoria e rovina, coppe di champagne e litri di sangue.

Il Centennale è anche l’evento che offre ai monarchi un’ultima possibilità di spezzare le terribili maledizioni che continuano a piagare i loro regni da secoli.

Il problema è che ciascuno di questi governanti ha qualcosa da nascondere. E che ogni maledizione si rivela maligna e insidiosa nei modi più insospettati.

Nel regno di Isla Crown, ad esempio, le persone sono obbligate a consumare cuori umani per sopravvivere. Inoltre, chiunque riceva l’amore di uno Wilding può aspettarsi di finire assassinato nel giro di poco tempo.

Per questo motivo, il popolo di Isla viene temuto e disprezzato dal resto del mondo.

Adesso, la loro unica speranza risiede nella loro giovane sovrana, considerata da molti forestieri alla stregua di una tentatrice, una seduttrice, e una villain in attesa di sbocciare.

Soltanto se Isla vincerà il Centennale, la maledizione verrà infranta, e gli Wilding saranno finalmente liberi di tornare a una parvenza di normalità.

Ma, affinché la profezia di salvezza si avveri, uno degli altri sovrani dovrà morire.

E, per sopravvivere, Isla dovrà imparare a mentire, barare e tradire… anche quando interverrà l’amore, nella maniera più inaspettata, a complicare tutto.



“Lightlark”: la recensione

Il libro di Alex Aster è un mix fra la trilogia di “Hunger Games” di Suzanne Collins e il bestseller “Tenebre e Ossa” di Leigh Bardugo.

Individuare le fonti di ispirazione per questo romanzo si rivela un gioco da ragazzi; soprattutto dal punto di vista della struttura, dei personaggi e del romance, se non da quello delle tematiche e dell’ambientazione.

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“Locklands”: la recensione del libro fantasy di Robert Jackson Bennett


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Prima di iniziare a scrivere la recensione di “Locklands”, ho avuto bisogno di un po’ di tempo per riprendere fiato. Credimi quando ti dico che il finale di questa trilogia è assolutamente pazzesco… Al pari di tutta la saga di Robert Jackson Bennett, ovviamente.

Un puro concentrato di azioni rocambolesche, heist al cardiopalma e personaggi pronti a ottenere un bel certificato di residenza all’interno del tuo cuore.

La Mondadori sta per portare a compimento la pubblicazione della serie. Per scoprire quando uscirà “Locklands”, non ti resta che scrollare l’articolo e sbirciare qualche paragrafo più in basso.


La trama

In passato, Sancia, Berenice e Clef hanno già fronteggiato molte crisi. Ogni singola volta, le probabilità sembravano completamente contro di loro. Ogni singola volta, sono riusciti a trionfare.

Stavolta, però, i nostri eroi stanno per imbarcarsi in una guerra che sanno di non poter vincere.

Perché, ormai, non si tratta più di derubare baroni corrotti o sconfiggere uno ierofante immortale.

L’entità che sta cercando di schiacciarli è dotata di un’intelligenza che si è già diffusa attraverso il globo. Una creatura a metà strada fra scienza e magia, in grado di usare il potere della scrittura non soltanto per controllare gli oggetti – come hanno sempre fatto Sancia, Ber, Orso e gli altri – ma anche le menti umane.

Per combatterla, i nostri eroi hanno utilizzato la tecnologia sviluppata a Foundryside e accettato di trasformare se stessi e i propri alleati in un’armata – una vera e propria società utopica – diversa da qualsiasi altra cosa l’umanità abbia visto sinora.

Con questa potenza di fuoco alle spalle, San e gli altri sono riusciti a liberare una manciata di “ospiti” dell’intelligenza semi-artificiale contro cui si stanno battendo e perfino a sconfiggere alcuni dei suoi più temibili artefatti, indescrivibili strumenti di pura distruzione.

Eppure, malgrado i loro sforzi, il nemico continua ad avanzare. Implacabile. Inarrestabile.

E così, mentre l’entità si avvicina sempre più al suo vero obiettivo – un’antica porta, da tempo sepolta, in grado di condurre chiunque osi varcare le sue soglie all’interno delle camere nascoste al centro della creazione stessa – Sancia e i suoi compagni intravedono un’ultima opportunità per fermare il loro avversario.

Per coglierla, dovranno prima svelare il segreto che circonda le origini dell’arte della scrittura magica, imbarcarsi in una disperata missione nella roccaforte del potere del loro nemico, e mettere su il più azzardato e pericoloso “colpo” della loro carriera.


“Locklands”: la recensione

Una piccola premessa: ho amato i personaggi, i dialoghi, le ambientazioni e il finale di “Locklands” con tutta la fedeltà di un mastino e il disperato struggimento di una fangirl con la metà dei miei anni!

Ribadirò adesso una cosa che non mi stancherò mai e poi mai di ripetere: se ami autori come Brandon Sanderson, Nicholas Eames e John Gwynne, questa è la saga ideata su misura per te.

Il worldbuilding è esplosivo e il sistema magico a prova di bomba. I dialoghi sono memorabili e la caratterizzazione dei protagonisti riesce a rendere ciascuno di loro un beniamino, soprattutto grazie all’inserzione di tanti piccoli quirk e difetti in grado di enfatizzare la profonda umanità che si nasconde tanto nei personaggi buoni, quanto in quelli “cattivi”.

Con questo terzo volume, ti garantisco che Robert Bennett Jackson è riuscito a superare se stesso. I colpi da scena sono da infarto e il finale chiude il cerchio in maniera (quasi) perfetta.

Malgrado questo, devo confessarti che i primi capitoli del libro sono riusciti a cogliermi alla sprovvista. A… disorientarmi un pochino, per così dire.

Probabilmente perché mi ci è voluto un po’ per accettare la realtà e ammettere che i tempi scanzonati e felici in cui Sancia e gli altri scorrazzavano per le strade di Foundryside, imbrogliando mercanti e ingiuriando nobili, ormai erano definitivamente alle nostre spalle.

Tantissimi cambiamenti da assimilare, insomma, più un inizio in medias res che concede davvero pochissima tregua al lettore.

Soltanto per citare le novità più vistose:

  • In “Locklands”, ritroviamo Sancia, Berenice e Cleff otto anni dopo la fine degli eventi narrati in “Shorefall”. Le nostre eroine risultano considerevolmente invecchiate da allora, e perfino nella vita di Clef hanno iniziato a emergere una serie di sorprendenti cambiamenti …
  • Sancia è ancora la protagonista assoluta della saga. Ma “Locklands” è il libro indiscusso di Berenice e di Cleff. E’ il loro PoV a guidarci attraverso la maggior parte delle scene… E a loro appartengono, difatti, gli archi trasformativi più coinvolgenti e ricchi di dettagli commoventi.
  • L’altissima posta in gioco giustifica un repentino cambio di registro: dai motivetti allegri e faceti del primo e (in parte) anche del secondo volume, ai rintocchi apocalittici e tetri del terzo…
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