Archivi tag: sapphic

“Qualcuno in cui fare il nido”: la recensione del “mostruoso” (ma bellissimo!) libro di John Wiswell


qualcuno in cui fare il nido recensione - fantasy - john wiswell

Se ti è capitato di leggere altre recensioni di “Qualcuno in cui fare il nido”, probabilmente sai già che si tratta di un libro un po’ matto.

E, tanto per mettere in chiaro le cose, non sarò certo io a smentire questa impressione: il romanzo del bravissimo John Wiswell è davvero qualcosa di eccentrico, peculiare, pazzesco… ma si dà il caso che sia anche dolcissimo, intimista, commovente, vagamente creepy e una testimonianza diretta della straordinaria sensibilità del suo autore.

Insomma, uno di quei rari libri che non leggi tanto perché la trama ti ispira, o per via dei tropes e delle vibes accattivanti, quanto perché sospetti che riuscirà a lasciarti in eredità un’emozione profonda e duratura


La trama

Shesheshen è una mutaforma, felice di vivere sotto le sembianze di un globo informe in fondo a un maniero in rovina. Soltanto quando il suo riposo viene interrotto da un gruppo di scortesi cacciatori di mostri, inizia a costruirsi un corpo usando i resti dei suoi pasti passati: una catena di metallo a mo’ di spina dorsale, delle ossa prese in prestito come arti, e una trappola per orsi come bocca extra.

A causa dei cacciatori, Shesheshen rimane gravemente ferita. Per fortuna, a prendersi cura di lei provvede Homily, un’umana dall’indole gentile e il cuore gigantesco. Nel giro di poco tempo, Shesheshen si rende conto che Homily potrebbe diventare una splendida co-genitrice; il suo corpo, caldo e accogliente, il “luogo” ideale in cui deporre le sue uova, in modo tale che i loro piccoli possano nutrirsi di Homily al momento della nascita.

Eppure, non appena le due cominciano ad avvicinarsi, Shesheshen si rende conto che divorare la sua ragazza non è un’opzione accettabile.

Ma proprio nel momento in cui Shesheshen sta per confessare la sua identità, Homily le rivela qualcosa di altrettanto sorprendente: anche lei si è messa a caccia di una creatura mutaforma… la stessa che, a quanto pare, in passato ha lanciato una terribile maledizione sulla sua famiglia e decretato la rovina della sua dinastia. Non è che per caso Shesheshen l’ha vista da qualche parte, vero?

Dal momento che Shesheshen non ha maledetto proprio nessuno, toccherà a lei scoprire perché l’abusiva famiglia di Homily pensa che l’abbia fatto. Ma mentre la caccia va avanti, e si fa sempre più letale, la sfida più grande di tutte rimarrà sempre la stessa: imparare, finalmente, a costruirsi una vita insieme – piuttosto che dentro – la donna che ama.


“Qualcuno in cui fare il nido”: la recensione

L’umanità, vista da fuori: da chi umano non è, non sarà mai e non è mai stato.

Quali sarebbero, secondo te, le prime idiosincrasie dell’umanità a saltare all’occhio?

Impossibile prevedere la risposta, ma qualcosa mi dice che potrebbe assomigliare, in maniera scandalosa, a quella punta di mostruosità che, ormai, facciamo sempre più fatica a ignorare perfino dall’interno.

Da parte di John Wiswell, affidare il punto di vista della narrazione alla “creatura mostruosa” Shesheshen – una sorta di “blob” mutaforma, fagocita-carcasse e dotato di uno spassosissimo black humor – si è rivelata senz’altro la scelta vincente.

Non per niente, la protagonista di questa storia è uno dei personaggi non-umani e sprovvisti di cuore più sensibili e umani di cui io abbia mai letto. E se ti sembra un po’ un ossimoro, bè, probabilmente è perché lo è, ma tu prova a leggere “Qualcuno in cui fare il nido” e capirai perfettamente che cosa intendo!

Ora…

Questa nuova pubblicazione targata Ne/oN Edizioni si avvale di una struttura characters-driven; il che vuol dire che non si tratta di una storia, necessariamente, adatta ai gusti del pubblico in senso più largo. Dopotutto, la storia affronta tematiche difficili e si concentra molto sul concetto di trauma, soprattutto nella sua variante generazionale.

I protagonisti, poi, non sono i tuoi classici, avvenenti e ammiccanti eroi da romantasy in cima alle classifiche di vendita del New York Times; sono, semmai, degli adulti complicati, danneggiati, dolorosamente consapevoli delle imperfezioni dei rapporti che ci legano.

Imperfezioni che, in realtà, rendono le nostre relazioni più forti e più autentiche, proprio perché non esiste strumento di guarigione più potente dell’empatia che risiede alla base di ogni (vera) storia d’amore…


Il cozy fantasy con… la pelliccia e i denti!

“Qualcuno in cui fare il nido” incarna l’essenza di un cozy fantasy, letto però dalla prospettiva di una (specie di) viverna: il che vuol dire che, assieme ai fuochi scoppiettanti, alle pozioni e ai cestini ricchi di vivande, potrai aspettarti di trovare al suo interno orde di corpi sventrati, grumi di frattaglie grigiastre pronte a trasformarsi in companion e accoglienti fonti sotterranee traboccanti di resti umani.

A mo’ di aggiunta, un paio dei miei archetipi da villain preferiti: la Madre Soffocante e due Sorelle Sadiche, accompagnate da un intero esercito di soldatini pusillanimi tutti-da-detestare.

Continua a leggere

“Agatha All Along”: la recensione della serie tv Marvel che ha (finalmente!) riportato le streghe in tv


Agatha all along banner

Da quanto tempo stavo aspettando di pubblicare la recensione di “Agatha All Along”?

Quasi un mese, ormai. Mi sono ufficialmente trasformata nella proverbiale tizia incaricata di chiudere la parata; e c’è da dire che, nel caso specifico in questione, mi rammarico del ritardo addirittura più del solito.

Anche perché ti assicuro che ho seguito fedelmente, ogni settimana, gli episodi rilasciati su Disney+. Anzi… La verità è che mi sono ritrovata a fagocitarli, in preda a un considerevole livello di adorazione!

E… sì, lo so: dal mio punto di vista personale, pare abbastanza chiaro che “Agatha All Along” poteva soltanto ambire diventare LA serie Marvel per antonomasia. La prima e unica pensata, scritta a interpretata avendo la sottoscritta come rappresentante del proprio pubblico ideale, anziché il classico trentenne maschio che va a letto indossando i boxer di Spider-Man e sognando di avere il savoir faire di Iron-Man (ehi, guarda che non sto mica criticando, eh? Sarà dal 2019 che vado a dormire ogni sera indossando la mia t-shirt viola di Captain Marvel…).

Voglio dire, quando gli ingredienti di uno show televisivo sono:

  • una squinternata congrega di streghe;
  • delle irresistibili vibes in stile “Hocus Pocus”;
  • una protagonista moralmente ambigua, trickster e queer;
  • un pizzico di sapphic yearning;
  • Kathryn Hahn + Aubrey Plaza = ♥…

… come diavolo puoi spettarti di piazzare me davanti al televisore e non fare centro?

Eh, già. La cosa che mi ha intrippato di più, però? Una volta tanto, ho potuto condividere il mio entusiasmo per qualcosa di eccentrico, ben fatto e diverso con il resto del grande pubblico…


Di cosa parla “Agatha All Along”?

“Agatha All Along” è uno spin-off della monumentale miniserie “WandaVision“, a sua volta disponibile sulla piattaforma streaming Disney+.

Dopo la partenza di Wanda (Elizabeth Olsen) da Westview, la strega Agatha è rimasta in città, prigioniera di un incantesimo dalle condizioni alquanto peculiari.

Agatha ha perso buona parte della sua magia. Non ha memoria del suo passato e si crogiola in una lunga serie di allucinazioni derivate dalla sua vasta conoscenza di telefilm polizieschi e/o a sfondo procedurale (qualcuno ha detto “Mare of Easttown“, per caso?).

Tuttavia, l’arrivo di una vecchia nemesi e di un misterioso ragazzino la spingeranno a formare una nuova congrega e a imbarcarsi in una lunga e pericolosa quest per la riconquista dei suoi poteri…


Giù, giù, giù per la Strada della Strega…

Prima di “Agatha All Along”, diciamo che non avevo proprio litigato con il MCU. Ma quasi.

Non mi è piaciuto il modo in cui hanno gestito la metà dei progetti post-Endgame. E sì, sto deliberatamente includendo nella lista il simpatico “The Marvels“: perché, anche se l’ho trovato divertente, piacevolmente fresco e genericamente ca**one, sappiamo tutti che il film avrebbe potuto ambire a rappresentare l’inizio di qualcosa di grande, anziché accontentarsi di incarnare una momentanea parentesi di leggerezza e demenzialità.

Miss Marvel“, dal canto suo, rappresenta forse un’iniezione di contagioso ottimismo multiculturale; ma la forzata giovialità di “She-Hulk” risulta deprimente persino per una millenial abituata agli exploit di “Ally McBeal”, mentre “Moon Knight” ha segnato la più importante scoperta contro l’insonnia dai tempi della creazione del Valium.

Di “Quantumania“, onestamente, mi rifiuto anche soltanto di parlare.

Insomma, ultimamente era andata così.

E poi, d’un tratto, dal nulla, eccoti arrivare una piccola bomba del calibro di “Agatha All Along”. Con la sua sceneggiatura brillante e i suoi dialoghi esilaranti, i suoi personaggi larger-than-life e il suo tormentone autunnale degno della Digital Song Chart Record…

Pronta a dimostrare, semmai ce ne fosse stato bisogno, che i troll della domenica sera non hanno mai capito una cippa. Non è del ritorno trionfale di quel bolso di Robert Downey Jr. nei panni del Doctor Doom, che il MCU ha bisogno; né di qualsiasi altro patetico stunt pubblicitario dello stesso tipo.

E’ soltanto di buone storie, che noi fan di vecchia data abbiamo bisogno. Di tematiche universali, scene d’azione che non siano lì soltanto per fare “boom” e “bang” , e di archetipi in grado di risuonare con i nostri con i nostri sogni, le nostre paure e le nostre esperienze.

E, soprattutto, di registi e sceneggiatori che, come Jac Schaeffer e la sua squadra, dimostrino una grande consapevolezza di quelle che sono le aspettative del pubblico e delle varie potenzialità espressive in dotazione ai loro medium…


Chi non risica, non rosica?

Da questo punto di vista, “Agatha All Along” ha rappresentato, forse, una scommessa rischiosa per la Marvel. Lo testimoniano il budget moderato, e la lunga serie di flop che ha preceduto il debutto dei suoi primi episodi.

Eppure, a mio avviso, la scarsità di fondi (relativamente parlando, si capisce…) in realtà ha soltanto giocato a favore dello show, perché ha costretto la showrunner a concentrarsi su ciò che conta davvero: un buon uso delle tecniche di storytelling, un intreccio in grado di stimolare le capacità deduttive dello spettatore, e un cast di attori che sembrano praticamente nati per interpretare i ruoli assegnati loro in questa serie!

Continua a leggere

“Make the Season Bright”: la recensione della rom-com natalizia di Ashley Herring Blake


make the season bright recensione - ashley herring blake

Mi sarei mai decisa a leggere “Make the Season Bright“, se non avessi amato alla follia “Delilah Green Doesn’t Care” e il resto della trilogia ambientata a Bright Falls?

Probabilmente no: se esistono due tropes per cui ho sempre provato scarso interesse, sono il “second chance love” e il “childhood friend romance“… E si dà il caso che questa nuova commedia romantica a sfondo natalizio di Ashley Herring Blake tiri pesantemente in ballo entrambi!

Nel complesso, anche se non l’ho proprio divorato, mi sono comunque ritrovata ad apprezzare “Make the Season Bright” per quello che è. Vale a dire, una tenerissima coccola invernale, un classico feel-good book che non evita di macerare in un pizzico di angst, ma che sa anche concedersi tantissima ironia e una valanga di dialoghi brillanti!

Tutto merito dell’autrice, chiaramente, e della sua straordinaria abilità nel tratteggiare personaggi effervescenti e briosi, per cui si rivela sempre facilissimo tifare…


La trama

Sono passati cinque anni da quando Charlotte Donovan è stata mollata all’altare dalla sua fidanzata e, adesso, la nostra eroina se la cava alla grande! Certo, la sua distante madre continua a non chiamarla mai, ma Charlotte può comunque contare sul resto del suo quartetto d’archi, il Rosalind, e sul fatto che la sua vita a New York si sia trasformata in un sogno a occhi aperti.

Bè… più o meno.

Mentre le vacanze invernali si avvicinano, però, la sua amica e collega Sloane convince Charlotte – e il resto del quartetto – a trascorrere il Natale con lei e la sua famiglia in Colorado: un posto sicuramente più tranquillo e accogliente rispetto a Manhattan, che permetterà al gruppo di esercitarsi col violino in attesa di un importante tournée di concerti.

Ma non appena Charlotte arriva da loro, si rende conto che anche Adele, la sorella di Sloane, ha portato con sé un’amica da Nashville… e quell’amica è proprio Brighton, la sua ex storica!

Tutto quello a cui Brighton Fairbrook ambiva era la possibilità di trascorrere un allegro, colorato Natale – e provare a dimenticarsi, anche soltanto per qualche giorno, che la band che lei stessa ha creato ha appena deciso di sostituirla con un’altra cantante. Invece, è costretta a fingere di non aver mai incontrato Charlotte prima d’ora… cosa che si rivela particolarmente difficile, soprattutto quando la madre di Sloane e Adele sembra così determinata a iscriverle entrambe a una romantica competizione di Natale.

Charlotte e Brighton vengono presto risucchiate in una folle girandola di rocambolesche passeggiate a cavallo e fantasiose lezioni di cucina. Eppure, Charlotte si rifiuta ancora di parlare a Brighton. E, dopo quello che ha fatto, Brighton può a malapena biasimarla.

Dopo qualche giorno, però, alcune cose iniziano a tornare loro in mente. Ricordi. Musica. Il modo in cui erano solite suonare insieme – Brighton alla chitarra, Charlotte con il suo violino – e tutto diventa dolorosamente familiare.

Ma è tutto nel passato, adesso, e niente potrebbe sciogliere il ghiaccio che si è formato intorno ai loro cuori… giusto?


“Make the Season Bright”: la recensione

Abbandonare o essere abbandonati dal proprio partner all’altare: intere decadi di rom-com al cinema (e di sit-com in tv) ci hanno insegnato che non c’è davvero modo di tornare indietro da una cosa del genere, giusto? Insomma, una rottura così esplicita, così irrevocabile, deve per forza essere definitiva, no?

Mmm.

Non necessariamente, in realtà: almeno, è quello che prova a suggerirci il super-ottimista “Make the Season Bright” di Ashley Herring Blake; una commedia dai toni ironici e leggeri, che riesce a sfruttare in pieno le sue deliziose vibes invernali per ricordarci che, a Natale, ogni miracolo è possibile. Basta tenere la mente e il cuore aperti e, soprattutto, ricordarsi che la responsabilità della fine di una storia d’amore non risiede quasi mai esclusivamente sulle spalle della persona che decide di andarsene.

Insomma, il gioco di prospettive messo in gioco dall’autrice si è rivelato moooolto intrigante e devo ammettere che, se all’inizio mi aspettavo di biasimare Brighton e di parteggiare a spada tratta per Charlotte, la Herring Blake è riuscita a sfilarmi il proverbiale tappeto da sotto i piedi: perché, in realtà, mi è accaduto l’esatto contrario!

Cioè, non che non abbia afferrato il punto di vista di Charlotte, o che non sia riuscita a empatizzare con la sua backstory (anzi!). Ma, alla fine, è stato soprattutto il personaggio di Brighton, con la sua apparente solarità, le sue insicurezze nascoste e i suoi profondi rimpianti, a suscitarmi un grande senso di tenerezza e a risucchiarmi all’interno della trama…


Il Natale delle seconde occasioni

A livello di ritmo, “Make the Season Bright” è sicuramente affetto da una serie di problemi. O, forse, è soltanto che detesto i flashback in maniera viscerale, e la natura stessa di una trama del genere presuppone un uso massiccio di questa tecnica.

Continua a leggere

“A Dark and Drowning Tide”: la recensione dell’ammaliante fantasy dark di Allison Saft


a dark and drowning tide recensione - un'oscura marea giunti

La casa editrice Giunti ha portato “A Dark and Drowning Tide” in Italia il 18 settembre 2024. Vale a dire, in perfetta contemporanea con l’uscita del romanzo di Allison Saft in lingua originale; una sorpresa graditissima per tutti noi lettori, peraltro corredata dal suggestivo sottotitolo “Un’Oscura Marea“.

Dal momento che si trattava di una delle mie letture più anticipate dell’anno, ammetto di aver acquistato entrambe le edizioni: sia la “variant” prevista dalla Giunti con gli “spray edges” personalizzabili, sia l’edizione speciale in lingua inglese inclusa nella box di Illumicrate di settembre.

Una piccola follia, insomma, che mi è sicuramente costata qualche soldino in più del previsto… Ma che cosa vuoi farci? Quando si tratta di libri stupendi, capita che perfino il mio ferreo autocontrollo vada a farsi una passeggiata…

La nota super-positiva di questa premessa, nonché punto-cardine di tutta la mia recensione di “A Dark and Drowning Tide”?

Alla fine, ho amato questo atipico e divertentissimo “sapphic fantasy” con tutte le mie forze…


“A Dark and Drowning Tide”: la trama

Lorelei Kaskel, una studiosa di folclore dal temperamento irruento e dall’intelletto ancora più affilato, parte per una spedizione al fianco di sei nobili eccentrici. Il loro obiettivo è una fonte mitologica che, a quanto si dice, potrebbe essere in grado di dare accesso a un potere incommensurabile.

Il novello re spera di imbrigliare questa magia per mettere al sicuro il suo regno dalle mire del battagliero paese confinante di Brunnestaad. Lorelei, invece, è determinata a sfruttare questa opportunità per mettersi alla prova e dare concretezza al suo sogno più sfrenato e impossibile: diventare una naturalista, e guadagnarsi la libertà di viaggiare liberamente attraverso tutte quelle terre di cui, finora, ha potuto soltanto leggere nei libri.

La spedizione parte però nel segno della sventura: la loro leader – nonché amata mentore di Lorelei – viene uccisa nei suoi quartieri a bordo della nave! Sui cinque membri rimanenti della spedizione, ovviamente, aleggia un mare di sospetti. E, dopotutto, ciascuno di loro avrebbe avuto i suoi buoni motivi per compiere il delitto.

L’unica persona della cui innocenza Lorelei non può dubitare è la sua rivale accademica di lunga data, l’insopportabile e dannatamente affascinante Sylvia von Wolff. Così, dopo essersi ritrovata improvvisamente a capo della spedizione, Lorelai dovrà darsi da fare per trovare la fonte, prima che l’assassino colpisca di nuovo…

Ma con tutti i pericoli che si addensano nell’oscurità, Lorelei e Sylvia saranno costrette – malvolentieri – a lavorare insieme per scoprire la verità…


“A Dark and Drowning Tide”: la recensione

Come probabilmente avrai notato, la trama di “A Dark and Drowning Tide” richiama “L’Enciclopedia delle Fate di Emily Wilde” sopra ogni cosa. Ma all’interno del libro c’è spazio anche per qualche eco proveniente da “Uprooted“, “L’Orso e l’Usignolo”, “Gideon la Nona” e “Final Fantasy“: perciò, se hai amato anche uno solo fra tutti questi titoli, ti consiglio di dare al più presto una possibilità al nuovo lavoro di Allison Saft!

“A Dark and Drowning Tide” rappresenta il primo titolo per adulti dell’autrice in questione. E si tratta di un’opera a cui la stessa scrittrice sembra tenere moltissimo:

«Questa è una storia che parla di storie. Di una giovane donna ebrea che crede che il suo fato sia già stato scritto in maniera indelebile – e di una nobildonna determinata a provarle che si sbaglia.

L’ho scritta per quelli che sono stati costretti a farsi spuntare delle spine e che, di conseguenza, sentono di essere persone difficili da amare. Non vedo l’ora che i lettori sprofondino in questo mondo pieno di eccentrica oscurità, creature del folclore e personaggi larger-than-life.»

Allison Saft

Una descrizione che calza a pennello, soprattutto quando ci soffermiamo a pensare alla peculiare caratterizzazione dell’antieroina Lorelei e della stratosferica Sylvie von Wolff, alias la mia nuova “book girlfriend” del momento…


Un’Oscura Marea

Lo confesso in tutta tranquillità: all’inizio, ho fatto seriamente fatica ad affezionarmi a Lorelei. Perché okay il grumpy per sunshine, lode e onore alle protagoniste scorbutiche, antisociali e moralmente ambigue… ma la perenne acidità di stomaco di Lorelei a un certo punto ha rischiato di far salire la gastrite a me, non so se mi spiego!

Dopo un po’, però, credo di aver iniziato a capirla. Il che vuol dire che ho imparato a ignorare lo spropositato numero di «she snapped» a corredo delle sue battute (in luogo del canonico «she said») e a concentrarmi piuttosto sulla forma, la sincerità e, soprattutto, la profondità delle sue ferite interiori.

Continua a leggere

“L’Ultima Ora Tra i Mondi”: Fazi porta in Italia il nuovo libro fantasy di Melissa Caruso


l'ultima ora tra i mondi - melissa caruso - fazi

L’Ultima Ora Tra i Mondi” segnerà il debutto italiano di Melissa Caruso, autrice di saghe fantasy piuttosto apprezzate negli USA (“Swords and Fire“, “Rooks and Ruin“).

Nel primo volume della sua dilogia in arrivo (“The Last Hour Beetween Worlds“) seguiremo un’investigatrice prodigio e la sua acerrima rivale, mentre si imbarcano in uno spericolato viaggio attraverso gli strati della realtà con lo scopo di salvare il mondo.

Per la serie: dopo la Giunti, anche Fazi spalanca le porte al “sapphic fantasy“… E se questa non è una piccola vittoria, amico lettore, io davvero non so come altro chiamarla!


“L’Ultima Ora Tra i Mondi”: la trama

Kembral Thorne sta per trascorrere qualche ora preziosa lontana dal suo bebè appena nato, ed è determinatissima a divertirsi il più possibile al ballo per l’inizio del nuovo anno. Ma quando gli ospiti cominciano a morire come mosche, Kem non ha altra scelta: deve rimettersi al lavoro.

E’ un membro della Gilda dei Segugi, dopotutto, e non può fare a meno di seguire la scia del pericolo. Soprattutto quando c’è di mezzo la sua nemesi personale e professionale, la famigerata ladra Rika Nonesuch.

Al cuore del pandemonio si staglia un misterioso orologio che sembra in grado di scagliare la sala da ballo in uno strano e soprannaturale strato della realtà a ogni suo nuovo rintocco.

E così, mentre il party sprofonda in una serie di versioni sempre più pericolose della loro città, Kem potrà contare soltanto sul suo ingegno – e su Rika – per sbrogliare il mistero, prima che la catastrofe definitiva si sguinzagli sul mondo.


A spasso nel tempo con Kem e Rika

Non posso farci niente, è più forte di me: ogni volta che leggo la trama de “L’Ultima Ora Tra i Mondi” penso allo Spiderverse, a Jessica Drew e alla sua pausa-maternità forzata dall’Olimpo dei supereroi!

Piccole parentesi nerd a parte, ammetto di aver accolto l’annuncio della Fazi con suprema soddisfazione: tanto più che il romanzo di Melissa Caruso arriverà nelle librerie italiane il 19 novembre 2024, addirittura con qualche giorno di anticipo rispetto alla data d’uscita in lingua originale.

E, dal momento che “The Last Hour Between Worlds” sarà anche il libro di novembre 2024 incluso nella box di Illumicrate, penso proprio che replicherò quanto già fatto nel caso di “A Dark and Drowning Tide“: acquisterò entrambe le edizioni, e che possano i miei scaffali strabordanti avere pietà della mia anima!


Badass e mamma: nessuna contraddizione!

Come accennavo poco fa, “L’Ultima Ora Tra i Mondi” sarà il primo volume di una nuova dilogia chiamata “Echo Archives“.

Ma, in realtà, Melissa Caruso è un’autrice che ha già all’attivo una mezza dozzina di pubblicazioni. Il titolo del suo primo romanzo, in assoluto, è “The Tethered Mage“: un fantasy epico uscito nel 2017 per la Orbit e ambientato in un mondo ricco di magia, conflitti fra nazioni e macchinazioni politiche.

Rispetto alle sue opere precedenti, “L’Ultima Ora Tra i Mondi” avrà, a detta della stessa Caruso, un taglio molto più rocambolesco e “cinematografico”.

Continua a leggere

“Lucy Undying”: la recensione del retelling gotico di Kiersten White


lucy undying recensione - kiersten white

Lucy Undying” è il retelling gotico di Kiersten White che recupera il famoso personaggio di Lucy Wensterna dal “Dracula” di Bram Stoker e lo consegna, ora e per sempre, fra le braccia della comunità queer mondiale! 😀

Scherzi a parte, si tratta di un titolo, a mio avviso, assolutamente imperdibile. Soprattutto se ami il classico originale e ti senti disposto a sperimentare una prospettiva nuova e originale su una sequenza di avvenimenti che già conosci – o che credevi di conoscere.

Soprattutto se stravedi per i new adult, ma anche per lo struggente “Intervista col Vampiro” di Anne Rice.

Perché recensire “Lucy Undying” vuol dire parlare di un’epopea ipnotica e coinvolgente, che si dipana attraverso i secoli e aggiorna abilmente il mito del vampiro…


La trama

Il suo nome era scritto fra le pagine della storia di qualcun altro: Lucy Wensterna è stata una delle prime vittime di Dracula.

Eppure, la sua morte ha segnato soltanto l’inizio di un’odissea ancora da raccontare.

Infatti Lucy, risorta dalla tomba, diventa una vampira e trascorre gran parte della sua vita a inseguire il mostro che l’ha creata, nel tentativo di trovare risposte alle domande esistenziali che l’assillano malgrado la sua non-vita si sia rivelata ricca di avventure, tresche, complotti ed emozioni.

Il punto di svolta giunge a Londra, nel ventunesimo secolo, grazie all’incontro con una giovane donna di nome Iris. Anche Iris, infatti, sta disperatamente cercando di sfuggire alle ombre del suo passato. La sua famiglia ha costruito un impero economico basato su un sinistro segreto, e adesso i suoi membri farebbero qualsiasi cosa – letteralmente – pur di restare al potere.

Lucy, che non credeva di poter amare di nuovo, si innamora di Iris, ricambiata. Ma forze esterne di ogni tipo minacciano la loro intensa connessione e loro nascente love story: la madre di Iris, infatti, non permetterà mai alla figlia di sfuggirle senza ingaggiare una lotta letale per il controllo della sua vita.

E il passato di Lucy ha ancora le zanne: Dracula, infatti, non ha mai smesso di cacciare…

“Lucy Undying”: la recensione

“Lucy Undying” è il retelling saffico a tema vampiresco che S. T. Gibson ci aveva promesso, ma che, a mio avviso, l’autrice di “An Education in Malice” non è stata in grado di consegnare.

Attraverso una pluralità di punti di vista e ben tre linee narrative, che si espandono dalla Londra ottocentesca ai giorni nostri, Kiersten White interesse una trama complessa e ricca di suggestioni. Un intreccio che tiene in grande considerazione tutti i tropes tipici della letteratura gotica relativi ai nostri succhiasangue preferiti, affrontandone le tematiche ricorrenti (immortalità, etica, fede, amore immortale ecc.) da una prospettiva intrigante, fresca e coinvolgente.

Protagonista assoluta di questa saga (di un solo libro: infatti, anche se seguiranno probabilmente altri volumi, “Lucy Undying” si legge come un romanzo perfettamente autoconclusivo…) è la biondissima, “fragile” e benestante amica/pupilla di Mina Harker; la prima vittima londinese di Dracula, passata alla storia come “colei che Van Helsing e gli altri non riuscirono a salvare“.

Probabilmente perché, come ipotizza Kiersten White, non erano poi così interessati a farlo.

E bisogna dire che, attraverso le pagine di “Lucy Undying”, la nostra eroina compie una trasformazione incredibile, da timida ragazzina accecata da un amore impossibile a spia, medico di frontiera, cacciatrice di vampiri, nemesi per eccellenza dello stesso Dracula.

Fortunatamente, senza mai rinunciare a quel nucleo di umanità e a quei tutti quei peculiari tratti caratterizzanti che contribuiscono a renderla un’eroina complessa, contradditoria e ricca di sfumature….


Una gang di vampire immortali contro il patriarcato

Lo stile di Kiersten White si rivela perfettamente all’altezza del compito. Lirico, suggestivo e intriso di un romanticismo quasi disperato, riesce tuttavia a tenersi in perfetto equilibrio fra una tensione drammatica di natura prettamente letteraria e un gusto tutto “cinematografico” per le scene d’azione, gli intrighi, i colpi di scena al cardiopalma.

Il frequente ricorso all’ironia e a un senso dello humor squisitamente dark aiuta, inoltre, a gustarsi anche le scene dal taglio più cupo; tant’è che, in alcuni passaggi particolari di “Lucy Undying”, diventa facilissimo cogliere l’influenza di “Buffy: The Vampire Slayer” e di tutti i suoi derivati.

Anche il tema della found family ha la sua importanza. E riesce a brillare soprattutto grazie alla presenza di un cast secondario eccentrico e straordinario: mi sto riferendo, in modo particolare, a tutte le vampire (ex-vittime di Dracula) che Lucy ha occasione di incontrare nel corso dei suoi innumerevoli viaggi attraverso il globo.

(Breve parentesi a tema “fan casting”: in un adattamento cinematografico ideale, l’Amante avrebbe indubbiamente il volto di Kirsten Dunst, mentre Viola Davis darebbe vita a un superlativo Dottore.

Ma penso che possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che nessuno sarebbe in grado di interpretare la Regina al di fuori di Michelle Yeoh…)


Continua a leggere

“The Phoenix Keeper”: la recensione dell’adorabile cozy fantasy di S. A. MacLean


the phoenix keeper recensione - s a maclean

The Phoenix Keeper” è il mio nuovo cozy fantasy preferito, e di gran lunga uno dei migliori libri fantasy letti/pubblicati nel 2024.

Lo so, potresti pensare che si tratti di una dichiarazione abbastanza estrema. Dopotutto, il mio amore per titoli come “Legends and Lattes” o “The Very Secret Society of Irregular Witches” è fatto noto e conosciuto in tutto il mondo.

Eppure, credo davvero che “The Phonix Keeper” abbia qualcosa di speciale. Non soltanto un cast di personaggi incredibili e una delle più spettacolari “found family” in cui mi sia mai capitato di imbattermi, ma anche delle tematiche ambientaliste importanti e una graditissima attenzione nei confronti della questione della “diversità” a 360 gradi.

E poi, ammettiamolo: il magico zoo di S. A. MacLean è il posto che occupa i miei sogni e nel quale vorrei ufficialmente andare a vivere… insieme alle magnifiche fenici, ai giocosi grifoni e a tutti gli altri, machiavellici volatili conosciuti attraverso le pagine di questo tenerissimo romanzo d’esordio!


La trama

Aila lavora in zoo destinato ad accogliere creature magiche in via d’estinzione provenienti da ogni angolo del mondo. In modo particolare, Aila si occupa di fenici, una specie gravemente minacciata dall’attività dei bracconieri, perennemente a caccia di un modo per mettere le mani sulle portentose piume fiammeggianti di questi animali.

Fin da bambina, Aila ha sempre coltivato il sogno di far ripartire il programma di ripopolamento e fare in modo che il suo zoo abbia la possibilità di ospitare le prime uova di fenice dopo oltre dieci anni. Così, quando alcuni loschi figuri riescono a rubare i piccoli nati in uno degli zoo vicini, Aila si mette in testa di rinnovare la decrepita struttura un tempo adibita agli scopi del programma e di candidare il suo zoo per una nuova nidiata.

Ma salvare un’intera specie dall’estinzione richiede qualcosa di più delle sue stellari capacità di gestione degli animali. Kelpie carnivori, falchi in grado di evocare i tuoni, draghi dispettosi… Alia non ha mai avuto problemi a trattare con le creature magiche del suo zoo.

Ma quando si tratta di racimolare il coraggio necessario a chiedere l’aiuto della bellissima custode dei grifoni, nonché responsabile dell’attrazione più popolare dello zoo? Missione impossibile.

Specialmente considerando il fatto che la bellissima custode di grifoni in questione è, in realtà, la più grande arci-nemesi di Aila fin dai tempi del college. Il suo nome è Luciana, e si tratta di un’irritante, scontrosa e insopportabile so-tutto-io che sembra sempre pronta a mettere il becco negli affari di Aila…


“The Phoenix Keeper”: la recensione

Per essere un cozy fantasy, con marcate venature da rom-com, “The Phoenix Keeper” è un romanzo piuttosto lungo. Il che spiega, probabilmente, il taglio iper-descrittivo e un pochino prolisso dei primi capitoli.

Per fortuna, provvedono i toni ironici e super-scoppiettanti della narrazione, insieme alla fortissima personalità della protagonista Aila, a rendere perfino questa manciata di scene “introduttive” coinvolgenti e immersive.

Aila, dal canto suo, rappresenta la perfetta incarnazione del concetto di “adorabile disastro”. La sua parte grumpy, che si sposa alla perfezione con la tematica dell‘introversione e dei disturbi d’ansia, emerge sempre nei momenti più esilaranti, ponendo la base per uno splendido e coinvolgente arco trasformativo.

Non che manchino le occasioni, per il lettore, di sentirsi “un tantino” frustrato dalla sua plateale incapacità di “leggere la stanza” intorno a lei e interpretare correttamente lo svolgersi degli eventi. Ma fa parte del gioco… Tanto più che, alla fine, ci si ritrova totalmente sopraffatti dalla fragile vulnerabilità e dalla dolcissima goffaggine con cui Aila si sforza di affrontare le relazioni (e le connessioni umane) che per lei contano di più.


Il grande cuore della custode di fenici

La trama di “The Phoenix Keeper” è piuttosto rocambolesca e la posta in gioco aumenta con lo scorrere delle pagine. Ti dico solo che, ora di arrivare il finale, ho cominciato ad avvertire delle serie palpitazioni e a preoccuparmi davvero per le sorti di Aila e dei suoi amici!

Continua a leggere

“Le Trafficanti di Anime”: la recensione del libro gotico di Carmella Lowkis


le trafficanti di anime recensione - carmella lowkis

Ti propongo oggi la recensione de “Le Trafficanti di Anime“, un thriller gotico ambientato in Francia, nel pieno del diciassettesimo secolo. La casa editrice Nord ha portato in libreria il libro dell’esordiente Carmella Lowkis il 27 agosto 2024.

La trama verte sul complicato legame fra due sorelle legate da un passato turbolento e dalle conseguenze di uno scandalo che nessuna delle due riesce a lasciarsi alle spalle. Messe alle strette dalle circostanze, si ritroveranno a indossare di nuovo i loro panni di medium/ciarlatane dell’occulto e a unire le forze per organizzare una pericolosa, ultima truffa ai danni di un’ingenua famiglia aristocratica.

Nelle intenzioni delle ragazze, dovrebbe trattarsi di un piano semplice e indolore. Eppure, l’entità con cui saranno chiamate a fare i conti potrebbe rivelarsi molto più reale e temibile del previsto…


La trama

Parigi, 1866. Quando la Baronessa Sylvie Devereux riceve la visita di Charlotte Mothe, la sorella che ha fatto di tutto per lasciarsi alle spalle, si impossessa di lei il terrore che il suo infame passato da medium e appassionata dell’occulto possa intervenire a compromettere la sua reputazione attuale.

Anche perché il nuovo marito di Sylvie, un blasonato e ricco avvocato che ha parecchi anni più di lei, difficilmente sarebbe disposto a tollerare una simile minaccia al proprio rango di di prestigio in seno all’alta società.

Ma Charlotte ha un padre gravemente ammalato a carico, e nessuna possibilità di pagare i conti. E così, Sylvie si lascia persuadere a ricadere nelle vecchie abitudini e ad aiutare la sorella minore a portare a compimento un’ultima truffa.

I loro bersagli sono i de Jacquinots: una famiglia aristocratica altamente disfunzionale, il cui capofamiglia insiste a proclamarsi perseguitato dal fantasma di una zia, brutalmente assassinata nel corso della Rivoluzione Francese.

Sylvie e Charlotte saranno costrette a ricorrere a tutto il loro vasto repertorio di trucchi per terrorizzare la famiglia e persuaderla a separarsi da un (bel) po’ del suo oro.

Tuttavia, nella decadente magione dei de Jacquinots potrebbe essere in atto qualcosa di davvero sinistro. Così, quando una serie di inesplicabili orrori prende ad abbattersi sulle due sorelle e sui loro incauti clienti, le ragazze saranno costrette a porsi la fatidica domanda: e se una forza sovrannaturale si fosse veramente scatenata sui de Jacquinot?

Ma un’entità di che tipo, poi? Lo spirito vendicativo di una contessa massacrata dai rivoluzionari?

O qualcosa di peggio… che finge soltanto di essere la prozia, mentre aspetta di portare avanti i suoi piani e si prepara a esigere il suo tributo di sangue?


“Le Trafficanti di Anime”: la recensione

“Le Trafficanti di Anime” è il titolo scelto dalla Nord per la traduzione (a cura di Claudine Turla) del romanzo gotico “Spitting Gold” di Carmella Lowkis.

Un esordio che ha riscosso un buon successo da parte della critica, dividendo invece il pubblico pressappoco a metà: coloro che hanno apprezzato le numerose somiglianze fra la storia delle sorelle Mothe e alcuni celebri capolavori di Sarah Waters (soprattutto “Ladra” e “Affinità), e quei lettori che, invece, non hanno potuto fare a meno di notare come un confronto troppo diretto fra le due autrici possa risolversi soltanto con una completa debacle da parte della Lowkis.

Anche se non me la sento di esprimere un giudizio troppo negativo (ci sono aspetti de “le Trafficanti di Anime” che ho sinceramente apprezzato), ammetto di propendere un po’ di più per questa seconda versione.

Non fraintendermi: il modello letterario è innegabile. Probabilmente questo aspetto rappresenta una buona parte del problema: mi è bastato ripensare un attimo al complesso intreccio di “Fingersmith” per immaginare quali avrebbero potuto essere i principali colpi di scena de “Le Trafficanti di Anime”, nonché per prevedere in quali punti del plot avrebbero fatto la loro comparsa e su che tipo di sviluppi avremmo potuto contare.

E il Kirkus Review ha ragione: il libro di Carmella Lowkis è davvero un coinvolgente «thriller romantico a sfondo sovrannaturale», scritto da un’autrice in grado di intessere un racconto ricco di stratificazioni e di inganni. Solo che i suoi personaggi, secondo me, non si rivelano neanche remotamente intriganti o sfumati abbastanza da reggere il gioco fino a fine partita.

Anche perché gli indizi sparpagliati nell’arco delle prime cento pagine ti permettono di smascherare i loro obiettivi e di percepire immediatamente il bluff nel tremolio nelle loro voci narranti…


Fiaba della Sorella Buona e della Sorella Cattiva

In compenso, ho amato alla follia l’accattivante parallelismo fra le storia delle sorelle Mothe e il regno delle fiabe. L’ambiguità del Rospo (personaggio chiave della favola tanto amata da Sylvie), il modo sottile ma tenace con cui l’autrice continua a giocare con questo leitmotiv simbolico per farci capire che non esiste una sola verità, che ogni storia può essere letta secondo (almeno) due differenti versioni e che chiunque cerchi di darci a intendere il contrario sta mentendo a noi o a se stesso…

Continua a leggere

“Bookshops and Bonedust”: la recensione del prequel di “Legends and Lattes”


bookshops and bonedust recensione - prequel legends and lattes

La recensione di “Bookshops and Bonedust” è qui per rispondere alla domanda che tutti i fan italiani del cozy fantasy si stanno ponendo: vale la pena leggere il prequel di “Legends and Lattes? Come se la cava Travis Baldree in questa nuova/vecchia avventura di Viv, l’orchessa gentile che abbiamo incontrato nel corso del primo libro?

Perché sappiamo tutti che “Legends and Lattes” ha praticamente fondato un (sotto)genere. E la posta in gioco, per i personaggi di un cozy fantasy, potrà anche essere bassina… Le nostre aspettative nei confronti di “Bookshops and Bonedust”, però?

Alte come le Montagne Nebbiose, e più svettanti della Torre di Mordor!


La trama

Viv è finalmente riuscita a unirsi alla rinomata compagnia di mercenari guidata dal leggendario Racksam. La sua carriera fra i Corvi, però, non si sta svolgendo esattamente secondo i piani.

Infatti, mentre il gruppo sta dando la caccia a una potente necromante, Viv subisce una ferita alla gamba ed è costretta a separarsi dal gruppo per cercare rifugio a Murk, una pacifica e sonnacchiosa cittadina costiera. L’orchessa ha il terrore che i Corvi non tornino più indietro a riprenderla, ma che alternative ci sono? La sua gamba malandata ha bisogno di molto riposo per guarire.

Lontana da quell’azione spericolata che tanto brama, Viv inizia a trascorrere le sue ore di ozio in compagnia di Fern, la proprietaria di una libreria sull’orlo del tracollo. A poco a poco, inizia quindi a lasciarsi coinvolgere nelle peripezie di Fern per salvare la sua attività, ritrovandosi a esplorare un mondo in cui non avrebbe mai pensato di avventurarsi… e che pure le fornisce, forse, esattamente l’occasione di cui aveva bisogno per imparare qualcosa di prezioso.

Perché, a volte, le cose giuste ci succedono nel momento sbagliato. Quello di cui abbiamo bisogno non è sempre quello che cerchiamo. E, qualche volta, può perfino capitare di riuscire a trovare noi stessi all’interno delle storie che abbiamo modo di sperimentare insieme…

Eppure, l’avventura non è lontana quanto Viv pensava. Un misterioso viaggiatore vestito di grigio, una gnoma dalla testa calda e un inaspettato romance estivo dimostreranno a Viv che perfino un posto come Murk può rivelarsi, all’occorrenza, ricco di eventi affascinanti e imprevedibili…


“Bookshops and Bonedust”: la recensione

Quando un autore che amo annuncia un prequel, non riesco mai a entusiasmarmi più di tanto. Per natura, e fatta eccezione per un paio di titoli in particolare (qualcuno ha detto “Buffy”, per caso?!) penso di essere una persona abbastanza immune al fattore nostalgia. Nella vita come nella lettura, mi piace guardare avanti, più che al passato.

E dico questo nonostante mi sia poi ritrovata, in più di un’occasione, ad apprezzare un prequel addirittura (quasi) più del romanzo originale.

Ma ti dirò la verità: la cosa che mi “preoccupava” di più, nel caso di “Bookshops and Bondust”, è che il personaggio di Tandri, stavolta, sarebbe rimasto inevitabilmente tagliato fuori dai giochi. E io, al pari di Viv, ho sempre nutrito un debole particolare per la succubus!

A lettura ultimata, però, posso confermarti che il prequel scaturito dalla penna e dall’immaginazione di Travis Baldree riuscirà a risvegliare in te un piccolo tsunami di dolcissime, calde emozioni! Anche perché nessuno degli ingredienti alla base del successo del primo manca all’appello – umorismo, magia, un pizzico di romance e tante, tantissime cozy vibes – e una buona metà dei nuovi personaggi introdotti meriterebbero uno spin-off a parte.

La trama risulta, forse, un po’ più dispersiva, meno “studiata” e incisiva rispetto a quella di “Legends and Lattes”. Ma c’è anche da dire che Baldree, in questo secondo volume, ha fatto ricorso a una dose di azione e a una progressiva crescita di tensione che rendono la lettura particolarmente coinvolgente e immersiva.

E poi, c’è tutto il fattore della libreria e del grande amore per le storie di cui tenere conto…

(insert: sospirone e due giganteschi occhi a cuoricino)


Il potere dei libri e il viaggio dell’orchessa

E, del resto, Travis Baldree non inserisce certo questi stupendi “bookish tropes” a caso, o soltanto per concedere una strizzatina d’occhio al suo lettore. Alzi la mano chi, fra noi, non ha mai sognato di aprire una pittoresca libreria! Meglio ancora se strabordante di volumi, per trascorrere i pomeriggi a catalogare, ordinare, consigliare…

La libreria di Fern, in effetti, costituisce un ottimo catalizzatore per l’arco trasformativo di Viv.

Continua a leggere

“Under the Bridge”: la mini-recensione della serie tv disponibile su Disney+


under the bridge - recensione miniserie

Titolo: Under the Bridge

Genere: Crime/Drammatico

Anno: 2024

Piattaforma: Disney+

Format: Miniserie

Cast: Riley Keough, Lily Gladstone, Vritika Gupta, Chloe Guidry, Izzi G., Javon Walton.


Di cosa si tratta:

“Under the Bridge” è una miniserie in 8 episodi, liberamente ispirata al brutale omicidio della quattordicenne Reena Virk.

L’omonimo libro di Rebecca Godfrey (interpretata, nello show, dalla Riley Keough di “Daisy Jones & the Six”) rappresenta il punto di riferimento di tutta la trama. In realtà, la serie prevede l’inclusione di personaggi, situazioni e colpi di scena che non hanno nulla a che fare con quanto avvenuto nella vita reale.

La storia è ambientata nel 1997. La scrittrice Rebecca torna nella sua cittadina natale, nel pieno della Colombia Britannica canadese, per scrivere un libro ispirato a una traumatica vicenda del suo passato.

Ma quando nel fiume si materializza il cadavere di Reena, una problematica ragazzina locale, la donna si lascia risucchiare dalle indagini ed entra in contatto con una società degradata e corrotta, piagata da una lunga tradizione di violenza, droga, indifferenza e delinquenza minorile.

Nel frattempo, la poliziotta Cam Bentland (Lily Gladstone) fa del suo meglio per assicurarsi che le indagini vengono condotte nella maniera più regolare e onesta possibile. Ma Reena era figlia di immigrati indiani, testimoni di Geova e tutt’altro che ben inseriti all’interno della comunità locale.

E la triste realtà è che nessuno sembra particolarmente interessato ad assicurare i suoi assassini alla giustizia…


“Under the Bridge”: la recensione

Non è una buona idea guardare “Under the Bridge” per l’elemento crime.

Non fraintendermi: c’è sicuramente qualcosa di ipnotico in questa serie. L’ho apprezzata moltissimo; a partire dalle (intensissime) interpretazioni delle due attrici protagoniste, che hanno una chimica magnetica e meritano tutte le lodi ricevute dalle critica e anche di più. Soprattutto Lily Gladstone che, con “Killers of the Flowers Moon” e “Fancy Dance“, in realtà aveva già rivelato al mondo le sue doti artistiche straordinarie.

Ma “Under the Bridge” si fa notare soprattutto per la forza delle sue tematiche, che ti colpiscono come il proverbiale pugno nello stomaco. Scrive Variety, in maniera decisamente eloquente: «La serie ci ricorda l’angoscia che provano gli adolescenti quando vengono respinti, specialmente le ragazze – e come questo sentimento possa trasformarsi, poi, fino a diventare qualcosa di grottesco. Senza una giusta guida o un orecchio pronto ad ascoltare, il tormento che (i ragazzi) finiscono per infliggersi l’un l’altro sembra, in molti modi, inevitabile.»

Ed è proprio così.

La cosa che colpisce di più, guardando “Under the Bridge”, non ha nulla a che fare con parole come “suspense” o “mistero”. Non vai avanti con gli episodi della serie perché non hai la più pallida idea di cosa sia successo o di chi abbia potuto fare del male a Reena. Le risposte a queste domande sono proprio lì, abbastanza chiare ed evidenti sotto gli occhi di tutti.

No, quello che ti si imprime nella memoria, sopra ogni altra cosa, è il ritratto lacerante di questi ragazzini abbandonati a se stessi, totalmente alla sbaraglio; costretti a crescersi praticamente da soli, facendo affidamento soltanto sulle regole del branco e l’uno sull’altro.


Un mondo senza adulti

Sembra una distopia, lo scenario da incubo entro cui si si svolgono gli eventi narrati in “Under the Bridge”. Un quadro in cui l’incapacità degli adulti di relazionarsi con i ragazzi sotto la loro custodia, alla fine, miete molte più vittime di un’edizione speciale degli Hunger Games. Uno squallore che ti riempie di tristezza di orrore; tant’è che, nonostante l’assenza di scene dal taglio esplicito, ammetto di aver trovato gli ultimi episodi di “Under the Bridge” emotivamente difficili da affrontare.

Continua a leggere