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“The Invocations”: la recensione del libro horror YA di Krystal Sutherland


the invocations recensione - Krystal Sutherland

Il sottotitolo della mia recensione di “The Invocations” sarà “ragazze che vendono l’anima al diavolo”. E che hanno una ragione dannatamente buona per farlo!

In questo nuovo libro di Krystal Sutherland – autrice della perla dark “Le Sorelle Hollow”, pubblicato in Italia da Rizzoli – tre giovani inglesi uniscono le forze per fermare uno dei più pericolosi predatori naturali che la storia delle donne abbia mai conosciuto: un uomo che crede di avere il diritto di rubare i loro poteri.

E le loro vite.


La trama

Inghilterra, al giorno d’oggi. Cinque donne sono morte. L’assassino non lascia traccia di impronte né DNA. La polizia è di fronte a un vicolo cieco.

La diciannovenne Jude Wolf, ricca come il peccato e affascinante quanto il diavolo, è stata maledetta. La sua anima immortale, adesso, è legata a un demone che la odia. Jude farebbe qualsiasi cosa per liberarsi di lui, per fermare il grottesco decadimento che sta consumando il suo corpo.

Ciò di cui Jude ha bisogno è una “cursewriter“, una strega in grado di scrivere le maledizioni – e ritiene che seguire la scia di donne morte, tutte sospettate di aver avuto a che fare con il mondo dell’occulto – possa rappresentare la sua migliore opportunità di trovarne una.

Anche Zara Jones sta tenendo d’occhio la catena di omicidi. Sua sorella maggiore, Savannah, è stata la prima vittima del serial killer. Zara, però, non sta covando vendetta: vuole semplicemente cercare un modo per riportare in vita Savannah.

Ciò di cui Zara ha bisogno è una maga, un’incantatrice, una necromante… A tutti gli effetti, ciò di cui ha bisogno è una strega in grado di scrivere le maledizioni.

Nell’appartamento della quinta vittima del killer, Zara e Jude si incontrano per caso. Lì, le due ragazze si imbattono in un indizio destinato a legare i loro sentieri: uno strano biglietto da visita, che porta inciso un singolo nome.

Emer Byrne. Cursewriter.


“The Invocations”: la recensione

Anche se potremmo definire il nuovo libro di Krystal Sutherland come un “character-driven”, dal momento che il focus della narrazione tende a concentrarsi sulle dinamiche fra le sue tre protagoniste e sul loro diverso modo di reagire al filo conduttore del trauma e dell’abuso, bisogna dire che “The Invocations” garantisce parecchia adrenalina, tanti brividi e qualche bel colpo di scena!

Durante il primo atto, l’autrice si prende il suo tempo per introdurre le eroine e assicurarsi che il pubblico arrivi a empatizzare con loro. Si rivela, senz’altro, una scelta vincente: dopotutto, Zara, Emer e Jude sono personaggi sfaccettati e complessi, in grado di far impallidire di vergogna il 90% delle anonime eroine da “romantasy” che, nel corso degli ultimi anni, hanno cominciato ad andare tanto per la maggiore.

Lo stile della Sutherland, in questa occasione, mi ha ricordato un po’ quello di Victoria Schwab in alcuni dei suoi romanzi per adulti (e chi mi conosce bene, sa che intendo questo paragone come un grandissimo complimento). L’atmosfera del romanzo, deliziosamente oscura, ammalia fin dalle primissime pagine e si sposa benissimo con le tematiche cupe e attuali della narrazione.

Una Donna Promettente incontra “Le Terrificanti Avventure di Sabrina”: non so se sia questo il modo perfetto per descrivere “The Invocations” (bisognerebbe, forse, aggiungere al mix anche “Ragazze Elettriche”)…

Eppure mi basta sapere che, in questo caso, l’irriverente Jude sarebbe al 100% d’accordo con me!


Tre streghe contro il patriarcato

Se c’è un fatto che l’uscita de “Le Sorelle Hollow”, bellissima e conturbante fiaba oscura, è riuscita a mettere in luce, è che il dark fantasy per ragazzi è un genere ancora troppo sottovalutato. Soprattutto qui da noi in Italia.

In “The Invocations”, Krystal Sutherland ci dimostra che la stessa cosa vale per l’horror in salsa YA.

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“Emily Wilde’s Map of the Otherlands”: la recensione del secondo libro sulle fate di Heather Fawcett


Emily Wilde's Map of the Otherlands - recensione

Chi è pronto per la recensione di “Emily Wilde’s Map of the Otherlands”?

Bè, questo articolo è sicuramente dedicato a chiunque abbia già letto “L’Enciclopedia delle Fate di Emily Wilde, il primo capitolo delle avventure della “driadologista” più burbera e imprevedibile di sempre!

In questa nuova avventura firmata Heather Fawcett, Emily e Wendell dovranno affrontare una nemica d’eccezione – la perfida matrigna di Wendell – e spostarsi in un gelido villaggio sulle Alpi austriache.

Fra nuove specie fatate da scoprire, un mucchio di banter e qualche new entry interessante, si dipana quindi il secondo capitolo di una trilogia destinata a conquistare tutti gli appassionati di narrativa fantastica a sfondo fiabesco…


La trama

Quando alcuni faeries misteriosi, provenienti da regni lontani, cominciano a materializzarsi nei corridoi della sua università, la professoressa Emily Wilde decide che è arrivato il momento di scoprire i loro segreti. E di farlo prima che sia troppo tardi!

Emily, adesso, è un’erudita di fama internazionale. La pubblicazione della sua Enciclopedia delle Fate le ha portato una notorietà senza pari nell’ambiente accademico. Nel corso delle sue avventure, ha imparato molte cose a proposito dei Nascosti… Eanche sul conto del suo ex-rivale e compagno di avventure, il solare prof. Wendell Bambleby.

Perché Bambleby, in realtà, è un re delle fate in esilio, in fuga dalla sua matrigna assetata di potere. Wendell sta cercando una porta attraverso la quale fare ritorno nel suo regno. Ma, a dispetto dei sentimenti che prova per lui, Emily non si sente pronta ad accettare la sua proposta di matrimonio. Dopotutto, amare un esponente del Piccolo Popolo non ha mai portato altro che lacrime e rimpianti a un umano.

E poi, Emily ha un nuovo progetto sul quale concentrarsi: realizzare una mappa di tutti i reami fatati. Mentre sta preparando la sua ricerca, però, Wendell la mette di nuovo nei guai, a causa di alcuni spietati assassini inviati dalla matrigna. I due dovranno imbarcarsi in un’altra impresa e viaggiare fino alle pittoresche Alpi austriache; là dove Emily crede possa trovarsi una porta per il regno di Bambleby, e la chiave per liberarlo dal suo oscuro passato


Emily Wilde’s Map of the Otherlands”: la recensione

Tanti anni di letture mi hanno insegnato una delle più sacrosante verità a proposito del fantasy: su ogni “secondo capitolo” di una trilogia pende una sorta di maledizione.

Il volume centrale rappresenta quasi sempre l’anello debole della catena. Probabilmente perché svolge un delicato compito di “raccordo”, assumendosi, di fatto, una doppia responsabilità: collegare il passato con il futuro (riaccogliendo il lettore, a braccia spalancate, in un mondo a lui già familiare) e, contemporaneamente, proiettare la narrazione incontro a un grande cliffhanger, ponendo le basi per lo showdown del libro successivo.

Mi spiace dire che “Emily Wilde’s Map of the Otherlands” non è il romanzo che riesce a sfatare questo mito. Non che sia un libro terribile, anzi: ho amato diverse cose di questo sequel. E mi sono anche divertita parecchio, sulle Alpi insieme a Emily e Wendell!

I dialoghi si confermano arguti, vivaci e divertenti. Le creature – soprattutto Poe e Shadow – restano fantastiche. Senza contare che ti spingono a provare l’irresistibile tentazione di inoltrarti nel bosco dietro casa tua, alla ricerca di cerchi di funghi dai cappelli variopinti e alberi secolari dalle foglie particolarmente vibranti! Lo humor, poi, è ancora il piatto forte della narrazione. Un perfetto compromesso fra “light academia” e pura e semplice “silliness”.

Ma c’è da dire che la trama di “Emily Wilde’s Map of the Otherlands” prende a sfilacciarsi già all’inizio del secondo atto. Penalizzata dal peso crescente di un romance che inizia a farsi sempre più totalizzante. E che, peraltro, esercita il discutibile potere di snaturare la caratterizzazione dei nostri due personaggi principali.

Wendell, in modo particolare, nell’arco di questo secondo volume riesce a perdere parecchi punti originalità. Per come la vedo io, capita un po’ troppo spesso di vedergli indossare la sua armatura di cavaliere senza macchia e senza paura. Anzi, peggio: in un certo senso, è come se lui e Emily si alternassero continuamente in questo ruolo, rendendo a tratti la lettura abbastanza stucchevole


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“Faebound”: la recensione del libro romantasy di Saara El-Arifi


faebound recensione - saara el-arifi libro romantasy

La recensione di “Faebound” arriva finalmente su questi schermi, per la gioia dei fan di titoli come “Fourth Wing” e “Il Principe Crudele”!

Il libro di Saara El-Arifi è un concentrato di azione, romance e magia. Al centro dell’intreccio si dipana l’emozionante storia di due sorelle. Le ragazze si ritroveranno travolte da un tripudio di sinistre profezie e verranno scagliate fra le braccia di un mondo fatato, nella miglior tradizione delle opere di Holly Black.

Un luogo denso di pericoli, rivelazioni magiche, macchinazioni politiche e principi (ma anche principesse!) prodigiosamente inclini a ritrovarsi in varie condizioni di seminudità.

Con l’aggiunta di un ottimo worldbuilding e di un (bel) po’ di spicy!


La trama

Yeeran è nata sul campo di battaglia, ha vissuto sul campo di battaglia e, un giorno, morirà sul campo di battaglia.

O almeno, questo è ciò che ha sempre pensato.

Dopo aver raggiunto il grado di colonnello nell’armata degli elfi della tribù Waning, Yeeran si sente particolarmente orgogliosa della sua carriera. Essere costretta a combattere al fianco di bambini-soldato e sterminare creature magiche al fine di garantire altro potere per la sua fazione? Si tratta soltanto dell’l’inevitabile prezzo da pagare per la vittoria.

Dopotutto, Yeeran non ha mai conosciuto altro che guerra, morte e una fame spietata. Mentre sua sorella minore, Lettle, sta cercando di guadagnarsi da vivere diventando una divinatrice; perennemente alla ricerca di profezie in grado di annunciare un futuro migliore.

Eppure, non appena un fatale errore da parte di Yeeran spinge il comandante della sua tribù a bandirla per sempre dalle terre degli elfi, le due sorelle si ritrovano in balia degli eventi. Non c’è scelta, adesso: per cercare di sopravvivere, bisognerà avventurarsi nelle terrificanti terre desolate al di là dei confini.

Sarà proprio lì che avrà luogo un incontro l’impossibile: quello con la temuta corte dei Fae. Un popolo che si credeva estinto da un millennio, e sul cui conto circolano parecchie voci inquietanti. Yeeran e Lettle saranno costrette a immergersi nel loro mondo seduttivo e misterioso.

Ciò che troveranno – amore, tradimento, misteri e segreti arcani – cambierà per sempre il loro destino.


“Faebound”: la recensione

Con “Faebound”, Saara El-Arifi si rivolge al vasto Popolo del romantasy. E lo fa con un tono di voce chiaro, suadente e irresistibile: assolutamente impossibile da ignorare.

L’estetica ricorda un po’ quella de “Il Priorato dell’Albero delle Arance”, un po’ i libri di Rebecca Yarros e Sarah J. Maas, e un po’… la serie tv “The Chronicles of Shannara”, per chi avesse ancora la ventura di ricordarla.

Un formato che richiama i ritmi sincopati di MTV, con la sua tavolozza di colori sgargianti e le sue succulente patentesi al limite del trash… ma soprattutto, bisogna dirlo, nella sua versione “prodotti di qualità”. Con una grande quantità di concessioni ai principali tropes del momento (in primis, il sempreverde enemies-to-lovers) e un’abbondante aggiunta di queer-normativity.

In “Faebound”, il lettore segue i PoV e gli archi narrativi di due personaggi principali: Yeeran e Lettle. Guerriera indomabile la prima; veggente dai toni profetici la seconda. Il loro legame di sorellanza rappresenta il “collante” di tutta la storia, potremmo dire; di fatto, pur concedendo innumerevoli pagine all’esplorazione dei sentimenti delle ragazze nei confronti dei loro rispettivi love interests, Saara El-Arifi si dimostra estremamente abile nel tenere insieme i vari tasselli dell’intreccio.

Le love story di cui vale la pena parlare sono due: una f/f e una m/f. Anche se l’identità dei personaggi coinvolti dovrebbe essere chiara a chiunque superi pagina 50 (o poco più), evito di fare nomi per paura di spoilerare qualcosa che non dovrei.

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“Belladonna”: la recensione del libro di Adalyn Grace


belladonna recensione - adalyn grace

La recensione di “Belladonna” di Adalyn Grace renderà felici gli appassionati di narrativa gotico-fantastica a sfondo romantico.

Dopotutto, stiamo parlando di uno YA che, malgrado le invadenti parentesi “ormonali” e la sua imbarazzante eroina obnubilata dai desideri della carne, riesce a giocare (bene) con le regole del mistery e a tingere di pathos il suo nucleo tematico principale: l’inevitabile scontro fra natura (umana) e società.

La trama, certo, annaspa un po’ in alcuni punti. Ma la solida ambientazione e i personaggi secondari, con i loro drammi, le loro ossessioni e le loro intime vicissitudini, rendono la lettura coinvolgente e accattivante sotto più di un punto di vista.


La trama

Signa è l’unica erede di una considerevole fortuna. Poco tempo dopo la sua nascita, la sua famiglia è rimasta vittima di un avvelenamento inspiegabile: da quel momento, la piccola è stata sballottolata da un tutore legale all’altro, nell’attesa di diventare abbastanza grande da poter rivendicare il proprio patrimonio e vivere per conto suo.

Nessuno dei suoi guardiani – a parte la prima: la sua amorevole nonna – ha mai avuto a cuore gli interessi di Signa. Nessuno di loro è rimasto nei paraggi abbastanza a lungo da sviluppare un autentico legame con lei.

In effetti, le persone che hanno a che fare con Signa sembrano manifestare la disturbante inclinazione a crepare come mosche. Un fatto che turba profondamente la ragazza, e che fra l’altro ha incoraggiato la nascita di una serie di allarmanti pettegolezzi sul suo conto.

I suoi ultimi parenti rimasti, adesso, sono gli Hawthorne: un’eccentrica famiglia che vive nel maniero di Thorn Grove, una dimora grandiosa quanto tetra.

Il patriarca, Elijah, non riesce a riprendersi dalla morte della moglie. Ne piange la scomparsa dando party scandalosi e sfrenati, mentre il figlio Percy lotta per riprendere il controllo della reputazione di famiglia e la figlia, Blythe, si consuma in un letto al piano di sopra, preda di una misteriosa malattia.

Ma quando lo spirito irrequieto della loro madre confessa a Signa il suo segreto – la sua morte non è stata accidentale: si è trattato di omicidio! – Signa capisce che anche il resto della nuova, strana famiglia che le è toccata in sorte potrebbe essere in pericolo.

Per svelare l’arcano, Signa recluta quindi due aiutanti d’eccezione: il vivace e robusto Sylas, un garzone di stalla, e… il Tristo Mietitore in persona!

A poco a poco, infatti, Signa, scopre di condividere con Morte un legame singolare. Un potere sconosciuto le scorre nel sangue, qualcosa che la tiene avvinta al suo affascinante “stalker” sovrannaturale e che costringe i due a rientrare continuamente l’uno nell’orbita dell’altra.

Un’attrazione pericolosa e letale, che rischia di mandare all’aria quel futuro di cui Signa era sempre stata così sicura…


“Belladonna”: la recensione del libro di Adalyn Grace

Tanto per cominciare, ammetto che lo stile di Adalyn Grace mi ha piacevolmente colpito. L’autrice riesce a dosare magia e realismo, sense of wonder e soffocanti imposizioni sociali, praticamente alla perfezione. La sua padronanza delle principali tecniche di scrittura è ottima, e l’atmosfera di “Belladonna” risulta così viva e ammaliante, così ricca di sfumature e di dettagli, da insinuarsi praticamente sotto la tua pelle.

Sono abbastanza sicura che, da qui a qualche mese, quando i dettagli del plot avranno già cominciato a perdere di consistenza dentro la mia mente, i ricordi più vividi che riuscirò a conservare di “Belladonna” avranno a che fare con la festa ecclettica e multisensoriale di profumi, bagliori, suggestioni, fumi, spettri e scintilli che l’affascinante prosa dell’autrice riesce a evocare.

La scena più riuscita è indubbiamente quella, preparata con cura, del ballo con Morte in un landa al di fuori del tempo e dello spazio. È in quest’occasione che l’elemento fiabesco riesce a emergere in tutto il suo splendore, trasportando chi legge in un mondo archetipicamente “altro” e spingendolo disperatamente a desiderare, insieme a Signa, di potervi rimanere a tempo indeterminato.

Dell’intreccio del libro, di per sé, ho apprezzato soprattutto la quantità di false piste (nella migliore tradizione di Agatha Christie, ogni personaggio è un potenziale indiziato…), un paio di colpi di scena e la grande onestà del finale.

Devo dire che non nutro una grande passione nei confronti della personalità di Signa; in compenso, però, posso quantomeno affermare di aver condiviso i suoi obiettivi e gran parte delle sue scelte.

Un fatto che mi spinge a coltivare una certa curiosità nei confronti del resto della serie. E dico questo, nonostante il leggero senso di stizza provocato da un odioso cliffahanger finale…  un twist che mi è sembrato soltanto un tentativo un po’ rozzo e, tutto sommato, poco necessario, di imbeccare il lettore e “costringerlo” ad acquistare il volume due.

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“The Dragons of Deepwood Fen”: la recensione del libro fantasy di Bradley P. Beaulieu


the dragons of deepwood fen recensione - bradley p beaulieu

Nel corso della recensione di “The Dragons of Deepwood Fen”, libro fantasy di Bradley P. Beaulieu, ci imbatteremo in un mucchio di intrighi, tanti draghi, innumerevoli PoV, e… persino qualche simpatico riferimento alla più recente trilogia di “Jurassic Park”!


La trama

Lorelei Aurelius è la più sveglia fra gli Inquisitori di Ancris. Quando una misteriosa soffiata la conduce ad assistere all’incontro clandestino fra alcuni esponenti della Chiesa e gli odiati Red Knives, una banda di ribelli/combattenti per l’indipendenza, la giovane scopre un complotto che minaccia non soltanto la sua patria, ma l’Impero nella sua interezza.

La sua pista la spinge a incrociare la strada di Rylan Holbrooke, un famigerato ladro camuffato da “addomesticatore” di draghi. Rylan, infatti, è giunto ad Ancris proprio per risolvere il mistero in cui si è imbattuta lei. Sapendo che l’incarcerazione di Rylan potrebbe aiutare i Red Knives a ottenere i loro loschi scopi, Lorelei prende una decisione pericolosa: gli offre la libertà.

Mentre l’Impero si lancia all’inseguimento, considerandoli due traditori, la coppia fugge dalla città e si reca nella massiccia foresta conosciuta con il nome di “The Holt”. Qui, però, Lorelei e Rylan scoprono qualcosa di terribile.

I Red Knives stanno preparando la resurrezione di una potente semidivinità, prigioniera in uno dei santuari più sacri di Ancris. E, per qualche insondabile ragione, la Chiesa sembra ansiosa di aiutarli a ottenere il loro obiettivo…


“The Dragons of Deepwood Fen”: la recensione

“The Dragons of Deepwood” è quel genere di romanzo fantasy, corposo e denso di sottotrame, che impiega un po’ a scaldare i motori. I primi cinque, dieci capitoli sono quelli che mettono maggiormente alla prova le capacità d’attenzione del lettore.

La frenetica successione di PoV (punti di vista) sembra la principale responsabile di questa “confusione”: in un mondo letterario nuovo di zecca, Bradley P. Beaulieu introduce semplicemente troppi personaggi, troppo velocemente.

Ciò potrebbe facilmente dimostrarsi un deterrente per il lettore dalle inclinazioni più “casual”. Inutile negare l’ovvio: soprattutto perché almeno la metà di queste voci narranti appartiene ai vari villain della storia, numerosi come mosche e altrettanto determinati a rendere impossibile la vita dei protagonisti.

Il problema principale? Tutti questi loschi figuri iniziano a cospirare e a tessere le loro trame prima ancora che il lettore capisca chi diamine siano gli eroi, o per quale ragione dovremmo curarci di loro.

Superato lo scoglio delle cento pagine, le cose iniziano a farsi interessanti. A poco a poco, infatti, l’intreccio si dipana e l’ambientazione prende ad assumere una forma più intrigante. Il conflitto principale ricorda, alla lontana, quello avvenuto fra l’impero romano e i popoli celtici; mentre, a livello di trama e di respiro, ” The Dragons of Deepwood Fen” fa pensare a una sorta di “A Game of Thrones” epurato della maggior parte delle sue complessità psicologiche.

Con l’aggiunta, in compenso, di parecchie scene d’azione e combattimento. Spiccano, ovviamente, quelle dedicate alle battaglie fra i draghi: sicuramente il “piatto forte” della narrazione, insieme alle originali sfumature noir che arricchiscono l’atmosfera…

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I migliori libri fantasy del 2023


L’espressione “i migliori libri fantasy del 2023” è, ovviamente, del tutto soggettiva. Il perché è sotto gli occhi di tutti.

Tanto per cominciare, non ho neanche remotamente finito di leggere tutte le uscite del 2023 che mi ero ripromessa di divorare (ed ecco perché, a cadenza irregolare, mi premurerò di tenere aggiornato questo articolo). E poi, è che chiaro che, nel processo di selezione che ha portato a questo elenco, i miei gusti personali hanno giocato la parte del leone!

Eppure, se sei curioso di scoprire quali siano state – e perché – le mie letture preferite targate 2023, direi che sei approdato sul blog al momento giusto. E poi, ho idea che, all’interno di questo post, potresti trovare parecchi spunti di lettura interessanti! ;D


I migliori libri fantasy del 2023: “L’Enciclopedia delle Fate di Emily Wilde” di Heather Fawcett

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Se non mi hai ancora sentito tessere le lodi di questo adorabile cozy fantasy/light academia, bè… cosa posso dirti? Mi sa che non hai bazzicato da queste parti neanche remotamente abbastanza! 😀

Scherzi a parte, “L’Enciclopedia delle Fate di Emily Wilde” è un libro assolutamente delizioso. La protagonista è un’irresistibile brontolona, un’accademica dotata di una grande vocazione: studiare ogni singola specie fatata sparpagliata ai quattro angoli del globo.

Per riuscirci, Emily Wilde è disposta ad affrontare viaggi pericolosi e sfide incredibili, incontri magici e traversie di ogni tipo. Certo: purché la lista non arrivi a includere attività impossibili quali, che so, socializzare con i propri simili, oppure stringere amicizia con gli eccentrici abitanti dell’ultimo villaggio in cui le sue ricerche l’hanno condotta…

Puoi leggere la mia recensione de “L’Enciclopedia delle Fate di Emily Wilde” per scoprirne di più. Il libro di Heather Fawcett sarà disponibile anche in italiano, a partire dal 16 gennaio. Lo troverai su Amazon o in qualsiasi altra libreria fisica e online.


“Un Giorno di Notte Cadente” di Samantha Shannon

Scommetto che non ti sorprenderà scoprire che il sontuoso e magniloquente prequel dell’ormai classico “Il Priorato dell’Albero delle Arance” si è guadagnato un posto speciale nel mio elenco dei migliori libri fantasy del 2023.

“Un Giorno di Notte Cadente” è un libro imponente, complesso, ambiziosissimo, che espande la mitologia e gli scenari di un mondo amatissimo dai lettori. Le varie sottotrame e i numerosi PoV si intrecciano a formare un potente racconto corale, approfondendo le tematiche introdotte nel primo libro (politica, sacrificio, condizione femminile, coraggio, amore…) e introducendone di nuove (maternità, libero arbitrio e resistenza).

Con questo prequel, insomma, Samantha Shannon conferma il suo talento e fa salire alle stelle il nostro desiderio di recuperare la sua saga d’esordio, “The Bone Season” (prossimamente disponibile in Italia grazie a Mondadori).

Ti rimando alla mia recensione de “Un Giorno di Notte Cadente” per avere qualche altro dettaglio sull’argomento. Il libro, intanto, è già disponibile su Amazon per l’acquisto.


“Starling House” di Alix Harrow

Alix Harrow non è ancora riuscita a scrivere un libro di cui io non mi sia perdutamente innamorata. Il suo nuovo fantasy gotico conferma un trend inaugurato nel 2019 con “Le Diecimila Porte di January”, proseguito nel 2020 con l’imperdibile “Le Streghe in Eterno” e culminato con le sue (ingiustamente) sottovalutate “Fractured Fables”.

In “Starling House”, una ragazza cresciuta troppo in fretta si imbatte in una casa magica e in un uomo carismatico quanto tormentato: sarà la sua occasione per lasciarsi alle spalle una vita di miseria e squallore… ma anche per affrontare i peggiori demoni del suo passato. Che potrebbero anche, nella miglior tradizione dei libri fantasy alla Leigh Bardugo o Victoria Schwab, essere delle entità assai più letterali di quanto chiunque avesse sospettato…

La mia recensione di “Starling House” ti aspetta, ovviamente, fra le pagine del blog. Su Amazon trovi invece l’edizione cartaceo o digitale del romanzo, per il momento solo in lingua inglese.


“The Adventures of Amina al-Sirafi” di Shannon Chakraborty

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Se vuoi sapere come la penso, di questo splendido libro fantasy storico non si parla neanche remotamente abbastanza. Di tutti i titoli che troverai citati all’interno di questa lista, “The Adventures of Amina al-Sirafi” è probabilmente quello dotato della trama più solida e a prova di bomba, e indubbiamente il più gioioso, avventuroso e immersivo.

La storia è quella di Amina al-Sirafi, ex-pirata di mezza metà e madre di una vivacissima bambina, costretta a tornare in attività a causa della scomparsa della figlia di un suo vecchio compagno di ciurma. La sua ultima impresa si dipanerà fra avventure rocambolesche, jin sornioni, stregoni folli, inquietanti echi lovecraftiani e affascinanti suggestioni provenienti dalla mitologia islamica… Ma sarà davvero l’ultima, poi?

Per scoprirlo, non ti resta che leggere il libro… oppure la mia recensione completa di “The Adventures of Amina al-Sirafi”! Ti ricordo, fra l’altro, che il romanzo di Shannon Chakraborty è disponibile su Amazon; per il momento, esclusivamente in lingua inglese.


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“Insonnia” di Sarah Pinborough: la recensione


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Proseguiamo con la recensione di “Insonnia” di Sarah Pinborough. Una lettura piacevole, incalzante, avvincente… che regala perfino una piccola sorpresa ai fan del thriller bestseller “Dietro i suoi occhi“!

E che pure, secondo me, inizia a scivolare proprio là dove l’autrice britannica dovrebbe essere più ferrata: vale a dire, nella preparazione del diabolico twist finale, gestito in maniera superficiale e, a mio avviso, decisamente poco credibile.


La trama

Dall’esterno, la vita di Emma è assolutamente perfetta. Ha tutto ciò che una donna potrebbe desiderare: una carriera prodigiosa, un compagno amorevole, una bellissima casa, due figli meravigliosi.

Eppure, c’è qualcosa che tiene Emma sveglia ogni notte. E, a mano a mano che il suo quarantesimo compleanno si avvicina, una crescente sensazione di malessere si impossessa di lei.

Emma ha cercato così a lungo di proteggere la sua famiglia, di tenerla al riparo dai segreti più torbidi del suo passato. Ma, si sa, l’ora delle streghe adora i segreti…

E quello di Emma? E’ fatto della stessa materia di cui sono composti gli incubi.



“Insonnia” di Sarah Pinborough: la recensione

A dire il vero, credo di essermi imbattuta nel romanzo di Sarah Pinborough esattamente al momento giusto. Da adulta che lavora (e che, tuttavia, sta cercando di fare un completo reboot della sua vita…), mi sono ritrovata al centro di una sessione di esami universitari abbastanza indiavolata. Per qualche settimana, quindi, mi sono vista costretta ad abbandonare i miei mondi incantati per trasferirmi (metaforicamente parlando) nella Firenze medicea, pronta ad approfondire la mia conoscenza dei classici rinascimentali.

Una bella esperienza, non posso negarlo. E anche preziosa! Tuttavia, nei (rari) momenti di pausa, avvertivo acutamente la mancanza dei “miei” libri. Eppure, immergermi in un tomazzo fantasy di 800 pagine, in queste circostanze, mi sembrava una tentazione pericolosa. Un capitolo tira l’altro, e…  sappiamo tutti come funzionano certe cose, no?

Perché non provare a rivolgermi, allora, a quello che è il mio secondo genere preferito, il thriller, con i suoi ritmi metropolitani e le sue atmosfere avvolgenti, sincopate, stranamente rassicuranti?

E così, ecco entrare in gioco la mia recensione di “Insonnia” di Sarah Pinborough.

Un libro a tratti irritante, a tratti divertente, che gioca con il concetto di narratore inaffidabile e calca costantemente la linea fra il thriller domestico e il mistery sovrannaturale.
I personaggi, diciamocelo, sono di un’odiosità sconvolgente. Una scelta deliberata, si direbbe. E che, peraltro, non sconvolgerà affatto i lettori dei precedenti libri della Pinborough…


Emma, la Mattatrice…

A dirla tutta, il crudo numero di cliché a cui ricorre l’autrice mi ha sconcertato. Ma non posso negare di essermi gustata ogni singolo momento di dissacrante scomposizione della tua piccola, rassicurante, idealizzata famigliola borghese di quartiere…

Dialoghi sgradevoli, rapporti interpersonali fatti di creta, e una protagonista che sembra uscita dell’incubo di un patriarca conservatore di provincia: la “donna coi pantaloni”, quella che porta i soldi a casa ma che, sotto sotto, trova anche un po’ patetico il fatto che tu gliel’abbia lasciato fare.

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“Spice Road”: la recensione del libro fantasy di Maiya Ibrahim


spice road recensione - maiya ibrahim

Nella recensione di “Spice Road”, ci troveremo ancora una volta a fare i conti con la domanda che, da un po’ di tempo a questa parte, tende a ronzarmi nell’orecchio ogni volta che mi accosto a un libro fantasy YA: quale dovrebbe essere, esattamente, lo scopo di un buon romanzo d’avventura per ragazzi?

Dal canto mio, ho sempre avuto una teoria: intrattenere, coinvolgere, affrontare tematiche care alla vita di ogni giorno di un adolescente… e magari, occasionalmente, invitarlo anche a riflettere su alcuni importanti argomenti di attualità.

Eppure, adesso, sta prendendo piede un’altra tendenza. Come se l’obiettivo primario di un libro fantasy dovesse essere quello di… Bè, non voglio dire “indottrinare” il lettore. Sembra una termine un po’ forte, no? Perfino esagerato. Ma devo ammettere che sto facendo fatica a tenermi lontana da questa parola.

Perché quando il tono di una narrazione è così piatto, la tecnica maldestra, i toni melodrammatici e la trama appesa a un filo, è chiaro che si stenta a inquadrare il senso di una storia che non fa altro che spiattellarti in faccia lo stesso messaggio ancora, e ancora, e ancora…


La trama

Qalia è una città segreta, nascosta nel deserto. Qui circola una spezia magica, in grado di risvegliare le affinità di chiunque beva il misterioso tea al misra.

Imani ha diciassette anni e un’affinità nei confronti dell’acciaio. La ragazza è in grado di maneggiare una spada come nessun altro guerriero, cosa che le ha guadagnato una reputazione invidiabile e una posizione fra gli “Scudi”, la guardia d’elite incaricata di proteggere la città.

Imani ha combattuto contro pericolosi djinn, ghouls e altri mostri che si annidano nelle sabbie ai confini della città.

Tuttavia, la scomparsa di suo fratello maggiore ha gettato un’ombra sulla sua reputazione. Perché il giovane, prima di andarsene, ha rubato una scorta di misra, trascinando nel fango il buon nome della sua famiglia e mostrando i primi sintomi di quella che potrebbe presto diventare un’ossessione magica.

Imani credeva che suo fratello fosse morto nel deserto. Ma quando emerge una serie di prove contrarie, la ragazza stringe un patto con il Concilio per ritrovare il ragazzo e riportarlo a casa, prima che possa rivelare al mondo esterno l’ubicazione della leggendaria città di Qalia. Nel suo pericoloso viaggio, verrà accompagnata da Qayn, un dijinn impertinente quando affascinante, e da Taha, un arrogante Scudo in grado di comunicare con gli animali.

Come Imani avrà modo di scoprire, molti segreti albergano al di là delle Terre Desolate – e nel suo stesso cuore. Ma riuscirà a ritrovare suo fratello, prima che il suo tradimento metta a repentaglio il fato di Qalia?



“Spice Road”: la recensione

Se hai apprezzato libri come “The Unbroken” di C. L. Clark o “Babel” di R. F. Kuang, sospetto che “Spice Road” abbia qualche possibilità di colpirti in positivo.

Non necessariamente perché tu abbia gusti o interessi diversi dai miei (questi titoli fanno parte anche della mia libreria, dopotutto). Molto più semplicemente, ho l’impressione che potresti aver sviluppato una soglia di tolleranza più alta della mia, nei confronti di certa supponente autoreferenzialità retorica.

Coltivare soltanto il messaggio politico, a discapito della cura strutturale e formale del testo (personaggi, worldbuilding, archi trasformativi, trama ecc.), francamente sta diventando un trend che non riesco più a giustificare.

A beneficio di “Spice Road”, devo aggiungere che, certo, Maiya Ibrahim dedica una certa attenzione anche all’elemento romantico!

La relazione fra Taha e Imani vanta parecchie sfumature, dal punto di vista emotivo, arrivando a incarnare una versione complessa ed evoluta del trope dell’enemies-to-lovers. Peccato che si tratti di un rapporto altamente tossico, basato sul disprezzo reciproco e su un certo narcisismo di fondo (perché, diciamocelo, vorrà pur dire qualcosa il fatto che i due personaggi principali scoprano di piacersi soltanto nel momento in cui si trasformano l’uno nello specchio dell’altra).

Da un punto di vista “alchemico”, stiamo peraltro parlando di due grandissimi pezzi di legno, del tutto incapaci di generare una scintilla.

A scaldare l’ambientante avrebbe dovuto provvedere, forse, Qayn, il secondo interesse romantico di Imani. Un personaggio che, in linea teorica, avrebbe potuto contribuire a innescare un focolaio di interesse nei confronti delle dinamiche che si sviluppano all’interno della coppia principale. Purtroppo, anche nel caso del djinn, mi è parso di assistere alla compresenza di una quantità sterminata di cliché, elementi che abbiamo già visto interagire in un triliardo di altri sornioni personaggi-trickster prima di lui.

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“What Lies in the Woods”: la recensione del mistery di Kate Alice Marshall


what lies in the woods recensione - kate alice marshall

Questo martedì, la recensione di “What Lies in the Woods” ci accompagna!

Il libro di Kate Alice Marshall è un nuovo, torbido “small town mistery”. Ma, a essere del tutto sincera, stavolta si tratta di una lettura che ho trovato indigesta, e sotto parecchi punti di vista. Dopotutto, esistono poche cose più noiose di un thriller che non è in grado di coglierti di sorpresa neanche per un secondo, dico bene?


La trama

Un tempo, Naomi Shaw credeva nella magia. Ventidue anni fa, lei e le sue due migliori amiche, Cassidy e Olivia, erano solite trascorrere l’estate scorrazzando per i boschi, immaginando un mondo di cerimonia e di incanto. Lo chiamavano il “Gioco della Dea”.

La loro ultima estate insieme è finita con l’inspiegabile aggressione subita da Naomi. Per puro miracolo, la ragazza è riuscita a sopravvivere a diciassette coltellate e a identificare l’uomo che l’ha attaccata. La testimonianza della ragazza è stata decisiva per identificare il serial killer che stava terrorizzano l’area, peraltro già ricercato per l’omicidio di sei donne.

Agli occhi della comunità, Naomi e le sue amiche si sono comportate da eroine.

Ma, in realtà, le tre ragazze sono delle bugiarde.

Per decadi, hanno continuano a tenersi stretto un segreto per cui potrebbe valere la pena uccidere. Adesso, però, Olivia è pronta a rivelare la verità. Naomi, che soffre di amnesia selettiva, decide allora di scoprire cosa è accaduto davvero quel giorno, svelando la catena di eventi che ha portato al suo attacco.

Ma non ha idea di quello che potrebbe costarle



“What Lies in the Woods”: la recensione

“What Lies in the Woods” schiera in campo una protagonista bisessuale (ma che, stranamente, sembra attratta soltanto dalla sfilza di personaggi maschili che si materializzano sulla sua strada…), un armamentario di twist telefonatissimi, una deprimente collezione di cliché spacciati per archetipi…

Il risultato? Un mistery a forti tinte rose che mi sentirei di consigliare soltanto a un lettore alle primissime armi; uno che, possibilmente, non abbia mai sentito parlare di Paula Hawkins o Gillian Flynn. Ma neanche di Taylor Adams o Simone St. James, se per questo.

Praticamente, ti basta leggere la sinossi riportata in quarta di copertina per scoprire tutto quello che c’è da sapere a proposuto di questa storia e di dove andrà a parare. La stessa cosa che aveva attirato la mia attenzione – il “Gioco della Dea”, la dinamica angosciante e pericolosa che si viene a instaurare fra le tre bambine/giovani donne – si rivela, del resto, una sorta di specchietto per le allodole.

Sì, perché Kate Alice Marshall impiega UN ATTIMO a sminuire la complessità e le sfumature dell’amicizia al femminile, riducendo tutto a una deprimente pioggia di stereotipi.

Per cominciare, le basta trasformare la sua protagonista nella classica eroina tormentata a caccia di un cavaliere dalla scintillante armatura, e proseguire confinando le sue due amiche al ruolo di spalla/macchietta (non scendo nei particolari, per evitare quei due o tre spoiler in cui potresti davvero rischiare di incappare).


La verità è là fuori

Cosa resta, allora, di una premessa che poteva sembrare – non dico rivoluzionaria – ma quantomeno abbastanza intrigante da giustificare la lettura dell’ennesimo thriller?

Bè, sei sei interessato a quel genere di cose, sicuramente l’autrice approfondisce il tema delle varie turbe sentimentali della protagonista. Una donna adulta (che, peraltro, è stata vittima di abusi da adolescente…) e che, adesso, si sente incline sfoggiare le sue cicatrici e a mostrarsi come cinica, disincantata ecc. Ma che poi riesce, miracolosamente, a innamorarsi di un tizio gentile a caso nel giro di quattro pagine e a fidarsi ciecamente di lui… al punto da confidargli allegramente tutti i segreti della sua vita, compresi quelle delle sue cosiddette “amiche”.

Non vorrei, ora, che tu rischiassi di fraintendere i toni di questa recensione di “What Lies in the Woods”. Non nutrivo aspettative stellari nei confronti del titolo di Kate Alice Marshall . Quello che cercavo, semplicemente, era una buona forma di intrattenimento, qualcosa in grado di distogliermi dai miei studi per qualche ora.

Mi era già chiaro, insomma, che il romanzo non sarebbe stato un nuovo “Creature del Cielo” o una versione alternativa di “Mare of Easttown”.

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“How to Sell a Haunted House”: la recensione del folle libro horror di Grady Hendrix


how to sell a haunted house recensione - grady hendrix

La recensione di “How to Sell a Haunted House” di Grady Hendrix sarà un po’ ambigua, temo.

Cercherò di spiegarmi meglio nel corso dell’articolo. Il succo del discorso, però, è che nutro dei sentimenti abbastanza ambivalenti nei confronti di questo surreale campy horror a tema pupazzetti dall’inferno!

Da una parte, infatti, ho sicuramente apprezzato la contagiosa ironia dell’autore, nonché il suo sforzo di conferire un certo livello di profondità emotiva all’intera vicenda. Dall’altra, devo ammettere di non essere rimasta particolarmente colpita dall’altalenante costruzione della trama, né da quella dei personaggi


La trama

Quando Luoise scopre che i suoi genitori sono morti, non è affatto felice all’idea di dover tornare nella sua città d’orgine. Tanto per cominciare, non ha nessuna voglia di lasciare la sua bambina, Poppy, alle cure del suo ex, per volare a Charleston da sola.

E poi, Louise non è certo ansiosa di avere a che fare con la casa dei suoi genitori! L’edificio, infatti, è stracolmo di ricordi. Contiene tutto ciò che resta della carriera accademica di suo padre e dell’eterna ossessione di sua madre verso bambole e pupazzi.

Soprattutto, Luoise non vuole avere a che fare con il suo nullafacente fratello, Mark.

Mark, dal canto suo, non ha certo intenzione di renderle le cose più facili. L’uomo, che non ha mai lasciato Charleston e non è mai riuscito a tenersi un lavoro per più di qualche giorno, cova un grandissimo risentimento nei confronti della sorella. Sfortunatamente, Luoise dovrà trovare un modo per dialogare con Mark, se intende preparare la casa per la vendita.

Specialmente perché, a quanto pare, non bastano una mano di vernice e una sana dose di pulizie per rendere appetibile per il mercato una vecchia magione infestata.

Certe case non hanno nessuna intenzione di essere cedute. Quella di Louise e Mark, ad esempio, sta preparando piani di tutt’altro genere nei confronti dei suoi proprietari…




“How to Sell a Haunted House”: la recensione

Nei suoi aspetti essenziali, “How to Sell a Haunted House” ” si legge quasi come una sorta di bizzarra saga famigliare condensata… con un sadico emulatore del pupazzo Slappy a fare da improbabile collante intergenerazionale, e un gustoso contorno di intermezzi comico-demenziali a ravvivare sporadicamente l’atmosfera.

C’è da dire che, se non avessi divorato – e visceralmente amato – due dei precedenti romanzi dell’autore (“My Best’s Friend Exorcism” e “Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute”, entrambi in editi in Italia da Mondadori), forse stavolta non sarei riuscita a spingermi oltre pagina settanta.

Perché credo di aver cominciato a sviluppare un piccolo problema nei confronti dei “primi atti” delle opere di Grady Hendrix: i capitoli introduttivi mi annoiano un po’, probabilmente perché ai protagonisti dei suoi libri serve sempre del tempo per riuscire a rendersi riconoscibili ed ergersi al sopra della baraonda di gag, battute e azione sfrenata che l’intreccio tende sempre a scagliare nella loro direzione. Nel caso di “How to Sell a Haunted House”, devo dire che questo fenomeno si è replicato alla perfezione.

In realtà, a fine lettura mi sentirei di definire Luoise, l’eroina del libro, come un “personaggio abbastanza ok“. Suo fratello Mark, viceversa, mi è sembrato un idiota colossale e infantile dalla prima all’ultima pagina. Tant’è che ho fatto veramente fatica a mandar giù una lunga (e delirante) parentesi narrata dal suo punto di vista.

Il che, fra l’altro, rappresenta un altro dei problemi principali: perché i frequenti flashback, i retroscena, le digressioni, a tratti rendono la lettura pastosa e, a mio avviso, anche un filino pedante. Nella seconda parte, per fortuna, questo meccanismo inizia ad attenuare i suoi effetti, permettendo a Hendrix di dispiegare tutti i suoi punti di forza, i suoi caratteristici assi nella manica: ad esempio, il fattore nostalgia, la metafora sovrannaturale, le complicate sfumature dei rapporti famigliari, il sense of wonder tipico dell’infanzia…


Lo “spirito dell’infanzia”

Direi che è arrivato il momento di bilanciare la mia recensione di “How to Sell a Haunted House”, introducendo alcune considerazioni relative a quelli che sono, invece, i miei elementi preferiti del libro.

Ho apprezzato tantissimo, ad esempio, l’atmosfera disturbante e retrò della narrazione. Ma anche l’originalità dei colpi di scena e gli sviluppi imprevedibili (per non dire esilaranti) portati dal classico trope horror dei “pupazzetti malevoli che prendono vita”.

Se i film del franchise “Annabelle” avessero la metà della personalità del romanzo di Grady Henrix, ci troveremmo senza dubbio alle prese con alcuni degli horror più inquietanti e divertenti dell’ultimo decennio!

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