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“Daughter Of The Bone Forest”: la recensione del romantasy di Jasmine Skye


Daughter of the Bone Forest recensione - Jasmine Skye

Non si sta parlando neanche remotamente abbastanza di “Daughter Of The Bone Forest” di Jasmine Skye, e nulla mi toglierà mai dalla mente questa semplice verità.

Eppure, nonostante si tratti di un romanzo d’esordio, ti assicuro che il primo volume della dilogia “Witch Hall” si è rivelato davvero buono: avvincente, scorrevole, ravvivato da tematiche interessanti e corredato da un sistema magico che rispetta ogni singola Regola della Magia di Brandon Sanderson.

Come potrebbe – e, soprattutto, perché mai dovrebbe – un affezionato lettore di YA commettere l’errore di non aggiungere questo titolo in wish-list?

Certo, a patto di amare gli animali. E il trope dell’accademia magica. E l’estetica della “dark forest“. Ma siamo onesti… chi è che non stravede per queste cose? ;D


La trama

Rosy è un famiglio delle ossa, dotata del potere di trasformarsi in animale. Trascorre la maggior parte dei suoi giorni all’interno della Foresta delle Ossa, prendendosi cura di sua nonna, una veterana dell’esercito che tende a sprofondare spesso in uno stato aggressivo e ferale.

La nonna ha insegnato a Rosy che nascondere l’entità dei suoi poteri è l’unico modo per restare al sicuro e assicurarsi di evitare la coscrizione nell’esercito del Re delle Streghe. E Rosy è fin troppo felice di compiacere la nonna… almeno fino a quando la Principessa Shaw, unica figlia ed erede del Re, non si reca in visita nella Foresta.

Non appena Rosy salva la vita di Shaw, la principessa – una potente necromante – le offre la possibilità di frequentare la prestigiosa Witch Hall, una scuola di magia riservata all’istruzione delle streghe e dei loro famigli.

Nonostante si trovi a diffidare delle reali intenzioni di Shaw, Rosy non riesce a resistere alla tentazione offerta da un’opportunità del genere: dopotutto, a Witch Hall potrebbe essere disponibile l’unica cura esistente contro gli episodi maniacali di sua nonna…

Tuttavia, una volta giunta all’accademia, Rosy si ritrova invischiata in giochi politici che non è in grado di comprendere. Shaw vorrebbe che la ragazza entrasse a far parte del suo entourage, o addirittura che si legasse a lei, diventando il suo famiglio e accettando di vivere e combattere al suo fianco per il resto delle loro vite.

Ma, con la minaccia di una guerra sanguinaria all’orizzonte, Rosy desidera soltanto tenersi fuori dai guai fino al giorno del diploma e trovare un modo per salvare sua nonna. Tuttavia, neppure lei può negare la crescente attrazione che prova per Shaw, o la rassicurante sensazione di calore che la magia della necromante riesce a risvegliare in lei…


“Daughter Of The Bone Forest”: la recensione

Il romanzo di Jasmine Skye va a collocarsi felicemente all’interno di molti dei nuovi trend dominanti in materia di romantasy. La sovrapposizione fra i due generi (fantasy e romance) si dimostra pienamente efficace e più che palese, dal momento che la relazione fra Rosy e Shaw (che sarà, a quanto pare, la protagonista assoluta del secondo tomo della dilogia, “Daughter of the Cursed Kingdom“…) rappresenta il cuore pulsante della narrazione.

Tuttavia, non si può negare che il “retroterra” di “Daughter Of The Bone Forest” affondi le sue radici in alcuni elementi strettamente legati al genere del fantasy classico. Tanto per cominciare, fra le sue pagine non è possibile rinvenire traccia di tutti quei contenuti sessuali espliciti che, nell’era del BookTook post-Cinquanta Sfumature di Grigio, sembrano andare tanto per la maggiore.

L’autrice predilige, semmai, giocarsi la carta dell’affinità e della compatibilità caratteriale, offrendo ai lettori il ritratto di una relazione tormentata da mille sfumature emotive e contrastata da ostacoli esterni e interni di ogni tipo.

Nel procedere su questa strada, calca la mano sulla componente avventurosa e lavora tantissimo sul worldbuilding e sul sistema magico, attualizzando la maggior parte dei tropes legati alla narrativa fantastica di stampo “tradizionale” (non per niente, Jasmine Sky cita Tamora Pierce e Robin McKinley fra le sue autrici del cuore…) ed evocando un mondo che, pur rifiutando con forza di aderire a qualsiasi forma di razzismo, misoginia o eteronormatività, le permette comunque di esplorare le universali tematiche del pregiudizio, del classismo, dell’attivismo e dell’eterna lotta del Bene contro il Male.


Una variante intrigante sul tema dei “soulmates”…

Bisognerebbe assolutamente inventare un nome per l’alternativa saffica al trope dell’“he fells first“…

Ad ogni modo, sappi che, in “Daughter Of The Bone Forest”, è Shaw, la principessa necromante, a innamorarsi per prima di Rosy, questa simpatica e rubizza “horse girl” cresciuta in un ranch e capace di trasformarsi nel più protettivo e feroce dei lupo stregati.

L’arco trasformativo di Rosy non mi ha convinto proprio al 100%, perché… Bè, senti, sono la prima a sostenere la necessità di lasciar commettere una carovana di errori a un personaggio, prima di permettergli di imparare la lezione. Ma esiste un limite oltre al quale a qualsiasi lettore viene spontaneo farsi domande circa le facoltà cognitive dell’eroe/eroina in questione… potrebbe essere meglio, per un autore, non arrischiarsi a superare quel confine.

Ho apprezzato molto, in ogni caso, la caratterizzazione di Rosy, estremamente vivida e dotata di una concretezza rarissima da trovare all’interno di un romanzo fantasy. Ancora di più mi è piaciuta l’idea di creare un mondo tutto organizzato attorno a questi simbiotici (e viscerali) legami fra strega e famiglio, che vanno un po’ a sostituire/integrarsi con il classico trope dei “soulmates” predestinati.

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“Wicked: Parte 1”: la recensione del film che riscrive la storia delle streghe di Oz


wicked parte 1 recensione

Ho visto il film musical sulla strega verde e mi è piaciuto un sacco: questa è la frase che incarna, in soldoni, tutta l’essenza della mia recensione di “Wicked: Parte 1”!

Prima di andare avanti a leggere l’articolo, ti invito a tenere conto di due semplici fatti:

1) L’autrice di questo articolo, una millenial palesemente disadattata, adora andare a vedere i musical al cinema e ha fatto in modo di non perdersene uno dai tempi dell’uscita del “Moulin Rouge!”. Ciononostante, ci tengo a precisare che non ho mai assistito a uno spettacolo dal vivo e che le mie competenze musicali equivalgono a quelle di un ragazzino delle medie alle prese con la sua prima lezione di flauto…

2) Non mi è mai andato particolarmente a genio il libro di Gregory Maguire a cui “Wicked” è ispirato. Probabilmente perché si tratta di uno scritto che si legge, più che come un romanzo vero e proprio, come una graffiante satira politica e un arguto commentario sociale.

Per fortuna, alla resa dei conti, l’affinità fra il libro e il film si rivela abbastanza marginale… Perciò, se ti aspetti un adattamento fedele (o se, dopo aver adorato questa prima parte della storia di Elphaba e Galinda in versione cinematografica, ti è venuta una mezza tentazione di acquistare lo splendido volume targato Mondadori…) tieni conto delle debite differenze e non rischierai di imbatterti in qualche (evitabilissima) delusione.


Di cosa parla “Wicked: Parte 1”?

La versione cinematografica di “Wicked”, al pari della sua controparte teatrale, si concentra sulla complessa storia d’amicizia, complicità e rivalità fra le due streghe di Oz Elphaba (Cynthia Erivo) e Galinda (Ariana Grande).

In particolare, questo primo film segue gli anni giovanili della loro formazione e i loro studi presso la prestigiosa accademia di magia Shiz.

A causa di un momento di disattenzione da parte di sua madre, Elphaba, la futura Strega dell’Ovest, nasce con la pelle verde e un destino che sembra già segnato da pregiudizio, oscurità e miseria. Tuttavia, nel momento in cui la stimatissima Madame Morrible (Michelle Yeoh) si rende conto dello straordinario potenziale magico di Elphaba, la ragazza viene caldamente invitata a iscriversi alla Shiz e a coltivare il suo talento verso le complesse arti stregonesche.

Nel giro di poco tempo, la sua indole introversa e anticonformista la renderà un facile bersaglio per lo scherno dei compagni.

Tuttavia, grazie all’incontro/scontro con l’eterea e popolare Galinda (la futura “Strega Buona” del mondo di Oz…), la vita della solitaria Elpheba andrà incontro a una svolta imprevista…


“Wicked: Parte 1” – la recensione

Hai presente quando si parla di quei rari momenti-cardine nella vita di ciascuno di noi?

Uno di quei cinque o sei eventi di natura straordinaria, attorno ai quali il resto della nostra esistenza e della nostra personalità sono destinate a strutturarsi?

Ecco. Per le protagoniste di “Wicked: Prima Parte”, uno di questi “perni” coincide senz’altro con l’incontro fra Elphaba e Galinda. Un “meet-cute che rappresenta, ovviamente, soltanto il primo beat dello sfiziosissimo trope “Golden Retriever X Black Cat“; un pattern che la sceneggiatura porta avanti, con deliberata consapevolezza e il pieno supporto del suo cast artistico, fino al commovente finale, passando per l’emotivamente carico midpoint (l’iconica scena del ballo).

Non c’è bisogno che sia io a dirtelo: nulla di tutto questo sarebbe stato possibile, se le due attrici protagoniste non avessero dimostrate di essere praticamente nate per questi due ruoli. O se Erivo e Grande non avessero instaurato una chimica incredibile sul set di “Wicked”, riuscendo ad armonizzare le loro voci e le loro interpretazioni in maniera strepitosa.

In effetti, attraverso lo schermo, hai l’impressione di riuscire a cogliere l’immenso livello di devozione riversaton all’interno di questo progetto non soltanto da loro, ma anche da parte degli altri attori e del cast tecnico.

Il risultato, magnetico e coinvolgente, è un blockbuster che riesce a tenerti incollato alla poltrona per centossessanta minuti e a lasciarti senza fiato, soprattutto al cospetto dell’inevitabile cliffhanger di fine prima parte…


Una possibilità di volare

Se hai un’indole giocosa, una vivida immaginazione e un grande amore per la musica, non puoi rischiare di perderti “Wicked: Parte 1” sul grande schermo.

Questo film è una festa sensoriale, una spettacolare ostentazione di sinergia, passione e talento, amalgamate insieme a creare un’esplosione di movimento, suono e colori. Un grande, irresistibile “giocattolone” concepito per emozionare e divertire. Ma anche un tripudio di effetti speciali, coreografie pazzesche e scenografie eccentriche, che rischiano di passare in secondo piano soltanto perché, fortunatamente, la colonna sonora si rivela all’altezza delle aspettative e la storia cattura alla perfezione.

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“Qualcuno in cui fare il nido”: la recensione del “mostruoso” (ma bellissimo!) libro di John Wiswell


qualcuno in cui fare il nido recensione - fantasy - john wiswell

Se ti è capitato di leggere altre recensioni di “Qualcuno in cui fare il nido”, probabilmente sai già che si tratta di un libro un po’ matto.

E, tanto per mettere in chiaro le cose, non sarò certo io a smentire questa impressione: il romanzo del bravissimo John Wiswell è davvero qualcosa di eccentrico, peculiare, pazzesco… ma si dà il caso che sia anche dolcissimo, intimista, commovente, vagamente creepy e una testimonianza diretta della straordinaria sensibilità del suo autore.

Insomma, uno di quei rari libri che non leggi tanto perché la trama ti ispira, o per via dei tropes e delle vibes accattivanti, quanto perché sospetti che riuscirà a lasciarti in eredità un’emozione profonda e duratura


La trama

Shesheshen è una mutaforma, felice di vivere sotto le sembianze di un globo informe in fondo a un maniero in rovina. Soltanto quando il suo riposo viene interrotto da un gruppo di scortesi cacciatori di mostri, inizia a costruirsi un corpo usando i resti dei suoi pasti passati: una catena di metallo a mo’ di spina dorsale, delle ossa prese in prestito come arti, e una trappola per orsi come bocca extra.

A causa dei cacciatori, Shesheshen rimane gravemente ferita. Per fortuna, a prendersi cura di lei provvede Homily, un’umana dall’indole gentile e il cuore gigantesco. Nel giro di poco tempo, Shesheshen si rende conto che Homily potrebbe diventare una splendida co-genitrice; il suo corpo, caldo e accogliente, il “luogo” ideale in cui deporre le sue uova, in modo tale che i loro piccoli possano nutrirsi di Homily al momento della nascita.

Eppure, non appena le due cominciano ad avvicinarsi, Shesheshen si rende conto che divorare la sua ragazza non è un’opzione accettabile.

Ma proprio nel momento in cui Shesheshen sta per confessare la sua identità, Homily le rivela qualcosa di altrettanto sorprendente: anche lei si è messa a caccia di una creatura mutaforma… la stessa che, a quanto pare, in passato ha lanciato una terribile maledizione sulla sua famiglia e decretato la rovina della sua dinastia. Non è che per caso Shesheshen l’ha vista da qualche parte, vero?

Dal momento che Shesheshen non ha maledetto proprio nessuno, toccherà a lei scoprire perché l’abusiva famiglia di Homily pensa che l’abbia fatto. Ma mentre la caccia va avanti, e si fa sempre più letale, la sfida più grande di tutte rimarrà sempre la stessa: imparare, finalmente, a costruirsi una vita insieme – piuttosto che dentro – la donna che ama.


“Qualcuno in cui fare il nido”: la recensione

L’umanità, vista da fuori: da chi umano non è, non sarà mai e non è mai stato.

Quali sarebbero, secondo te, le prime idiosincrasie dell’umanità a saltare all’occhio?

Impossibile prevedere la risposta, ma qualcosa mi dice che potrebbe assomigliare, in maniera scandalosa, a quella punta di mostruosità che, ormai, facciamo sempre più fatica a ignorare perfino dall’interno.

Da parte di John Wiswell, affidare il punto di vista della narrazione alla “creatura mostruosa” Shesheshen – una sorta di “blob” mutaforma, fagocita-carcasse e dotato di uno spassosissimo black humor – si è rivelata senz’altro la scelta vincente.

Non per niente, la protagonista di questa storia è uno dei personaggi non-umani e sprovvisti di cuore più sensibili e umani di cui io abbia mai letto. E se ti sembra un po’ un ossimoro, bè, probabilmente è perché lo è, ma tu prova a leggere “Qualcuno in cui fare il nido” e capirai perfettamente che cosa intendo!

Ora…

Questa nuova pubblicazione targata Ne/oN Edizioni si avvale di una struttura characters-driven; il che vuol dire che non si tratta di una storia, necessariamente, adatta ai gusti del pubblico in senso più largo. Dopotutto, la storia affronta tematiche difficili e si concentra molto sul concetto di trauma, soprattutto nella sua variante generazionale.

I protagonisti, poi, non sono i tuoi classici, avvenenti e ammiccanti eroi da romantasy in cima alle classifiche di vendita del New York Times; sono, semmai, degli adulti complicati, danneggiati, dolorosamente consapevoli delle imperfezioni dei rapporti che ci legano.

Imperfezioni che, in realtà, rendono le nostre relazioni più forti e più autentiche, proprio perché non esiste strumento di guarigione più potente dell’empatia che risiede alla base di ogni (vera) storia d’amore…


Il cozy fantasy con… la pelliccia e i denti!

“Qualcuno in cui fare il nido” incarna l’essenza di un cozy fantasy, letto però dalla prospettiva di una (specie di) viverna: il che vuol dire che, assieme ai fuochi scoppiettanti, alle pozioni e ai cestini ricchi di vivande, potrai aspettarti di trovare al suo interno orde di corpi sventrati, grumi di frattaglie grigiastre pronte a trasformarsi in companion e accoglienti fonti sotterranee traboccanti di resti umani.

A mo’ di aggiunta, un paio dei miei archetipi da villain preferiti: la Madre Soffocante e due Sorelle Sadiche, accompagnate da un intero esercito di soldatini pusillanimi tutti-da-detestare.

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“Agatha All Along”: la recensione della serie tv Marvel che ha (finalmente!) riportato le streghe in tv


Agatha all along banner

Da quanto tempo stavo aspettando di pubblicare la recensione di “Agatha All Along”?

Quasi un mese, ormai. Mi sono ufficialmente trasformata nella proverbiale tizia incaricata di chiudere la parata; e c’è da dire che, nel caso specifico in questione, mi rammarico del ritardo addirittura più del solito.

Anche perché ti assicuro che ho seguito fedelmente, ogni settimana, gli episodi rilasciati su Disney+. Anzi… La verità è che mi sono ritrovata a fagocitarli, in preda a un considerevole livello di adorazione!

E… sì, lo so: dal mio punto di vista personale, pare abbastanza chiaro che “Agatha All Along” poteva soltanto ambire diventare LA serie Marvel per antonomasia. La prima e unica pensata, scritta a interpretata avendo la sottoscritta come rappresentante del proprio pubblico ideale, anziché il classico trentenne maschio che va a letto indossando i boxer di Spider-Man e sognando di avere il savoir faire di Iron-Man (ehi, guarda che non sto mica criticando, eh? Sarà dal 2019 che vado a dormire ogni sera indossando la mia t-shirt viola di Captain Marvel…).

Voglio dire, quando gli ingredienti di uno show televisivo sono:

  • una squinternata congrega di streghe;
  • delle irresistibili vibes in stile “Hocus Pocus”;
  • una protagonista moralmente ambigua, trickster e queer;
  • un pizzico di sapphic yearning;
  • Kathryn Hahn + Aubrey Plaza = ♥…

… come diavolo puoi spettarti di piazzare me davanti al televisore e non fare centro?

Eh, già. La cosa che mi ha intrippato di più, però? Una volta tanto, ho potuto condividere il mio entusiasmo per qualcosa di eccentrico, ben fatto e diverso con il resto del grande pubblico…


Di cosa parla “Agatha All Along”?

“Agatha All Along” è uno spin-off della monumentale miniserie “WandaVision“, a sua volta disponibile sulla piattaforma streaming Disney+.

Dopo la partenza di Wanda (Elizabeth Olsen) da Westview, la strega Agatha è rimasta in città, prigioniera di un incantesimo dalle condizioni alquanto peculiari.

Agatha ha perso buona parte della sua magia. Non ha memoria del suo passato e si crogiola in una lunga serie di allucinazioni derivate dalla sua vasta conoscenza di telefilm polizieschi e/o a sfondo procedurale (qualcuno ha detto “Mare of Easttown“, per caso?).

Tuttavia, l’arrivo di una vecchia nemesi e di un misterioso ragazzino la spingeranno a formare una nuova congrega e a imbarcarsi in una lunga e pericolosa quest per la riconquista dei suoi poteri…


Giù, giù, giù per la Strada della Strega…

Prima di “Agatha All Along”, diciamo che non avevo proprio litigato con il MCU. Ma quasi.

Non mi è piaciuto il modo in cui hanno gestito la metà dei progetti post-Endgame. E sì, sto deliberatamente includendo nella lista il simpatico “The Marvels“: perché, anche se l’ho trovato divertente, piacevolmente fresco e genericamente ca**one, sappiamo tutti che il film avrebbe potuto ambire a rappresentare l’inizio di qualcosa di grande, anziché accontentarsi di incarnare una momentanea parentesi di leggerezza e demenzialità.

Miss Marvel“, dal canto suo, rappresenta forse un’iniezione di contagioso ottimismo multiculturale; ma la forzata giovialità di “She-Hulk” risulta deprimente persino per una millenial abituata agli exploit di “Ally McBeal”, mentre “Moon Knight” ha segnato la più importante scoperta contro l’insonnia dai tempi della creazione del Valium.

Di “Quantumania“, onestamente, mi rifiuto anche soltanto di parlare.

Insomma, ultimamente era andata così.

E poi, d’un tratto, dal nulla, eccoti arrivare una piccola bomba del calibro di “Agatha All Along”. Con la sua sceneggiatura brillante e i suoi dialoghi esilaranti, i suoi personaggi larger-than-life e il suo tormentone autunnale degno della Digital Song Chart Record…

Pronta a dimostrare, semmai ce ne fosse stato bisogno, che i troll della domenica sera non hanno mai capito una cippa. Non è del ritorno trionfale di quel bolso di Robert Downey Jr. nei panni del Doctor Doom, che il MCU ha bisogno; né di qualsiasi altro patetico stunt pubblicitario dello stesso tipo.

E’ soltanto di buone storie, che noi fan di vecchia data abbiamo bisogno. Di tematiche universali, scene d’azione che non siano lì soltanto per fare “boom” e “bang” , e di archetipi in grado di risuonare con i nostri con i nostri sogni, le nostre paure e le nostre esperienze.

E, soprattutto, di registi e sceneggiatori che, come Jac Schaeffer e la sua squadra, dimostrino una grande consapevolezza di quelle che sono le aspettative del pubblico e delle varie potenzialità espressive in dotazione ai loro medium…


Chi non risica, non rosica?

Da questo punto di vista, “Agatha All Along” ha rappresentato, forse, una scommessa rischiosa per la Marvel. Lo testimoniano il budget moderato, e la lunga serie di flop che ha preceduto il debutto dei suoi primi episodi.

Eppure, a mio avviso, la scarsità di fondi (relativamente parlando, si capisce…) in realtà ha soltanto giocato a favore dello show, perché ha costretto la showrunner a concentrarsi su ciò che conta davvero: un buon uso delle tecniche di storytelling, un intreccio in grado di stimolare le capacità deduttive dello spettatore, e un cast di attori che sembrano praticamente nati per interpretare i ruoli assegnati loro in questa serie!

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“A Dark and Drowning Tide”: la recensione dell’ammaliante fantasy dark di Allison Saft


a dark and drowning tide recensione - un'oscura marea giunti

La casa editrice Giunti ha portato “A Dark and Drowning Tide” in Italia il 18 settembre 2024. Vale a dire, in perfetta contemporanea con l’uscita del romanzo di Allison Saft in lingua originale; una sorpresa graditissima per tutti noi lettori, peraltro corredata dal suggestivo sottotitolo “Un’Oscura Marea“.

Dal momento che si trattava di una delle mie letture più anticipate dell’anno, ammetto di aver acquistato entrambe le edizioni: sia la “variant” prevista dalla Giunti con gli “spray edges” personalizzabili, sia l’edizione speciale in lingua inglese inclusa nella box di Illumicrate di settembre.

Una piccola follia, insomma, che mi è sicuramente costata qualche soldino in più del previsto… Ma che cosa vuoi farci? Quando si tratta di libri stupendi, capita che perfino il mio ferreo autocontrollo vada a farsi una passeggiata…

La nota super-positiva di questa premessa, nonché punto-cardine di tutta la mia recensione di “A Dark and Drowning Tide”?

Alla fine, ho amato questo atipico e divertentissimo “sapphic fantasy” con tutte le mie forze…


“A Dark and Drowning Tide”: la trama

Lorelei Kaskel, una studiosa di folclore dal temperamento irruento e dall’intelletto ancora più affilato, parte per una spedizione al fianco di sei nobili eccentrici. Il loro obiettivo è una fonte mitologica che, a quanto si dice, potrebbe essere in grado di dare accesso a un potere incommensurabile.

Il novello re spera di imbrigliare questa magia per mettere al sicuro il suo regno dalle mire del battagliero paese confinante di Brunnestaad. Lorelei, invece, è determinata a sfruttare questa opportunità per mettersi alla prova e dare concretezza al suo sogno più sfrenato e impossibile: diventare una naturalista, e guadagnarsi la libertà di viaggiare liberamente attraverso tutte quelle terre di cui, finora, ha potuto soltanto leggere nei libri.

La spedizione parte però nel segno della sventura: la loro leader – nonché amata mentore di Lorelei – viene uccisa nei suoi quartieri a bordo della nave! Sui cinque membri rimanenti della spedizione, ovviamente, aleggia un mare di sospetti. E, dopotutto, ciascuno di loro avrebbe avuto i suoi buoni motivi per compiere il delitto.

L’unica persona della cui innocenza Lorelei non può dubitare è la sua rivale accademica di lunga data, l’insopportabile e dannatamente affascinante Sylvia von Wolff. Così, dopo essersi ritrovata improvvisamente a capo della spedizione, Lorelai dovrà darsi da fare per trovare la fonte, prima che l’assassino colpisca di nuovo…

Ma con tutti i pericoli che si addensano nell’oscurità, Lorelei e Sylvia saranno costrette – malvolentieri – a lavorare insieme per scoprire la verità…


“A Dark and Drowning Tide”: la recensione

Come probabilmente avrai notato, la trama di “A Dark and Drowning Tide” richiama “L’Enciclopedia delle Fate di Emily Wilde” sopra ogni cosa. Ma all’interno del libro c’è spazio anche per qualche eco proveniente da “Uprooted“, “L’Orso e l’Usignolo”, “Gideon la Nona” e “Final Fantasy“: perciò, se hai amato anche uno solo fra tutti questi titoli, ti consiglio di dare al più presto una possibilità al nuovo lavoro di Allison Saft!

“A Dark and Drowning Tide” rappresenta il primo titolo per adulti dell’autrice in questione. E si tratta di un’opera a cui la stessa scrittrice sembra tenere moltissimo:

«Questa è una storia che parla di storie. Di una giovane donna ebrea che crede che il suo fato sia già stato scritto in maniera indelebile – e di una nobildonna determinata a provarle che si sbaglia.

L’ho scritta per quelli che sono stati costretti a farsi spuntare delle spine e che, di conseguenza, sentono di essere persone difficili da amare. Non vedo l’ora che i lettori sprofondino in questo mondo pieno di eccentrica oscurità, creature del folclore e personaggi larger-than-life.»

Allison Saft

Una descrizione che calza a pennello, soprattutto quando ci soffermiamo a pensare alla peculiare caratterizzazione dell’antieroina Lorelei e della stratosferica Sylvie von Wolff, alias la mia nuova “book girlfriend” del momento…


Un’Oscura Marea

Lo confesso in tutta tranquillità: all’inizio, ho fatto seriamente fatica ad affezionarmi a Lorelei. Perché okay il grumpy per sunshine, lode e onore alle protagoniste scorbutiche, antisociali e moralmente ambigue… ma la perenne acidità di stomaco di Lorelei a un certo punto ha rischiato di far salire la gastrite a me, non so se mi spiego!

Dopo un po’, però, credo di aver iniziato a capirla. Il che vuol dire che ho imparato a ignorare lo spropositato numero di «she snapped» a corredo delle sue battute (in luogo del canonico «she said») e a concentrarmi piuttosto sulla forma, la sincerità e, soprattutto, la profondità delle sue ferite interiori.

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“One Dark Window”: la recensione del romantasy di Rachel Gillig


one dark window recensione - rachel gillig

Nella mia recensione di “One Dark Window”, farò del mio meglio per cercare di restare obiettiva e limitarmi a elencare quelli che sono, secondo me, i principali pregi e i maggiori difetti del libro di Rachel Gillig.

Prima di tutto, perché mi rendo conto che si tratta di un titolo molto amato. Uno che è uscito un po’ in sordina, in tempi non sospetti, ma che poi ha finito con il vendere mezzo milione di copie nel mondo.

Ma soprattutto perché, al di là delle mie percezioni personali, sono pronta a riconoscere tutti i meriti di un romanzo che non si è rivelato particolarmente nelle mie corde, ma che è che riuscito comunque a colpire la mia immaginazione sotto diversi punti di vista.

“One Dark Window”, sia messo bene in chiaro, non è un grande romanzo gotico, o un dark fantasy particolarmente rivoluzionario. E si rivolge prevalentemente al pubblico YA, non a quello adulto. Ma resta comunque un ottimo esemplare di romantasy, estremamente gradevole e impreziosito da una suggestiva atmosfera “oscura”


La trama

Nell’inquietante regno di Blunder, una terra perennemente avvolta dalle nebbie, Elspeth Spindle ha bisogno di qualcosa di più della fortuna per rimanere al sicuro : ha bisogno di un mostro.

La ragazza lo chiama “l’Incubo”. Si tratta, in realtà, di uno spirito antico e volubile, intrappolato nella sua testa sin da quando Elspeth era ancora soltanto una bambina. La creatura la protegge. Custodisce i suoi segreti.

Ma nulla si ottiene senza pagare un prezzo, specialmente la magia.

Quando Elspeth incontra un misterioso bandito sulla strada che percorre la foresta, la sua vita compie una virata drammatica. Catapultata in un mondo di ombre e di inganni, la nostra eroina si unisce a una pericolosa quest per trovare la cura che permetterà a Blunder di liberarsi, una volta per tutte, dalla terribile maledizione di piaghe e nebbie che la affligge.

E il bandito? Si dà il caso che sia il nipote del Re, il Capitano della squadra armata più pericolosa di Blunder… nonché colpevole di alto tradimento.

Insieme, Elspeth e il Capitano dovranno radunare le dodici Carte della Provvidenza – la chiave per la cura che cercano all’infezione di magia oscura che sta dilaniando il loro mondo.

Ma mentre la posta in gioco si alza e l’innegabile attrazione che sobbolle fra di loro prende a intensificarsi, Elspeth è costretta a confrontarsi con una verità innegabile: l’Incubo sta iniziando a impadronirsi completamente della sua mente.

E non è detto che lei sia in grado di fermarlo…


“One Dark Window”: la recensione

Quando affermo che “One Dark Window” garantirà tanti piccoli momenti di gioia agli appassionati di narrativa romance, intendo esattamente questo: perché, a conti fatti, lo sviluppo del crescente legame di amicizia e attrazione fra Elspeth e il Capitano incarna senz’altro l’aspetto più approfondito e riuscito del libro.

Del resto, a mio avviso anche il sistema magico – basato su una serie di carte stregate, in grado di garantire ai loro possessori una vasta collezione di attribuiti sovrannaturali – risulta piuttosto intrigante e convincente.

Intendiamoci, però: arrivare in fondo a questo primo volume non mi ha affatto aiutato a sbarazzarmi dal crescente sospetto che Rachel Gillig non sappia bene cosa farsene, di questo interessante sistema magico!

Se c’è una cosa che “One Dark Window” riesce abbondantemente a mettere in chiaro, è che le scene d’azione e il conflitto contro le forze antagoniste sono quasi un supplemento, un qualcosa da porre sullo sfondo mentre la protagonista e il suo love interest flirtano e si fanno bonariamente prendere in giro da tutti i loro amici e parenti per la loro insopportabile inclinazione a tubare come colombe.

Dal mio punto di vista, si tratta di uno spreco di potenziale.

Ma, ovviamente, mi rendo conto che non tutti i lettori saranno inclini a pensarla nello stesso modo…


Una lacrima sul viso

La caratterizzazione del personaggio di Elspeth è la cosa che mi è piaciuta meno, in assoluto.

Ricordi quando abbiamo parlato di come si costruisce la scena di una storia?

Ebbene, Rachel Gillig dimostra sicuramente una grandissima abilità, da questo punto di vista. In effetti, malgrado il mio scarsissimo livello di empatia nei confronti dei suoi personaggi, mi sono ritrovata a divorare le pagine del suo libro praticamente senza rendermene conto. Merito di una solidissima struttura narrativa, il segno distintivo di un’autrice preparata e determinata a lavorare sodo sulla sua arte!

Ma soffermiamoci un momento a considerare quella particolare fase di una scena che siamo abituati a chiamare “crisi del personaggio”.

«Sono le scelte che compiamo nel momento di massima pressione a definire chi siamo, a svelare la nostra vera natura

Considero questo assioma come una delle più sacrosante verità fondamentali dell’esistenza; una di quelle “regole” che valgono tanto nel campo della vita reale, quanto in quello della fiction.

E che cosa fa la protagonista di “One Dark Window”, ogni volta che un minimo di pressione – un ostacolo, una difficoltà, un conflitto di natura anche insignificante – arriva a interferire con il normale corso della sua giornata?

Frigna. Si lagna. Sviene. Si torce le mani, crolla in ginocchio e invoca aiuto. Da parte della provvidenza, del mostro, del suo ombroso cavaliere… di chiunque sia in ascolto. Purché non tocchi a lei prendere l’iniziativa.

Lo ribadisco: Ogni. Santissima. Volta.

Fino a incarnare la perfetta quintessenza della (stereotipata) damina vittoriana, una silenziosa lacrima che scorre su una guancia a indicare il massimo grado di resistenza a qualsivoglia tipo di avversità.

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“Nettle and Bone”: la recensione della fiaba dark di T. Kingfisher


nettle and bone recensione - come uccidere un principe

So già che la mia recensione di “Nettle and Bone: Come Uccidere un Principe” non sarà in grado di rendere giustizia alla complicata semplicità e all’irresistibile umorismo dark di questo libro. Che poi è anche – guarda caso – uno dei romanzi fantasy più profondi e struggenti che io abbia mai letto!

Se hai visto il recente film Netflix “Damnsel” – o se hai letto l’omonimo libro di Evelyn Skye – sappi che “Nettle and Bone” può essere considerato come una versione più matura e coinvolgente di quel particolare titolo.

Non a caso, T. Kingfisher è una delle migliori autrici di retelling a sfondo folclorico-fiabesco in cui ti capiterà mai di imbatterti (per non parlare dei suoi indimenticabili romanzi southern gothic, come “What Moves the Dead” o “A House With Good Bones”…). Ma è stato proprio grazie all’uscita di “Nettle and Bone”, nel 2023, che l’autrice americana è riuscita a scalare una nuova vetta e a portare a casa l’ambito Premio Hugo


La trama

Marra è la terza principessa di un piccolo regno. Timida e riservata, è cresciuta in un convento, circondata dalle suore e immersa nella tranquilla routine del suo monastero.

In realtà, la ragazza prova soltanto sollievo all’idea di non essere costretta a sposare qualche alto dignitario straniero per questioni dinastiche, nella speranza di consolidare il trono dei genitori. Purtroppo, le sue sorelle maggiori non sono state così fortunate.

La più grande è morta quasi subito, distrutta dalle percosse di un marito tanto abusivo, quanto potente. Lo stesso principe che, adesso, ha sposato anche la seconda sorella di Marra. Dalla sicurezza del convento, Marra non riesce a smettere di chiedersi chi si farà avanti per salvare la sua ultima sorella e metterà fine alla violenza, una volta per tutte.

Ma dopo aver passato anni a osservare la sua famiglia e due interi regni che si ostinano a fingere che ogni cosa vada per il verso giusto, Marra capisce che, se è vero che c’è bisogno di un eroe, stavolta dovrà essere lei stessa a diventarlo.

Perché, se Marra riuscirà a portare a termine tre compiti impossibili, una strega le garantirà gli strumenti di cui avrà bisogno per liberarsi del tiranno. Eppure, come spesso succede in queste storie di principi e imprese titaniche, le sue missioni si rivelano soltanto il primo passo di un lungo e pericoloso viaggio per salvare l’ultima delle sue sorelle e rovesciare il trono…


“Nettle and Bone”: la recensione

In “Nettle and Bone”, la voce inconfondibile di T. Kingfisher (aka Ursula Vernon) assume una carica tragicomica che riesce a comunicare, con una grazia che ha quasi del preternaturale, tutti i complessi stati d’animo della protagonista Marra e le macabre vibes surreali che circondano il suo viaggio.

Una quest epica che si svolge al fianco di un’anziana strega e della sua gallina posseduta da un demone; di una fata madrina di mezza età che, forse, si finge più svampita di quello che è; di un guerriero espulso dal suo clan per aver fatto la cosa giusta, anziché quella ritenuta socialmente accettabile; e di un delizioso cane d’ossa, provvidenzialmente incapace di accorgersi di essere già morto.

Basta aggiungere alla banda la nostra eroina, una quasi-suora trentenne ansiosa e nata da una famiglia reale, per rendersi conto di trovarsi alle prese con una fiaba dark dal taglio molto, molto atipico.

La Kingfisher, infatti, schiera in campo tutti gli ingredienti che ti aspetteresti – gli oggetti incantati, la terra maledetta, la saggia strega, l’adorabile animale magico ecc. – per intessere un racconto dal sapore salvifico e dolceamaro. Uno che, pur svolgendosi in un mondo fuori dal tempo, in realtà riesce a parlare (anche) della nostra realtà.

Il canovaccio prescelto, ovviamente, è quello di Davide contro Golia. Vi troviamo, infatti, un gruppo di squinternati e disadattati, pronti a sacrificare qualsiasi cosa, pur di abbattere il titano.

Al centro della rete che li unisce, la lotta contro un uomo violento e potente, che le leggi degli uomini non possono fermare. Che si rifiutano di fermare…


 Vietato sottovalutare il potere della gallina

Puoi scrivere una recensione di “Nettle and Bone”, forse, e trattenerti dall’usare due espressioni molto in voga quali “cozy vibes” e “cottagecore”.

Ma non puoi davvero esimerti dal tirare in ballo Terry Pratchett e il suo Ciclo delle Streghe!

Di fatto, T. Kingfisher è una delle poche autrici viventi in grado di dar vita a personaggi all’altezza di prendere il tè con Nonnina Wheatherwax o Tata Ogg. Non a caso, i dialoghi di “Nettle and Bone” si rivelano una perpetua ed esilarante fonte di meraviglia:

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“The Phoenix Keeper”: la recensione dell’adorabile cozy fantasy di S. A. MacLean


the phoenix keeper recensione - s a maclean

The Phoenix Keeper” è il mio nuovo cozy fantasy preferito, e di gran lunga uno dei migliori libri fantasy letti/pubblicati nel 2024.

Lo so, potresti pensare che si tratti di una dichiarazione abbastanza estrema. Dopotutto, il mio amore per titoli come “Legends and Lattes” o “The Very Secret Society of Irregular Witches” è fatto noto e conosciuto in tutto il mondo.

Eppure, credo davvero che “The Phonix Keeper” abbia qualcosa di speciale. Non soltanto un cast di personaggi incredibili e una delle più spettacolari “found family” in cui mi sia mai capitato di imbattermi, ma anche delle tematiche ambientaliste importanti e una graditissima attenzione nei confronti della questione della “diversità” a 360 gradi.

E poi, ammettiamolo: il magico zoo di S. A. MacLean è il posto che occupa i miei sogni e nel quale vorrei ufficialmente andare a vivere… insieme alle magnifiche fenici, ai giocosi grifoni e a tutti gli altri, machiavellici volatili conosciuti attraverso le pagine di questo tenerissimo romanzo d’esordio!


La trama

Aila lavora in zoo destinato ad accogliere creature magiche in via d’estinzione provenienti da ogni angolo del mondo. In modo particolare, Aila si occupa di fenici, una specie gravemente minacciata dall’attività dei bracconieri, perennemente a caccia di un modo per mettere le mani sulle portentose piume fiammeggianti di questi animali.

Fin da bambina, Aila ha sempre coltivato il sogno di far ripartire il programma di ripopolamento e fare in modo che il suo zoo abbia la possibilità di ospitare le prime uova di fenice dopo oltre dieci anni. Così, quando alcuni loschi figuri riescono a rubare i piccoli nati in uno degli zoo vicini, Aila si mette in testa di rinnovare la decrepita struttura un tempo adibita agli scopi del programma e di candidare il suo zoo per una nuova nidiata.

Ma salvare un’intera specie dall’estinzione richiede qualcosa di più delle sue stellari capacità di gestione degli animali. Kelpie carnivori, falchi in grado di evocare i tuoni, draghi dispettosi… Alia non ha mai avuto problemi a trattare con le creature magiche del suo zoo.

Ma quando si tratta di racimolare il coraggio necessario a chiedere l’aiuto della bellissima custode dei grifoni, nonché responsabile dell’attrazione più popolare dello zoo? Missione impossibile.

Specialmente considerando il fatto che la bellissima custode di grifoni in questione è, in realtà, la più grande arci-nemesi di Aila fin dai tempi del college. Il suo nome è Luciana, e si tratta di un’irritante, scontrosa e insopportabile so-tutto-io che sembra sempre pronta a mettere il becco negli affari di Aila…


“The Phoenix Keeper”: la recensione

Per essere un cozy fantasy, con marcate venature da rom-com, “The Phoenix Keeper” è un romanzo piuttosto lungo. Il che spiega, probabilmente, il taglio iper-descrittivo e un pochino prolisso dei primi capitoli.

Per fortuna, provvedono i toni ironici e super-scoppiettanti della narrazione, insieme alla fortissima personalità della protagonista Aila, a rendere perfino questa manciata di scene “introduttive” coinvolgenti e immersive.

Aila, dal canto suo, rappresenta la perfetta incarnazione del concetto di “adorabile disastro”. La sua parte grumpy, che si sposa alla perfezione con la tematica dell‘introversione e dei disturbi d’ansia, emerge sempre nei momenti più esilaranti, ponendo la base per uno splendido e coinvolgente arco trasformativo.

Non che manchino le occasioni, per il lettore, di sentirsi “un tantino” frustrato dalla sua plateale incapacità di “leggere la stanza” intorno a lei e interpretare correttamente lo svolgersi degli eventi. Ma fa parte del gioco… Tanto più che, alla fine, ci si ritrova totalmente sopraffatti dalla fragile vulnerabilità e dalla dolcissima goffaggine con cui Aila si sforza di affrontare le relazioni (e le connessioni umane) che per lei contano di più.


Il grande cuore della custode di fenici

La trama di “The Phoenix Keeper” è piuttosto rocambolesca e la posta in gioco aumenta con lo scorrere delle pagine. Ti dico solo che, ora di arrivare il finale, ho cominciato ad avvertire delle serie palpitazioni e a preoccuparmi davvero per le sorti di Aila e dei suoi amici!

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5 (fantastici) retelling YA di libri classici che non hai ancora letto


Per come la vedo io, trovare dei buoni retelling YA ispirati a libri classici non è sempre un compito facile.

Fra i più titoli più conosciuti, spiccano sicuramente romanzi come “This Violent Delight” e sequel di Chloe Gong (entrambi liberamente ispirati al “Romeo e Giulietta” di Shakespeare) e “Splintered” di A. G. Howard, che richiama in gioco motivi e scenari dallo scoppiettante ‘”Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll.

Nel novero delle storie per adulti si distinguono, invece, il seducente e misterioso “The Daughter of Doctor Moreau“, incentrato sulla figlia del famoso scienziato pazzo inventato da H. G. Wells, e il divertentissimo “The Strange Case of the Alchemist’s Daughter” di Theodora Goss, un mesh-up di tutti i più famosi personaggi della letteratura gotica, dal mostro di Frankenstein al Doctor Jekyll, passando per Carmilla (nel secondo volume della saga) e il padovano Rappaccini.

Quella che ti propongo oggi, invece, è un breve elenco di retelling YA di romanzi classici (ancora) relativamente poco noti al grande pubblico, ma non per questo meno amati da una piccola armata di affezionati lettori in tutto il mondo…


5 retelling YA di libri classici ancora da scoprire (o riscoprire): “Ruinsong” di Julia Embers

reteling YA di libri classici - ruinsong

Una libera reinterpretazione de “Il Fantasma dell’Opera” di Gaston Leroux.

In un mondo in cui la magia viene cantata, la potente maga Cadence viene ripetutamente costretta a usare i suoi doni per torturare la sventura nobiltà della sua nazione. A cantare i suoi incantesimi oscuri, al servizio di una regina che non conosce freni o misericordia.

Ma quando Cadence si riunisce con una sua vecchia amica d’infanzia, una nobildonna con dei legami nell’ambiente dei ribelli, la ragazza viene messa di fronte a una scelta disperata: prendere finalmente una posizione, e difendere il suo Paese dall’oppressione, oppure diventare un mostro a immagine e somiglianza della regina.

“Ruinsong” è la lettura ideale per chi ama le ambientazioni ispirate all’Europa del diciannovesimo secolo, gli archi di redenzione e i personaggi moralmente ambigui. Ma anche per tutti quei lettori che non sono disposti a lasciarsi spaventare da tematiche forti e vibes dai toni deliziosamente dark.

Su Amazon, l’autoconclusivo “Ruinsong” di Julia Embers è disponibile in lingua inglese.


“Tiger Lily” di Jodi Lynn Anderson

Nel 2012, questo passionale e convincente retelling di “Peter Pan” di J. M. Barry riscosse un considerevole successo, incantando i lettori soprattutto in virtù dell’indiscutibile forza della sua protagonista – una “Giglio Tigrato” assolutamente indimenticabile – e al fascino senza tempo dei suoi tropes.

La quindicenne Tiger Lily non ha mai creduto nelle storie a lieto fine. Ma quando incontra Peter Pan nei boschi proibiti dell’Isola-Che-Non-C’è, perfino lei si dimostra incapace di resistere al suo carisma magnetico. Così, cade immediatamente sotto il suo incantesimo.

Peter è diverso da chiunque altro abbia mai conosciuto. Impetuoso e coraggioso, Peter la spaventa e la attrae al tempo stesso. Ma Peter è il capo dei Bimbi Sperduti, gli abitanti più spaventosi dell’isola, e l’idea di una relazione fra loro appare assolutamente fuori discussione. Eppure, ben presto Tiger Lily si ritrova a rischiare ogni cosa – la sua famiglia, il suo futuro – pur di stare con lui.

La sua gente non ha dubbi: Tiger Lily deve sposare un uomo della sua stessa tribù. Eppure, mentre nemici di ogni tipo minacciano di separarla da Peter, è l’arrivo di Wendy Darling, una ragazza inglese che incarna tutto ciò che Tiger Lily non è e non sarà mai, a mettere bruscamente fine a ogni sogno a occhi aperti…

Perché, a volte, i nemici più pericolosi sono proprio quelli che si nascondono nel più fedele e affezionato dei cuori

Come avranno fatto i nostri editori a lasciarsi scappare un gioiellino del genere? A dire il vero, non sono mai riuscita a spiegarmelo. Nel dubbio, però, ti ricordo che su Amazon puoi ancora acquistare la tua copia di “Tiger Lily” in lingua inglese.


“Lucy Undying” di Kiersten White

retelling ya di libri classici - lucy undying

In realtà, ho iniziato a leggere da poco questa attesissima nuova uscita targata Kiersten White. Eppure, confido già di poter inserire questo titolo nella mia lista di retelling YA ispirati a libri classici da consigliare…

Beninteso, “Lucy Undying” non è il primo romanzo per ragazzi ispirati al “Dracula” di Bram Stoker che io abbia mai letto! Ma bisogna ammettere che la trama vanta un twist particolare: tanto per cominciare, la protagonista è Lucy Wensterna… un personaggio su cui – inspiegabilmente – pochissimi autori di fiction hanno finora concentrato l’attenzione.

In questa versione della storia, Lucy è diventata una vampira e ha speso gran parte della sua esistenza immortale nel tentativo di sfuggire dalle grinfie di Dracula. Lucy, infatti, vuole soltanto imparare a conoscere se stessa e a capire che cosa vuole davvero.

La sua vita subirà una brusca virata nel momento in cui, nella Londra del ventunesimo secolo, si imbatterà in Iris, una donna disperatamente alla ricerca di un modo per liberarsi dalle catene del suo passato. Fra le due si svilupperà un’intensa e salvifica amicizia, pronta a trasformarsi, ben presto, in qualcosa di più.

Ma se c’è una lezione che Lucy ha imparato a sue spese, è che Dracula non le permetterà mai di allontanarsi da lui senza ingaggiare una battaglia mortale

“Lucy Undying” è disponibile su Amazon per l’acquisto in lingua inglese. Già che ci sono, ne approfitto per ricordarti che Kiersten White ha firmato anche un altro notevole retelling YA ispirato a un grande classico della letteratura gotica: l’avvincente e catartico “La Buia Discesa di Elizabeth Frankenstein“, edito in Italia da Harper Collins.


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“The Scarlet Throne” di Amy Leow: fino a che punto ti spingeresti pur di rimanere al potere?


the scarlet throne - amy leow

L’editore americano Orbit pubblicherà “The Scarlet Throne“, libro fantasy di esordio della giovane autrice Amy Leow. Il romanzo debutterà il prossimo 12 settembre.

Si tratta di un libro dalla trama molto particolare, che segue la spirale di corruzione e violenza di una donna determinata a scendere a qualsiasi compromesso pur di tenersi stretto un potere duramente guadagnato. Compreso stringere un patto con un demone, e simulare per la propria magia un’improbabile origine divina…

Un fantasy politico dalle tonalità estremamente dark, insomma, ricco di intrighi e lotte intestine fra fazioni rivali. Animato da una protagonista moralmente ambigua che – come si premura di sottolineare la stessa Leow – non è “cattiva per finta”, e non ha nessuna intenzione di schierarsi dalla parte del bene alla vista del primo giovanotto di belle speranze intento a passare da quelle parti…


“The Scarlet Throne”: la trama

Binsa è una divinità vivente. Gli dei l’hanno scelta per dispensare, al tempo stesso, misericordia e castigo dell’alto della sua postazione sul Trono Scarlatto.

Ma il regno di Binsa nasconde un segreto mortale. Perché, invece di incanalare la saggezza di una divinità immortale, il corpo della donna ospita un demone.

Adesso, però, i suoi sacerdoti stanno cominciando a nutrire dei forti sospetti. E quando una nuova ragazza, Medha, viene scelta per prendere il suo posto, Binsa e il suo demone stringono un accordo: per amplificare i suoi poteri e aiutarla a strappare il controllo della nazione dalle mani dei chierici, lei gli sacrificherà delle vite umane.

Ma quanta della propria umanità sarà disposta a sacrificare, Binsa, nella sua insaziabile ricerca di potere?

Di rado i patti con i demoni si rivelano così semplici…


Abbracciando il tuo “inner villain”…

Il 15 aprile 2024, Amy Leow ha scritto un articolo pubblicato sul magnifico sito “The Fantasy Cafe“. Molte delle sue dichiarazioni si sono rivelate illuminanti… oltre ad avermi trasmesso una gran voglia di leggere “The Scarlet Throne” e conoscere i suoi personaggi!

A partire da Binsa, una protagonista che la Leow definisce con due aggettivi piuttosto eloquenti: “messy” e “batshit-crazy“.

«Amo i personaggi squilibrati. Soprattutto, amo i personaggi femminili squilibrati. C’è qualcosa di stranamente catartico nella vista di un personaggio femminile che sbarella completamente e costringe tutti a inchinarsi ai suoi piedi, forse perché, molto spesso, nella vita reale alle donne non viene concesso di comportarsi in questo modo.

Anche il mondo ama i personaggi così. Le protagoniste femminili di tanti libri hanno un tocco di oscurità dentro di loro, e così tanta parte del marketing che ci gira attorno – soprattutto all’interno della cerchia della speculative fiction – ruota attorno a queste donne moralmente ambigue, tenute a prendere decisioni complesse e in possesso di motivazioni altrettanto complesse.»

Amy Leow

Tuttavia, secondo l’autrice di “The Scarlet Throne”, perfino in questi libri continua a mancare qualcosa.

Perché, pur amando profondamente queste letture e rendendosi conto che non c’è assolutamente nulla di sbagliato nella caratterizzazione scelta per tutte queste eroine, il problema al cuore della questione rimane lo stesso: anche se, a volte, queste donne si ritrovano a rivestire il ruolo di antagonista, alla fine dimostrano sempre di possedere qualche qualità in grado di redimerle.

Compiono un genocidio? Eh, ma l’hanno fatto soltanto perché speravano di proteggere le persone che amano…

Il mondo le considera delle perfide tiranne? Sì, ma per il loro popolo sono praticamente delle sante che camminano…


Rivendicando l’assoluta libertà di essere malvagi… perché sì!

«Quasi come se le donne non potessero essere malvage per il gusto di esserlo, mentre le malefatte degli uomini non hanno bisogno di giustificazioni… perché, apparentemente, soltanto gli uomini possono essere cattivi per natura

Amy Leow

Secondo l’autrice, insomma, il concetto di “morally grey”, in riferimento alle azioni di personaggi femminili, ultimamente viene utilizzato un po’ troppo a casaccio.

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