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Come creare i tuoi mondi fantasy: l’arte del worldbuilding dalla “A” alla “Z”


worldbuiling - come creare mondi fantasy

Devo creare un mondo fantasy per la mia storia: da dove comincio?

Quali sono i passi da seguire?

Quanto tempo dovrò dedicare alla “progettazione” del mio worldbuiling?

La prima buona notizia che posso darti, caro amico scrittore, è che quelle che ti stai ponendo sono domande perfettamente legittime e sensate. Anzi: ogni bravo (e coscienzioso) scrittore si sarà trovato, prima o poi, a barcamenarsi fra questi interrogativi. Per cui i tuoi dubbi, in realtà, sono sinonimo di grande competenza e professionalità.

Non è che, se ti fai delle domande, vuol dire che non sei “capace” di lavorare sull’aspetto del worldbuiliding, bada bene: è solo che scrivere un romanzo (con l’intenzione di venderlo a un pubblico, editore ecc.) è un compito difficile, per cui bisogna semplicemente mettersi di buona lena e studiare fino a venire a capo di ogni “problema”! ;D


30 Days of Worldbuilding

La seconda buona notizia, intanto?

Se sei un autore alle prime armi, e stai ancora imparando le basi per la costruzione di un magnifico mondo fantasy in cui ambientare la tua storia, ho esattamente il libro che fa per te: “30 Days of Worldbuilding: An Author’s Step-by-Step Guide to Building Fictional Worlds” di A. Trevena.

Un volumetto prezioso che ti aiuterà, attraverso una serie di esercizi, a creare un worldbuilding credibile e originale nel giro di 30 giorni (o anche meno, in realtà).

Se, invece, senti di aver già raggiunto un livello di comprensione avanzato, ti consiglio di dare un’occhiata all’ottima serie “New Worlds: A Writer’s Guide to the Art of Worldbuilding” dell’autrice americana Marie Brennan.

Questa lettura potrebbe rappresentare un ottimo modo per approfondire un argomento vastissimo e ricco di sfide, oltre a permetterti di apprendere diversi “trucchetti” escogitati dall’autrice che ha praticamente “inventato” il genere del light academia (con anni di anticipo rispetto a “L’Enciclopedia delle Fate di Emily Wilde”).

In realtà, esistono tantissimi volumi interessanti da aggiungere in lista. Per il momento, però, cerchiamo di concentrarci su una serie di accorgimenti di carattere generale e, soprattutto, utili da un punto di vista pratico


Come creare un mondo fantasy: le basi

Come ci ricorda la stessa A. Trevena, la primissima cosa da fare è stabilire all’interno di quale genere (o sottogenere) specifico vada a inserirsi la tua storia.

Che poi, se ti ricordi, è un po’ lo stesso discorso che abbiamo fatto quando ti ho esposto la teoria di Shawn Coyne sulla costruzione della trama di un romanzo! ;D

Perché, vedi, per quanto riguarda il worldbuilding, un autore ha sempre tre opzioni a disposizione:

  1. Costruire un mondo fittizio, totalmente nuovo, che risponde a regole che non hanno necessariamente nulla a che spartire con quelle del nostro. Precisazione doverosa: se ti stai muovendo nell’ambito della speculative fiction, ma certo che puoi riscrivere le leggi della fisica a piacimento e concedere ai tuoi personaggi tutti i super-poteri che riescono a solleticare la tua immaginazione… A patto, però, di continuare ad aderire alle imposizioni di quell’unica, gigantesca, imprescindibile legge universale della narrativa: vale a dire, il rispetto del sacrosanto principio della COERENZA INTERNA.
  2. Costruire un mondo che somiglia a quello reale, ma con un passato o un futuro alternativo/i. E’ questo quello che succede, ad esempio, quando proviamo a scrivere un’ucronia o un romanzo distopico.
  3. Costruire un mondo parallelo fittizio, magico o quant’altro, che esiste accanto a quello reale, come nel caso dei portal fantasy o degli isekai. Lo stesso vale per i libri per ragazzi come “Harry Potter” o “L’Accademia del Bene e del Male”.

La mappa

Tracciare una mappa è un requisito tutt’altro che obbligatorio, anzi. Non c’è neanche bisogno di dirlo: se non te la senti di cimentarti nell’impresa, puoi semplicemente scegliere di saltare questo passo e passare all’obiettivo successivo.

Ma se stai scrivendo un epic fantasy, o comunque una storia ambientata (almeno per i due terzi) all’interno di un mondo fantasy secondario, il mio consiglio spassionato è comunque quello di dedicare una parte della tua fase di progettazione narrativa alla definizione di una mappa. Se l’attività non rientra esattamente nelle tue corde, non perdere tempo a curare i dettagli estetici dell’operazione e non lasciarti turbare dalla questione della “bellezza” oggettiva del tuo lavoro: dopotutto, sei uno scrittore di libri fantasy, non un cartografo…

Sempre meglio tenere a bene mente la differenza! 😀

Ciò premesso, A. Trevena ci consiglia di tracciare la nostra mappa scegliendo come punti di riferimento i seguenti elementi:

  • Alternanza CREDIBILE di paesaggi
  • Ubicazione delle fonti d’acqua
  • Collocazione delle risorse naturali
  • Definizione delle rotte commerciali più importanti
  • Identificazione dei principali predatori naturali
  • Ubicazione della capitale
  • Localizzazione dei più importanti centri commerciali e di scambio

Tieni sempre presente che:

«Proprio come i luoghi della tua mappa devono essere collocati in maniera tutt’altro che casuale, così non possono avere nomi affibbiati a caso. Potrebbero avere nomi che rimandano, piuttosto, all’identità del loro fondatore o al paesaggio, al fiume o alla montagna accanto a cui sorgono. Potrebbero trarre il loro nome da una leggenda locale; anche i nomi dei tuoi luoghi possono contenere, in sé, una storia tutta loro.»

A. Trevena

La storia

Questa riflessione ci porta incontro al secondo passo da compiere per creare il tuo mondo fantasy: tenere conto del ruolo della Storia, sì, quella con la maiuscola!

Ci ricorda Trevena: «Il tuo mondo attuale è un prodotto di tutto quello che è successo in passato, perfino se nessuno di quelli che vivono lì, adesso, se ne ricorda. E’ compito tuo, in qualità di scrittore, saperlo. Ricordarti ciò che loro hanno dimenticato

Con quest’ultima frase, l’autrice di “30 Days of Worldbuilding” sta forse cercando di insinuare che faresti meglio rovinare la serata del tuo lettore infarcendo i capitoli iniziali del tuo romanzo fantasy con cinquantamila infodump riepilogativi di altrettanti eventi storici? Inserire un barboso prologo che contiene la cosmogonia del tuo mondo (“E il primo giorno egli creò le barbabietole da zucchero…“) o roba del genere?

Assolutamente no.

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Il significato e l’uso di una sottotrama: l’esempio di “The Last of Us”


the last of us - uso e significato di sottotrama

Qual è il significato della parola “sottotrama”?

I subplot possono essere veramente utili allo sviluppo del tuo romanzo, oppure costituiscono un mero riempitivo (come una dilettantesca scuola di pensiero nostrana sembra determinata a ipotizzare)?

E qual è il modo migliore per gestire una sottotrama? Come si può imparare a utilizzare gli archi secondari in modo tale da riuscire ad arricchire e conferire ulteriore profondità alle proprie storie?

Non ti mentirò, queste sono domande molto complesse.

Quindi, per provare a rispondere ad alcune di esse in maniera esaustiva, penso proprio che ricorrerò a un esempio concreto.

Prima di tutto, però, concediamoci qualche accenno di terminologia


Che cos’è una sottotrama?

Secondo Masterclass, una sottotrama è

«una storia secondaria che corre parallela a quella principale. Contiene una batteria di personaggi secondari ed eventi che possono infondere importanti informazioni nell’arco principale. Conosciuta anche come storia minore, una sottotrama è in grado di creare un arco narrativo più ricco e complesso in un romanzo o in un altro mezzo di racconto.»

A queste (preziose) considerazioni aggiungerei un altro concetto importante: vale a dire il TEMA della storia. Ma vedremo a breve che cosa intendo.

Per ora, quindi, ti basti sapere che, attraverso uno sviluppo creativo e attento di una buona sottotrama, sarai in grado di:

  1. Somministrare preziose informazioni ai tuoi lettori, relative al worldbuilding, al tuo protagonista, al villain ecc., senza rischiare di incappare in quell’odiosa trappola letteraria chiamata “infodump”;
  2. Arricchire la tua ambientazione, conferendo credibilità alle tue invenzioni e aiutando il lettore a immergersi completamente nel mondo della tua storia;
  3. Potenziare l’arco trasformativo dei tuoi personaggi principali, a prescindere da quale sia stata la tua scelta in tal senso (ricordi? Abbiamo già tracciato una distinzione fra arco positivo, negativo e “piatto”…)
  4. Evidenziare il tema principale del tuo romanzo.

Non male, per uno “strumento” che gli autori meno avveduti tendono a usare alla stregua di semplice tappabuchi, eh?


Tutti i romanzi hanno bisogno di una sottotrama?

La risposta veloce a questo annoso quesito è: «Puoi scommetterci la zucca!».

La risposta complessa (e leggermente più ponderata) è :«Dipende».

Stai scrivendo un racconto o un romanzo breve, una “novella” nel senso più americano del termine? Allora non hai bisogno di una sottotrama.

Stai scrivendo una romcom in formato tardizionale? Allora ti servono un paio di cosucce: ad esempio, una migliore amica che sia l’esatto opposto della tua eroina (in modo tale da esaltare gli aspetti della caratterizzazione o del viaggio della protagonista su cui vuoi indirizzare l’attenzione del lettore). Non sarebbero male neanche un impiego o un progetto professionale pronto a creare un mucchio di guai e a trasformarsi in un ostacolo per i tuoi piccioncini. O magari una serie di problemi famigliari, in grado di giustificare l’atteggiamento ostile del tuo LI e far sapere ai tuoi lettori i motivi che lo/la spingono a fuggire ogni volta che il vero amore sembra a portata di mano.

Senza l’interazione di tutti questi ingredienti “secondari”, dimmi un po’: che cosa ti ritroveresti per le mani?

La storia di due tizi anonimi che si incontrano, litigano perché sì, si piacciono perché così è scritto sul copione e alla fine si sposano, chiedendo un mutuo e trasferendosi in una non meglio precisata città di periferia?

Ah.

Buona fortuna, quando si tratterà di vendere a qualcuno questa storia…


Il “vero” significato di sottotrama: l’esempio di “The Last of Us”

The Last of Us” è stata una delle serie più emozionanti, autentiche e struggenti della scorsa stagione televisiva.

Confido nel fatto che tu l’abbia già vista. Ma, se così non fosse, ti esorto caldamente a rimediare. Dico sul serio: se vuoi diventare uno scrittore, una delle attività più salutari a cui potresti dedicarti, in questo momento, consiste sicuramente nel concederti qualche ora per studiare la sceneggiatura di questa o altre serie tv targate HBO.

Se, invece, sei in pari e hai già avuto modo di digerire le implicazioni di quel particolare finale già da un pezzo… Continua pure a leggere l’articolo senza remore di sorta.

Cosa ne dici? Ci sei?

Allora, procediamo…

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Come scrivere un (buon) dialogo: Elizabeth George e il THAD


come scrivere un dialogo - elizabeth george e il thad

Come scrivere un dialogo”: ecco una questione con cui qualsiasi autore, prima o poi, verrà chiamato a confrontarsi.

Dopotutto, quella di scrivere dialoghi, nel contesto di un romanzo o in un racconto, è un’arte estremamente delicata.

Tanto per cominciare, bisogna sempre tenere presenti le regole dello “show, don’t tell”. E ricordarsi che uno dei primi obiettivi di un buon dialogo consiste nel cercare di «svelare un personaggio attraverso la sua voce

Ho preso in prestito quest’ultima citazione da Elizabeth George, una delle più popolari autrici americane di romanzi gialli a tema poliziesco.

In realtà, una buona parte dei suggerimenti in cui ti imbatterai all’interno di questo articolo è stata tratta proprio dall’incisivo manuale “L’Arte di Costruire un Romanzo”, pubblicato dalla George nel corso del 2020.

Una lettura molto utile e interessante, che ti consiglio senz’altro di recuperare. Peraltro, una rapida ricerca online ti confermerà la disponibilità del volume anche in italiano, in una comoda edizione economica proposta da Tea.


Gli obiettivi di un buon dialogo

«Le parole pronunciate dai personaggi all’interno dei dialoghi servono a rivelare, ammettere, incitare, accusare, mentire, informare, manipolare, sviare, suggerire, ordinare, incoraggiare e così via, e rappresentano anche un modo efficiente per far proseguire la storia.»

L’Arte di Costruire un Romanzo – Elizabeth George

Secondo Elizabeth George, in un romanzo una scena di dialogo ha il compito fondamentale di assolvere ad almeno una di queste funzioni:

  1. Illustrare al lettore la natura della persona che parla (carattere, intenzioni, educazione, background, sistema culturale di appartenenza ecc.), attraverso il suo peculiare modo di esprimersi;
  2. Aggiungere uno strato di significati sottintesi a quanto già sappiamo, sollecitando interrogativi e curiosità nella mente del lettore;
  3. Permettere alla storia di avanzare.

Un dialogo che non riesce a rispondere a nessuno di questi requisiti, deve essere eliminato dalla stesura definitiva del tuo romanzo senz’ombra di esitazione.

Perché non servirebbe A NIENTE.

A parte, forse, a tediare il lettore, incoraggiandolo a mettere da parte il tuo libro senza pensarci due volte.

Queste dichiarazioni della George si trascinano dietro un evidente (quanto fondamentale) corollario:

per scrivere un buon romanzo, bisogna, prima di tutto, imparare a differenziare il modo di parlare dei vari personaggi.

Prova a fare un giretto in stazione, e tieni le orecchie bene aperte.

Che cosa scoprirai? Che non esistono due persone inclini a esprimersi nello stesso e identico modo. Perché le varie scelte di linguaggio, l’accento, l’organizzazione della sintassi, le espressioni gergali ricorrenti, l’inflessione e, in alcuni casi, perfino il modo di accompagnare le parole gesticolando, in realtà sono in grado di riflettere la personalità e l’identità socio-culturale del parlante sopra ogni cosa.

Mi segui?

Sono tratti caratterizzanti.

E parte integrante del tuo processo di creazione di un personaggio: protagonista, villain, o altro che sia.


Come scrivere un dialogo: impara a evitare la “Sindrome delle Teste Parlanti”

Naturalmente, non è possibile scrivere un buon dialogo ricorrendo alla sola scansione diretta.

La forma e il contenuto delle singole battute andranno sempre curati con meticolosa attenzione, si capisce. Peraltro, stando bene attenti a evitare gli infodump, soprattutto nell’odiosa forma del meccanismo “As You Know, Bob“.

Ma altrettanta importanza rivestono (o dovrebbero rivestire, in un mondo ideale…) le azioni destinate ad  accompagnare le suddette battute.

Per illustrare meglio il concetto, anni fa Elizabeth George ha coniato, insieme ai suoi studenti di un corso di scrittura creativa, il termine THAD: un acronimo che sta per “Talking Head Avoidance Device” (Matteo Camporesi traduce l’espressione, giustamente, in maniera pressoché letterale: “Dispositivo Per Evitare le Teste Parlanti”).

A che cosa serve il “THAD”?

Ancora una volta, cediamo la parola direttamente alla George:

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Come creare il villain di una storia con il metodo “S.E.R.P.E.”



Ti sei mai chiesto come creare il perfetto villain per la tua storia?

Non sto parlando di un semplice antagonista, bada.

Mi sto riferendo proprio a un puro, perfido, interessante, irresistibile “cattivo”; uno di quelli in grado di rendere la vita del tuo protagonista un inferno… e di trasformare il tuo romanzo in un successo!

Perché, come abbiamo visto, una trama che funziona è spesso in grado di tirare in ballo tutti e tre i livelli di conflitto.

Ma non sarà un mistero per nessuno scoprire che, nell’ambito della maggior parte dei generi commerciali, è il CONFLITTO PERSONALE a svolgere la parte del leone: in tutti questi casi, infatti, sarà proprio la battaglia senza quartiere fra l’eroe della storia e il suo turpe nemico a trainare la trama!

Nell’articolo che seguirà, ti proporrò una serie di consigli per creare il tuo villain ideale.

È importante ricordare che il metodo “S.E.R.P.E.” (da me coniato) si basa su un compendio di informazioni tratte da due preziosissimi manuali di scrittura creativa: “Writing About Villains”, di Rayne Hall, e “The Emotional Wound Thesaurus” di Angela Ackerman e Becca Puglisi.


Come creare il villain della tua storia in 5 passi: Archetipi VS Stereotipi

Prima di iniziare, dovremo soffermarci un momento a considerare la differenza che passa fra un ARCHETIPO e uno STEREOTIPO.

Purtroppo, frequentando una serie di forum e gruppi di aspiranti autori online, ho realizzato che molte persone tendono ad adoperare questi due termini come se si trattasse di sinonimi. Li considerano intercambiabili, addirittura, spingendosi al punto di attribuire un’accezione profondamente negativa a entrambi.

Ascoltami bene…

Non può esserci. Nulla. Di. Più. Sbagliato!

«Certi tipi di personaggi hanno giocato un ruolo importante nell’arte di raccontare storie sin da quando l’umanità ha scoperto il linguaggio. Compaiono di continuo, sempre riconoscibili, eppure sempre differenti. Perché sono in grado di risuonare con il subconscio del lettore su un livello profondo.

L’archetipo è una parte importante della caratterizzazione di ogni cattivo – ma NON costituisce un valido sostituto per un appropriato processo di costruzione di un personaggio. Infatti, se non viene concessa loro la possibilità di trasformarsi in individui, gli archetipi rimangano senza vita.»

 “Writing About Villains”, Rayne Hall

Capisci?

Da questo momento in poi, useremo la parola “archetipo” per descrivere un “tipo” di personaggio in grado di risuonare profondamente nell’inconscio del lettore, sguinzagliando su di lui il massimo impatto emotivo possibile.

Mentre uno “stereotipo”, come vedremo a breve, è soltanto il frutto di un atto di pigrizia creativa; un modo come un altro per riciclare personaggi già visti e idee abusate, e creare eroi e villain privi di qualsiasi attrattiva.


1. “S” come “Scegli un archetipo per il tuo villain”

Secondo Rayne Hall, uno scrittore ha a disposizione almeno 10 diversi archetipi fra cui scegliere.


  • Il Signore Oscuro

Esempi:

Sauron ne “Il Signore degli Anelli”;

L’Imperatore Palpatine nella saga di “Star Wars”;

Hela in “Thor: Ragnarok”.

  • L’Astuto Cospiratore

Esempi:

Petyr Baelish ne “Il Trono di Spade”;

Randall Flagg nel ciclo della “Torre Nera”;

La fuggitiva Mae nella miniserie Netflix “Il Diavolo in Ohio”.

  • Lo Scienziato Ossessionato

Esempi:

Il Dottor Moreau ne “L’Isola del Dottor Moreau”;

James Reed in “Middlegame” di Seanan McGuire.

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“L’Isola del Dottor Moreau”: 5 cose che uno scrittore può imparare leggendo il libro di Wells


isola del dottor moreau - analisi libro h g wells

Non esagero quando dico che l’edizione Fanucci de “L’Isola del Dottor Moreau” ha fatto parte della mia TBR per anni.

Dopotutto, dello stesso autore avevo già letto “La Macchina del Tempo”, libro di cui avevo senz’altro apprezzato la visionarietà e la sottile ironia di fondo.

Ma, allora, perché mi sono ritrovata a esitare così tanto?

Bè…

Il problema è che ho una mente iperattiva e facilmente incline alle distrazioni; per cui, forse non ti sorprenderà sapere che sono le nuove uscite, per la maggior parte del tempo, a monopolizzare il mio tempo!

Eppure, paradossalmente, stavolta si dà il caso che sia stata proprio questa mia (comprensibilissima) fascinazione per i titoli appena sbarcati in libreria a spingermi a recuperare il libro di H. G. Wells, pubblicato per la prima volta nel 1896.

Dopotutto, a fine luglio è uscita l’edizione in lingua originale del retelling “The Daughter Of Doctor Moreau di Silvia Moreno-Garcia; l’affermata autrice di “Mexican Gothic” e “Gods of Jade and Shadow”, due romanzi affascinanti e ricchi di seducenti suggestioni morbose.

Per “prepararmi” alla lettura di questo nuovo lavoro, cos’altro avrei potuto fare, se non decidermi a a iniziare la mia bella copia de “L’Isola del Dottor Moreau”?

Ti confermo subito che si è trattato della scelta giusta. In primo luogo, perché “L’Isola del Dottor Moreau” mi ha garantito un’esperienza di lettura insolita, incisiva e ricca di spunti di riflessione.

Ma anche perché il classico di Wells mi ha permesso di assimilare cinque preziose lezioni di scrittura creativa; le stesse che ho intenzione di condividere con te, nel corso di questo articolo…


Spoiler alert!

1.Come usare il “body horror” per richiamare nel lettore un sacrosanto terrore della propria mortalità

Fra le righe della trama de “L’Isola del Dottor Moreau”, si nascondono parecchie metafore, di ordine tanto sociale, quanto metafisico, religioso e perfino esistenziale.

Eppure, su un livello profondo – un livello istintivo –  la prima reazione che la cronaca degli atroci esperimenti compiuti dal protagonista del libro è in grado di suscitare, non ha nulla a che vedere con i cosiddetti sentimenti “elevati” del genere umano.

Compassione, sdegno, etica, raziocinio…

È come se gli eloquenti plot twist del libro di H. G. Wells costringessero tutte queste cose ad “arretrare” nella mente del lettore, per lasciare campo libero a emozioni di natura assai più prosaica e ancestrale: paura. Rabbia. Sgomento. Orrore.

Per scagliarlo, insomma, in una condizione psicologia non troppo dissimile da quella sperimentata dalle tormentate creature del dottor Moreau.

Tieni presente che il body horror è il sottogenere che si propone di raccontare il senso di orrore, assoluto e incontrovertibile, che si prova al cospetto di una violazione del corpo.

Un terrore universale, intriso di sofferenza e non privo di certe particolari connotazioni grottesche, che riesce a estendere la sua fosca influenza sugli abitanti di ogni epoca, ceto e cultura.

La paura del dolore fisico, in fondo, è una delle pochissime cose in grado di accomunarci tutti.

Ed ecco perché NESSUNO sarà mai in grado di restare indifferente di fronte alla raccapricciante storia dello scienziato pazzo Moreau…

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Come (non) scrivere un personaggio femminile: 9 devastanti stereotipi che potrebbero distruggere il tuo lavoro


Come puoi creare un personaggio femminile accattivante, vivace e ricco di sfumature?

In un mondo ideale, la risposta sarebbe scontata: seguendo lo stesso, identico procedimento che useresti per creare un personaggio maschile accattivante, vivace e ricco di sfumature!

Vale a dire liberandoti da ogni preconcetto, buttando dalla finestra ogni idea stereotipata e provando a calarti nei panni di un’altra persona, a prescindere da quanto tu possa sentirla lontana o “diversa” da te.

Da un punto di vista pratico, ovviamente, questo si traduce nella necessità di assegnare al tuo personaggio femminile:

  • un oggetto del desiderio (che non sia il tuo protagonista maschile, per amor di Dio!) e un oggetto del bisogno (idem come sopra);
  • una complessa vita interiore e una “ferita” emotiva su cui far leva nel corso della narrazione;
  • un’identità e una serie di complesse relazioni con i personaggi che la circondano.

Tutto abbastanza ovvio, no?

Lo ribadisco: soltanto in teoria, a quanto pare!

Perché la verità è che ormai ho letto abbastanza manoscritti – e romanzi pubblicati – da sapere che quello dei personaggi femminili è ANCORA un tasto dolente per molti autori.

Nell’articolo di oggi, riassumerò i nove peggiori stereotipi a cui uno scrittore possa ricorrere durante il processo di ideazione di un personaggio femminile.

Non importa che si tratti della tua protagonista, della madre dell’eroe, del love interest o di una matrona di passaggio: se hai inserito un personaggio femminile all’interno del tuo romanzo, ricorda solo di tenerti il più lontano possibile dai fastidiosi cliché che sto per elencarti…


1. La “Sexy Lamp”

Lois Lane nel film “Man of Steel”

Questo termine è stato coniato per la prima volta da Kelly Sue DeConnick (fumettista americana nota soprattutto per la sua leggendaria run di “Captain Marvel”).

In occasione di un panel all’Emerald City Comic Con, la DeConnick ha avuto modo di esprimere il proprio disappunto nei confronti del trope del cosiddetto “Personaggio Femminile Forte”.

A suo avviso, infatti, molte opere che ne fanno uso si limitano a presentare una forza di facciata (una sorta di “copertura”), quando, di fatto, al suddetto personaggio femminile viene sottratta ogni effettiva capacità di agire e influenzare la trama per mezzo delle sue azioni.

Quando l’autore si limita, cioè, a usare la co-protagonista femminile alla stregua di un semplice accessorio di scena.

Secondo la DeConnick, infatti, perfino il famosissimo test di Bechdel è uno strumento troppo debole, incapace di determinare il reale livello di sessismo contenuto in una storia.

Il risvolto buffo? L’autrice propone di impiegare, al suo posto, il cosiddetto “test della Lampada Sexy”:

«Se puoi eliminare il tuo personaggio femminile e sostituirlo con una lampada sexy, vuol dire una cosa sola: SEI UN DANNATO SCRITTORUCOLO!»

Kelly Sue DeConnick

Parole forti, lo so, ma ancora… necessarie.

Per la serie: NON pensare che basti creare una bambolina da affiancare al tuo protagonista maschile, per soddisfare il concetto di rappresentanza femminile.

Non importa se la bambolina in questione può millantare fenomenali poteri cosmici, praticare dieci tipi di arti marziali diversi, o se racchiude in sé il potenziale per mettere al mondo il prossimo salvatore dell’universo.

Se non le permetti di FARE niente, se il suo ruolo non può dirsi indistricabilmente legato allo sviluppo del plot, se la sua presenza in scena serve soltanto a dimostrare quanto incredibilmente cool e attraente stia diventando il tuo eroe maschile…

Rimpiazzala direttamente con un accessorio da ufficio. Lampada, sedia o scrivania: non fa differenza.

Ma lascia fuori le donne da questa storia.

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Il conflitto in narrativa: la sottile arte di sfidare il protagonista, per stregare il lettore



«Il conflitto sta alla narrazione come il suono sta alla musica.»

 Robert McKee

In narrativa, il conflitto è uno degli strumenti più importanti in assoluto.

Assolutamente imprescindibile.

Senza conflitto, infatti, una storia non avrebbe alcuna possibilità di progredire.

In fondo, l’abbiamo già dimostrato un paio di settimane fa, quando abbiamo parlato dei 5 “step” necessari alla costruzione di una buona scena.

Soltanto gli autori più inesperti, ingenui e totalmente fuori controllo 😆 potrebbero prendere in considerazione l’idea di fare a meno di questo prezioso “ingrediente”.

Prova a rifletterci…

Rinunciare al conflitto narrativo?

Che assurdità!

Dimenticare che lo scontro fra forze antagoniste costituisce il motore a propulsione di qualsiasi storia, a prescindere dal suo genere di appartenenza, sarebbe la via più sicura per tediare (e confondere) mortalmente il tuo pubblico!

Perciò, se vorrai assicurarti che il tuo romanzo/racconto funzioni, questo sarà sicuramente uno dei primissimi passi che verrai chiamato a compiere: capire che cosa sottintenda, esattamente, il concetto di “conflitto” in narrativa, e in che modo potrai usarlo per generare complicazioni e complessità all’interno della tua trama…


Quanti “tipi” di conflitto esistono in narrativa?

In che modo Robert McKee propone di classificare i diversi tipi di conflitto che è possibile trovare all’interno di una storia?

E’ presto detto.

Di fatto, abbiamo:

  • Il Conflitto Interpersonale
  • Il Conflitto Interiore
  • Il Conflitto Extra-personale

Il Conflitto Interpersonale è quello che vede il protagonista opporsi alle azioni di qualsiasi altro personaggio.

Spesso (ma non necessariamente) ci si riferisce allo scontro con il villain o con uno dei suoi aiutanti. In generale, però, possiamo dire che il fulcro del conflitto interpersonale riguarda tutte quelle relazioni che si vengono a instaurare fra l’eroe della storia e il resto del cast, nel momento preciso in cui fra di loro si scatena un attrito.

Nelle storie di formazione, anche le figure genitoriali possono essere spesso fonte di grande tensione narrativa. Considera, ad esempio, il personaggio di Muneeba Khan nella recente miniserie Disney “Ms Marvel”, o il ruolo delle famiglie Fairmont e Burns nello show Netflix “First Kill“.


Il Conflitto Interiore è ciò che si scatena quando il protagonista è costretto ad affrontare i suoi demoni interiori.

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Come creare la scheda di un personaggio: guida, esempi e miti da sfatare


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«Come si scrive la scheda di un personaggio

«Da che parte si comincia a “inventare” il carattere di un protagonista?»

«Come faccio ad assicurarmi che ogni elemento della caratterizzazione del mio eroe sia coerente con gli altri?»

Ho notato che, nello sforzo di trovare un responso a questi ultimi due interrogativi, molti aspiranti autori tendono ad aggrapparsi alla necessità di compilare una “scheda del personaggio”. Quasi come se si trattasse di una fune alle quali sostenersi, per evitare di finire risucchiati dal flusso di creatività irresistibile che potrebbe trascinarli a valle…

Capisco questi autori. Credimi: li capisco davvero bene!

In fondo, come diceva Stephen King, scrivere un libro è un po’ come imbarcarsi per una traversata atlantica a bordo di una vasca da bagno. Tutto ciò che può aiutarci a sentirci più sicuri – e impedire alla nostra bagnarola di mostrare le prime falle – deve essere considerato cosa buona e giusta.

Ed ecco perché, oggi, ho deciso di fornirti una sorta di piccola “guida” alla creazione della scheda di un personaggio. Un documento che potrà veramente rivelarsi utile durante la prima stesura del tuo romanzo, e non soltanto la solita perdita di tempo.

Nello sforzo di semplificarti un po’ le cose, ti proporrò quindi una scheda-esempio relativa alla protagonista del magistrale film “Ultima Notte a Soho”, diretto da Edgar Wright


Caro Scrittore, ti presento il personaggio!

Ricordi? Abbiamo già stabilito che il protagonista di una storia, in modo particolare, deve essere in grado di influenzare la trama, il ritmo, le tematiche e le azioni del resto del cast.

Imbarcandosi in due “viaggi” diversi, ma complementari (quello esterno e quello interiore – la trama e l’arco del personaggio), l’eroe si sottopone quindi a un grandioso e avvincente percorso di trasformazione, fino a diventare la “miglior versione possibile” di se stesso.

Il discorso si applica, in scala ridotta, a qualsiasi personaggio del tuo libro. Ovviamente, più importante sarà il suo ruolo, e maggiore attenzione dovrai riservare alla cura del suo arco e della sua caratterizzazione.

Ma, affinché tu possa riuscire nella tua impresa, naturalmente dovrai assicurarti prima di tutto di CONOSCERE il tuo protagonista: intimamente e profondamente, dentro e fuori.

Non soltanto il suo aspetto fisico, quindi, o l’elenco dettagliato dei suoi pregi e dei suoi difetti (dolce, cinico, chiacchierone, ombroso, avaro, generoso eccetera).

Mi riferisco soprattutto al suo modo di pensare, di esprimersi e di parlare. Alla sua identità e ai suoi traumi del passato. Alle sue difficoltà di ogni giorno e alle sue complesse relazioni con il resto dei personaggi che definiscono il suo mondo.

In poche parole: a tutto ciò che permetterà al lettore di identificarsi con il personaggio e imparare ad amarlo.

Come possiamo riuscire a raggiungere questo livello di “intimità” con i nostri personaggi e, contemporaneamente, ad assicurarci che il nostro eroe (o villain, o mentore, o love interest…) sia DAVVERO l’uomo o la donna giusto/a per la nostra storia?

Ma, soprattutto… come possiamo riuscire a “organizzare” ogni informazione in nostro possesso attraverso una scheda del personaggio efficiente e pronta all’uso?

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Come scrivere l’incipit perfetto: dalla “domanda invisibile” alla scena d’apertura


come scrivere incipit romanzo

Se sei nato dopo il 1841, probabilmente sai già che un incipit in stile “I Promessi Sposi” non è la scelta ideale per un autore di romanzi che aspiri a procurarsi un editore e a coltivare un seguito di lettori nell’anno del Signore 2022.

La verità è che viviamo in un mondo frenetico, ricco di opportunità, mezzi di intrattenimento e distrazioni: Netflix, TikTok, Snapchat, WhatsApp, Spotify, il circolo locale del bingo, e chi più ne ha, più ne metta…

Se vuoi che il tuo lettore scelga di dedicare la sua sospiratissima serata libera al tuo libro, dovrai riuscire a confezionare l’incipit perfetto, in grado di catturare la sua attenzione e catapultarlo all’interno della tua storia fin dai primissimi paragrafi.

Altrimenti, quel lettore mollerà allegramente il tuo libro a pagina 4 e correrà a spararsi l’ennesima maratona di “Grey’s Anatomy”. Lo sai, che lo farà. Perché è quello che faresti anche tu, se ti trovassi alle prese con l’inizio di un romanzo che non riesce a risvegliare minimamente il tuo interesse.

Perciò, da che parte si inizia a raccontare una storia? Come si può riuscire a scrivere un incipit coinvolgente, accattivante e in grado di dimostrare al pubblico che il tuo romanzo vale tutto il tempo (e il denaro) speso per la lettura?

È arrivato il momento di scoprirlo insieme! 😀

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Come scrivere un protagonista indimenticabile: dalla “ferita emotiva” alla scoperta della propria verità

come scrivere un protagonista indimenticabile

L’arte di scrivere un personaggio è un processo che richiede attenzione, pazienza, capacità di ascoltare e spingersi oltre le apparenze.

Il discorso vale per la creazione di qualsiasi comprimario, a prescindere dal suo “allineamento” (buono o cattivo), ma diventa ancora più importante nel momento in cui parliamo della costruzione del protagonista del tuo romanzo: il personaggio che permetterà al lettore di entrare nel mondo della tua storia e sperimentare attraverso di lui/lei una valanga di emozioni!

Qualche settimana fa, mi sono imbattuta nel libro di Lewis JorstadWrite Your Hero”, una vera e propria “guida” alla genesi dell’ EROE/PERSONAGGIO PRINCIPALE.

Un manuale utilissimo, ricco di spunti di riflessione e suggerimenti operativi.

Nel post che seguirà, farò riferimento soprattutto (ma non esclusivamente) all’opera di Jorstad.

Per approfondire l’argomento, ti suggerisco ovviamente di procurarti il manuale in questione e divorarlo da cima a fondo! 🙂

Chi è il protagonista?

Il protagonista di un romanzo rappresenta prima di tutto una sorta di «finestra» affacciata sul mondo della tua storia.

Noi lettori arriviamo spesso a considerare l’eroe alla stregua di un vero e proprio «avatar»: per l’intera durata della lettura, infatti, avremo la possibilità di immergerci nella sua storia e sperimentare insieme a lui centinaia di avventure di ogni tipo, spesso lontanissime dalla nostra realtà di ogni giorno!

«Che si ritrovino ad affrontare battaglie epocali o a godersi vittorie schiaccianti, noi lettori abbiamo la possibilità di sperimentare la storia esclusivamente attraverso di loro [i protagonisti]. Quando hanno paura, il nostro cuore fa un balzo, e quando sono felici, non possiamo fare a meno di sorridere. A lettura finita, questi personaggi diventano reali, per noi, tanto qualsiasi altra persona all’interno delle nostre vite.»

Lewis Jorstad, “Write Your Hero”

L’eroe dovrà anche, naturalmente, rivelarsi in grado di influenzare tantissime componenti della narrazione. Ad esempio, la struttura della trama, il ritmo, i temi e il resto del cast

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