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“What the Woods Took”: la recensione del libro horror di Courtney Gould


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What the Wood Took”, di Courtney Gould, è un survival horror che racconta le peripezie di un gruppo di adolescenti problematici costretti a partecipare a un programma di cura sperimentale conosciuto come “wilderness therapy“.

Una sorta di “trattamento” che consiste nel trascinare nei boschi i ragazzi affetti da disturbi mentali, da problemi di dipendenza o difficoltà comportamentali. L’idea è di isolare questi “pazienti” dalle loro famiglie e dai loro affetti, in modo tale da porre un freno alle loro “abitudini negative“, per poi coinvolgerli in lunghe marce in mezzo agli alberi e insegnare loro svariate tecniche di sopravvivenza.

Ovviamente, non esistono prove scientifiche a sostegno della validità di una terapia d’urto di questo tipo. In compenso, sappiamo per certo che alcuni ragazzini sono morti, mentre altri hanno subito traumi e terribili abusi, nel corso di questi exploit.

Il romanzo YA di Courtney Gould riesce a mettere in luce tutte queste controversie e a denunciare chiaramente gli orrori della wilderness therapy; fortunatamente, senza rinunciare al piacere della narrazione e a una sana dose di tensione psicologica in stile “Yellowjackets”


La trama

Devin Green si sveglia nel bel mezzo della notte e sorprende due uomini nella sua camera da letto. La ragazza è abituata a lottare fin dalla più tenera età, ed è esattamente quello che si accinge a fare in questa occasione… almeno fino a quando non si rende conto che i suoi genitori affidatari non hanno alcuna intenzione di aiutarla.

Anzi, sono stati proprio loro a invitare quegli sconosciuti in casa sua. Il rapimento di Devin è stato programmato con cura; tutti i membri della sua famiglia temporanea sembrano esserne al corrente, salvo la stessa Devin.

Gli uomini la trascinano nel vano posteriore del loro furgoncino e la conducono nelle profondità dei boschi dell’Idaho. Qui, Devin viene scaraventata in un cerchio formato da alcuni coetanei, altrettanto confusi e storditi dalla recente catena di avvenimenti.

Finalmente, due consulenti dall’aria energica rivelano ai ragazzi il loro imminente destino: saranno i partecipanti di un nuovo programma di terapia sperimentale!

Se riusciranno a liberarsi delle loro abitudini auto-distruttive e a sopravvivere a un’escursione della durata di cinquanta giorni, emergeranno dall’esperienza come una versione migliorata di se stessi. “Guariti”, in poche parole. Così, almeno, raccontano i consulenti.

Devin è determinata a fuggire. E’ anche decisa a ignorare Sheridan, la bulla dai capelli color lavanda. Una giovane affascinante ma enigmatica, che non perde occasione per bersagliare gli altri di battute crudeli e prendersi gioco di ogni singolo esercizio del programma.

Ma c’è qualcosa di strano nella boscaglia: facce inumane che si materializzano fra le cortecce, visioni di persone provenienti dal passato che sfrecciano attraverso il fogliame…

Ed è così che, quando i campeggiatori si svegliano e scoprono che gli unici due adulti del gruppo sono scomparsi, la terapia si trasforma nel minore dei loro problemi…


What the Woods Took“: la recensione

Non mi sorprende che “What the Woods Took” sia un romanzo indie. Oggettivamente parlando, si tratta di un ottimo horror per ragazzi. Ho amato profondamente la seconda parte del libro e mi sono follemente innamorata di tutti i personaggi, senza tralasciare la suggestività dell’atmosfera o l’importanza delle sue tematiche.

Il livello di cura che Courtney Gould riversa nella definizione della caratterizzazione psicologica dei suoi protagonisti, poi, è stellare, praticamente inaudito in un romanzo YA! Tant’è che ciascuno di loro si presenta sul “set” della storia armato di una ferita emotiva profonda, di una backstory coinvolgente e di una personalità travolgente.

Da questo di vista, fra l’altro, “What the Woods Took” può essere davvero considerato come il romanzo ideale da consigliare ai fan dei teen-drama. Più “The Wilds” che “Lost“, il romanzo di Courtney Gould riesce ad affrontare le ordalie dell’adolescenza da un punto di vista inedito e a esplorare le mille complessità dell’amicizia.

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“Daughter Of The Bone Forest”: la recensione del romantasy di Jasmine Skye


Daughter of the Bone Forest recensione - Jasmine Skye

Non si sta parlando neanche remotamente abbastanza di “Daughter Of The Bone Forest” di Jasmine Skye, e nulla mi toglierà mai dalla mente questa semplice verità.

Eppure, nonostante si tratti di un romanzo d’esordio, ti assicuro che il primo volume della dilogia “Witch Hall” si è rivelato davvero buono: avvincente, scorrevole, ravvivato da tematiche interessanti e corredato da un sistema magico che rispetta ogni singola Regola della Magia di Brandon Sanderson.

Come potrebbe – e, soprattutto, perché mai dovrebbe – un affezionato lettore di YA commettere l’errore di non aggiungere questo titolo in wish-list?

Certo, a patto di amare gli animali. E il trope dell’accademia magica. E l’estetica della “dark forest“. Ma siamo onesti… chi è che non stravede per queste cose? ;D


La trama

Rosy è un famiglio delle ossa, dotata del potere di trasformarsi in animale. Trascorre la maggior parte dei suoi giorni all’interno della Foresta delle Ossa, prendendosi cura di sua nonna, una veterana dell’esercito che tende a sprofondare spesso in uno stato aggressivo e ferale.

La nonna ha insegnato a Rosy che nascondere l’entità dei suoi poteri è l’unico modo per restare al sicuro e assicurarsi di evitare la coscrizione nell’esercito del Re delle Streghe. E Rosy è fin troppo felice di compiacere la nonna… almeno fino a quando la Principessa Shaw, unica figlia ed erede del Re, non si reca in visita nella Foresta.

Non appena Rosy salva la vita di Shaw, la principessa – una potente necromante – le offre la possibilità di frequentare la prestigiosa Witch Hall, una scuola di magia riservata all’istruzione delle streghe e dei loro famigli.

Nonostante si trovi a diffidare delle reali intenzioni di Shaw, Rosy non riesce a resistere alla tentazione offerta da un’opportunità del genere: dopotutto, a Witch Hall potrebbe essere disponibile l’unica cura esistente contro gli episodi maniacali di sua nonna…

Tuttavia, una volta giunta all’accademia, Rosy si ritrova invischiata in giochi politici che non è in grado di comprendere. Shaw vorrebbe che la ragazza entrasse a far parte del suo entourage, o addirittura che si legasse a lei, diventando il suo famiglio e accettando di vivere e combattere al suo fianco per il resto delle loro vite.

Ma, con la minaccia di una guerra sanguinaria all’orizzonte, Rosy desidera soltanto tenersi fuori dai guai fino al giorno del diploma e trovare un modo per salvare sua nonna. Tuttavia, neppure lei può negare la crescente attrazione che prova per Shaw, o la rassicurante sensazione di calore che la magia della necromante riesce a risvegliare in lei…


“Daughter Of The Bone Forest”: la recensione

Il romanzo di Jasmine Skye va a collocarsi felicemente all’interno di molti dei nuovi trend dominanti in materia di romantasy. La sovrapposizione fra i due generi (fantasy e romance) si dimostra pienamente efficace e più che palese, dal momento che la relazione fra Rosy e Shaw (che sarà, a quanto pare, la protagonista assoluta del secondo tomo della dilogia, “Daughter of the Cursed Kingdom“…) rappresenta il cuore pulsante della narrazione.

Tuttavia, non si può negare che il “retroterra” di “Daughter Of The Bone Forest” affondi le sue radici in alcuni elementi strettamente legati al genere del fantasy classico. Tanto per cominciare, fra le sue pagine non è possibile rinvenire traccia di tutti quei contenuti sessuali espliciti che, nell’era del BookTook post-Cinquanta Sfumature di Grigio, sembrano andare tanto per la maggiore.

L’autrice predilige, semmai, giocarsi la carta dell’affinità e della compatibilità caratteriale, offrendo ai lettori il ritratto di una relazione tormentata da mille sfumature emotive e contrastata da ostacoli esterni e interni di ogni tipo.

Nel procedere su questa strada, calca la mano sulla componente avventurosa e lavora tantissimo sul worldbuilding e sul sistema magico, attualizzando la maggior parte dei tropes legati alla narrativa fantastica di stampo “tradizionale” (non per niente, Jasmine Sky cita Tamora Pierce e Robin McKinley fra le sue autrici del cuore…) ed evocando un mondo che, pur rifiutando con forza di aderire a qualsiasi forma di razzismo, misoginia o eteronormatività, le permette comunque di esplorare le universali tematiche del pregiudizio, del classismo, dell’attivismo e dell’eterna lotta del Bene contro il Male.


Una variante intrigante sul tema dei “soulmates”…

Bisognerebbe assolutamente inventare un nome per l’alternativa saffica al trope dell’“he fells first“…

Ad ogni modo, sappi che, in “Daughter Of The Bone Forest”, è Shaw, la principessa necromante, a innamorarsi per prima di Rosy, questa simpatica e rubizza “horse girl” cresciuta in un ranch e capace di trasformarsi nel più protettivo e feroce dei lupo stregati.

L’arco trasformativo di Rosy non mi ha convinto proprio al 100%, perché… Bè, senti, sono la prima a sostenere la necessità di lasciar commettere una carovana di errori a un personaggio, prima di permettergli di imparare la lezione. Ma esiste un limite oltre al quale a qualsiasi lettore viene spontaneo farsi domande circa le facoltà cognitive dell’eroe/eroina in questione… potrebbe essere meglio, per un autore, non arrischiarsi a superare quel confine.

Ho apprezzato molto, in ogni caso, la caratterizzazione di Rosy, estremamente vivida e dotata di una concretezza rarissima da trovare all’interno di un romanzo fantasy. Ancora di più mi è piaciuta l’idea di creare un mondo tutto organizzato attorno a questi simbiotici (e viscerali) legami fra strega e famiglio, che vanno un po’ a sostituire/integrarsi con il classico trope dei “soulmates” predestinati.

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