“Spice Road”: la recensione del libro fantasy di Maiya Ibrahim


spice road recensione - maiya ibrahim

Nella recensione di “Spice Road”, ci troveremo ancora una volta a fare i conti con la domanda che, da un po’ di tempo a questa parte, tende a ronzarmi nell’orecchio ogni volta che mi accosto a un libro fantasy YA: quale dovrebbe essere, esattamente, lo scopo di un buon romanzo d’avventura per ragazzi?

Dal canto mio, ho sempre avuto una teoria: intrattenere, coinvolgere, affrontare tematiche care alla vita di ogni giorno di un adolescente… e magari, occasionalmente, invitarlo anche a riflettere su alcuni importanti argomenti di attualità.

Eppure, adesso, sta prendendo piede un’altra tendenza. Come se l’obiettivo primario di un libro fantasy dovesse essere quello di… Bè, non voglio dire “indottrinare” il lettore. Sembra una termine un po’ forte, no? Perfino esagerato. Ma devo ammettere che sto facendo fatica a tenermi lontana da questa parola.

Perché quando il tono di una narrazione è così piatto, la tecnica maldestra, i toni melodrammatici e la trama appesa a un filo, è chiaro che si stenta a inquadrare il senso di una storia che non fa altro che spiattellarti in faccia lo stesso messaggio ancora, e ancora, e ancora…


La trama

Qalia è una città segreta, nascosta nel deserto. Qui circola una spezia magica, in grado di risvegliare le affinità di chiunque beva il misterioso tea al misra.

Imani ha diciassette anni e un’affinità nei confronti dell’acciaio. La ragazza è in grado di maneggiare una spada come nessun altro guerriero, cosa che le ha guadagnato una reputazione invidiabile e una posizione fra gli “Scudi”, la guardia d’elite incaricata di proteggere la città.

Imani ha combattuto contro pericolosi djinn, ghouls e altri mostri che si annidano nelle sabbie ai confini della città.

Tuttavia, la scomparsa di suo fratello maggiore ha gettato un’ombra sulla sua reputazione. Perché il giovane, prima di andarsene, ha rubato una scorta di misra, trascinando nel fango il buon nome della sua famiglia e mostrando i primi sintomi di quella che potrebbe presto diventare un’ossessione magica.

Imani credeva che suo fratello fosse morto nel deserto. Ma quando emerge una serie di prove contrarie, la ragazza stringe un patto con il Concilio per ritrovare il ragazzo e riportarlo a casa, prima che possa rivelare al mondo esterno l’ubicazione della leggendaria città di Qalia. Nel suo pericoloso viaggio, verrà accompagnata da Qayn, un dijinn impertinente quando affascinante, e da Taha, un arrogante Scudo in grado di comunicare con gli animali.

Come Imani avrà modo di scoprire, molti segreti albergano al di là delle Terre Desolate – e nel suo stesso cuore. Ma riuscirà a ritrovare suo fratello, prima che il suo tradimento metta a repentaglio il fato di Qalia?



“Spice Road”: la recensione

Se hai apprezzato libri come “The Unbroken” di C. L. Clark o “Babel” di R. F. Kuang, sospetto che “Spice Road” abbia qualche possibilità di colpirti in positivo.

Non necessariamente perché tu abbia gusti o interessi diversi dai miei (questi titoli fanno parte anche della mia libreria, dopotutto). Molto più semplicemente, ho l’impressione che potresti aver sviluppato una soglia di tolleranza più alta della mia, nei confronti di certa supponente autoreferenzialità retorica.

Coltivare soltanto il messaggio politico, a discapito della cura strutturale e formale del testo (personaggi, worldbuilding, archi trasformativi, trama ecc.), francamente sta diventando un trend che non riesco più a giustificare.

A beneficio di “Spice Road”, devo aggiungere che, certo, Maiya Ibrahim dedica una certa attenzione anche all’elemento romantico!

La relazione fra Taha e Imani vanta parecchie sfumature, dal punto di vista emotivo, arrivando a incarnare una versione complessa ed evoluta del trope dell’enemies-to-lovers. Peccato che si tratti di un rapporto altamente tossico, basato sul disprezzo reciproco e su un certo narcisismo di fondo (perché, diciamocelo, vorrà pur dire qualcosa il fatto che i due personaggi principali scoprano di piacersi soltanto nel momento in cui si trasformano l’uno nello specchio dell’altra).

Da un punto di vista “alchemico”, stiamo peraltro parlando di due grandissimi pezzi di legno, del tutto incapaci di generare una scintilla.

A scaldare l’ambientante avrebbe dovuto provvedere, forse, Qayn, il secondo interesse romantico di Imani. Un personaggio che, in linea teorica, avrebbe potuto contribuire a innescare un focolaio di interesse nei confronti delle dinamiche che si sviluppano all’interno della coppia principale. Purtroppo, anche nel caso del djinn, mi è parso di assistere alla compresenza di una quantità sterminata di cliché, elementi che abbiamo già visto interagire in un triliardo di altri sornioni personaggi-trickster prima di lui.

La sua backstory, tragica e melensa, non smuove e non sorprende. Per non parlare del fatto che il suo presunto interesse sentimentale verso la protagonista – una delle eroine fantasy più deprimenti e altezzose di sempre – mi è parso a dir poco inverosimile…


Bevi il tè magico, e stai a vedere cosa succede (spoiler: assolutamente nulla!)

E veniamo, adesso, alla nota più dolente di tutte: vale a dire, il ridicolo sistema magico alla base dell’intreccio.

Tutta la storia della spezia miracolosa che si traduce in un tè incantato in grado di donare fenomenali poteri cosmici mi è parsa… bè, un po’ tirata per i capelli, a dire il vero. Una di quelle premesse che sei disposto a tollerare in una light novel perché, diciamocelo, il genere isekai ha le sue convenzioni, e uno da quel punto di vista non ha altra scelta se non ubbidire al comandamento: prendere o lasciare.

Ma il problema di “Spice Road” è che l’autrice sembra dimenticarsi della sua stessa premessa. Di rado, i personaggi di “Spice Road” si trovano veramente a combattere o a usare i loro doni speciali. Perfino quando lo fanno, finiscono per prendere alla sprovvista il lettore, contraddicendo ogni umano senso della logica e tirando fuori dal cilindro qualche inverosimile trucchetto da strapazzo.

E generando dei buchi pronti a trasformare la trama in un’inutile accozzaglia di tela sfilacciata (la scena della fuga dalla prigione è EPICA, da questo punto di vista).

Mi piacerebbe concludere questa recensione di “Spice Road” su una nota positiva perché, al diavolo! Non sono di quelle tizie disposte a riempirsi il portafogli scagliando una slavina di fango su libri che, magari, hanno avuto il potere di rubare il cuore a tantissimi altri lettori.

Non sono neppure qui per mentire o addolcire la pillola, però.

“Spice Road” avrà sicuramente i suoi lati positivi, per un certo tipo di pubblico. Non dal punto di vista della sottoscritta. Di tutti i libri letti quest’anno, questo è sicuramente quello che ho trovato più didascalico, fotocopiato e noioso.


Dopo “Spice Road”: ulteriori consigli di lettura

Se il sottogenere del “desert fantasy” ti è congeniale, ti consiglio innanzitutto di recuperare “La Città di Ottone” di S. A. Chakraborty, insieme ai suoi due sequel. Peraltro, la stessa autrice ha firmato anche il meraviglioso “The Adventures of Amina al-Sirafi, senz’altro uno dei migliori titoli fantasy del 2023.

Se fossi in te, getterei un’occhiata anche a “The Daughters of Izdihar di Hadeer Elsbai., un’appassionata invettiva contro il patriarcato che – vistosi difetti a parte – vanta senz’altro una serie di aspetti interessanti, oltre a gettare le basi per un sequel promettente.

Prima di salutarti, vorrei soltanto ricordarti che “Spice Road” ti aspetta su Amazon, in formato cartaceo oppure in ebook. Per il momento, il titolo d’esodio di Maiya Ibrahim è disponibile esclusivamente in lingua inglese.


E tu? Cosa ne pensi della mia recensione di “Spice Road”?

Ami il “desert fantasy”? 🙂


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