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Come creare i tuoi mondi fantasy: l’arte del worldbuilding dalla “A” alla “Z”


worldbuiling - come creare mondi fantasy

Devo creare un mondo fantasy per la mia storia: da dove comincio?

Quali sono i passi da seguire?

Quanto tempo dovrò dedicare alla “progettazione” del mio worldbuiling?

La prima buona notizia che posso darti, caro amico scrittore, è che quelle che ti stai ponendo sono domande perfettamente legittime e sensate. Anzi: ogni bravo (e coscienzioso) scrittore si sarà trovato, prima o poi, a barcamenarsi fra questi interrogativi. Per cui i tuoi dubbi, in realtà, sono sinonimo di grande competenza e professionalità.

Non è che, se ti fai delle domande, vuol dire che non sei “capace” di lavorare sull’aspetto del worldbuiliding, bada bene: è solo che scrivere un romanzo (con l’intenzione di venderlo a un pubblico, editore ecc.) è un compito difficile, per cui bisogna semplicemente mettersi di buona lena e studiare fino a venire a capo di ogni “problema”! ;D


30 Days of Worldbuilding

La seconda buona notizia, intanto?

Se sei un autore alle prime armi, e stai ancora imparando le basi per la costruzione di un magnifico mondo fantasy in cui ambientare la tua storia, ho esattamente il libro che fa per te: “30 Days of Worldbuilding: An Author’s Step-by-Step Guide to Building Fictional Worlds” di A. Trevena.

Un volumetto prezioso che ti aiuterà, attraverso una serie di esercizi, a creare un worldbuilding credibile e originale nel giro di 30 giorni (o anche meno, in realtà).

Se, invece, senti di aver già raggiunto un livello di comprensione avanzato, ti consiglio di dare un’occhiata all’ottima serie “New Worlds: A Writer’s Guide to the Art of Worldbuilding” dell’autrice americana Marie Brennan.

Questa lettura potrebbe rappresentare un ottimo modo per approfondire un argomento vastissimo e ricco di sfide, oltre a permetterti di apprendere diversi “trucchetti” escogitati dall’autrice che ha praticamente “inventato” il genere del light academia (con anni di anticipo rispetto a “L’Enciclopedia delle Fate di Emily Wilde”).

In realtà, esistono tantissimi volumi interessanti da aggiungere in lista. Per il momento, però, cerchiamo di concentrarci su una serie di accorgimenti di carattere generale e, soprattutto, utili da un punto di vista pratico


Come creare un mondo fantasy: le basi

Come ci ricorda la stessa A. Trevena, la primissima cosa da fare è stabilire all’interno di quale genere (o sottogenere) specifico vada a inserirsi la tua storia.

Che poi, se ti ricordi, è un po’ lo stesso discorso che abbiamo fatto quando ti ho esposto la teoria di Shawn Coyne sulla costruzione della trama di un romanzo! ;D

Perché, vedi, per quanto riguarda il worldbuilding, un autore ha sempre tre opzioni a disposizione:

  1. Costruire un mondo fittizio, totalmente nuovo, che risponde a regole che non hanno necessariamente nulla a che spartire con quelle del nostro. Precisazione doverosa: se ti stai muovendo nell’ambito della speculative fiction, ma certo che puoi riscrivere le leggi della fisica a piacimento e concedere ai tuoi personaggi tutti i super-poteri che riescono a solleticare la tua immaginazione… A patto, però, di continuare ad aderire alle imposizioni di quell’unica, gigantesca, imprescindibile legge universale della narrativa: vale a dire, il rispetto del sacrosanto principio della COERENZA INTERNA.
  2. Costruire un mondo che somiglia a quello reale, ma con un passato o un futuro alternativo/i. E’ questo quello che succede, ad esempio, quando proviamo a scrivere un’ucronia o un romanzo distopico.
  3. Costruire un mondo parallelo fittizio, magico o quant’altro, che esiste accanto a quello reale, come nel caso dei portal fantasy o degli isekai. Lo stesso vale per i libri per ragazzi come “Harry Potter” o “L’Accademia del Bene e del Male”.

La mappa

Tracciare una mappa è un requisito tutt’altro che obbligatorio, anzi. Non c’è neanche bisogno di dirlo: se non te la senti di cimentarti nell’impresa, puoi semplicemente scegliere di saltare questo passo e passare all’obiettivo successivo.

Ma se stai scrivendo un epic fantasy, o comunque una storia ambientata (almeno per i due terzi) all’interno di un mondo fantasy secondario, il mio consiglio spassionato è comunque quello di dedicare una parte della tua fase di progettazione narrativa alla definizione di una mappa. Se l’attività non rientra esattamente nelle tue corde, non perdere tempo a curare i dettagli estetici dell’operazione e non lasciarti turbare dalla questione della “bellezza” oggettiva del tuo lavoro: dopotutto, sei uno scrittore di libri fantasy, non un cartografo…

Sempre meglio tenere a bene mente la differenza! 😀

Ciò premesso, A. Trevena ci consiglia di tracciare la nostra mappa scegliendo come punti di riferimento i seguenti elementi:

  • Alternanza CREDIBILE di paesaggi
  • Ubicazione delle fonti d’acqua
  • Collocazione delle risorse naturali
  • Definizione delle rotte commerciali più importanti
  • Identificazione dei principali predatori naturali
  • Ubicazione della capitale
  • Localizzazione dei più importanti centri commerciali e di scambio

Tieni sempre presente che:

«Proprio come i luoghi della tua mappa devono essere collocati in maniera tutt’altro che casuale, così non possono avere nomi affibbiati a caso. Potrebbero avere nomi che rimandano, piuttosto, all’identità del loro fondatore o al paesaggio, al fiume o alla montagna accanto a cui sorgono. Potrebbero trarre il loro nome da una leggenda locale; anche i nomi dei tuoi luoghi possono contenere, in sé, una storia tutta loro.»

A. Trevena

La storia

Questa riflessione ci porta incontro al secondo passo da compiere per creare il tuo mondo fantasy: tenere conto del ruolo della Storia, sì, quella con la maiuscola!

Ci ricorda Trevena: «Il tuo mondo attuale è un prodotto di tutto quello che è successo in passato, perfino se nessuno di quelli che vivono lì, adesso, se ne ricorda. E’ compito tuo, in qualità di scrittore, saperlo. Ricordarti ciò che loro hanno dimenticato

Con quest’ultima frase, l’autrice di “30 Days of Worldbuilding” sta forse cercando di insinuare che faresti meglio rovinare la serata del tuo lettore infarcendo i capitoli iniziali del tuo romanzo fantasy con cinquantamila infodump riepilogativi di altrettanti eventi storici? Inserire un barboso prologo che contiene la cosmogonia del tuo mondo (“E il primo giorno egli creò le barbabietole da zucchero…“) o roba del genere?

Assolutamente no.

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La struttura in tre atti: l’esempio di “Baby Reindeer”


struttura in tre atti esempio - baby reindeer

La serie tv “Baby Reindeer” ci offre uno splendido esempio di struttura narrativa in tre atti.

Se l’hai seguito su Netflix, sai già che si tratta di uno show notevole. E intendo tanto dal punto di vista della costruzione della trama, quanto di quello della recitazione e della composizione dei dialoghi.

In questo post, analizzeremo insieme l’architettura del plot della miniserie di Richard Gadd, per scoprire come e in quale misura i vari elementi dell’intreccio (pur essendo ispirati a fatti realmente accaduti) si “pieghino” ad assecondare le successive fasi di un modello narrativo di cui abbiamo già ampiamente discusso in passato.

Una piccola precisazione: nell’articolo che seguirà, procederò a mescolare – senza alcuna vergogna – una serie di termini ispirati al celebre metodo “Save the Cat!” con altri tratti dal classico viaggio dell’eroe di Vogler. Si tratta di una scelta deliberata, compiuta tenendo l’obiettivo della chiarezza espositiva in cima all’elenco delle mie priorità.

Dopotutto, se dobbiamo imparare qualcosa, tanto vale farlo a modo nostro… e, soprattutto, nella maniera più efficace e intuitiva possibile!

I preliminari

Prima di addentrarci nei meandri del nostro esempio di struttura in tre atti, concediamoci un momento per rispondere a un paio di domande importanti.

Le prime ci vengono suggerite dal Metodo “The Story Grid” di Shawn Coyne; sono le stesse che dovremmo porci prima di iniziare la stesura di qualsiasi nostro lavoro.

  • A che genere appartiene “Baby Reindeer”?

So già cosa stai pensando: ma sì, dai, questa è facilissima… “Baby Reindeer” è una classica dramedy di Netflix. Nel corso dei suoi otto episodi, infatti, si ride (poco), si piange (un sacco), si riflette contemplativamente sulle amare difficoltà e contraddizioni della vita ecc.

Sì, sì, certo: tutto molto giusto, tutto molto vero! Ma adesso vorrei sapere a quale genere narrativo, da un punto di vista STRUTTURALE, “Baby Reindeer” appartiene. Le parole “commedia” o “dramma”, ormai dovremmo saperlo, non hanno alcuna attinenza con il contenuto di una storia; solo con le tonalità attraverso le quali l’autore sceglie di narrare i fatti.

Che siano presenti delle contaminazioni fra generi diversi è al di là di ogni discussione. Per fare un esempio, gente più arguta di me ha già fatto notare come molte delle scene più inquietanti e disturbanti della serie siano state girate attraverso le lenti dell’horror (tipi di inquadrature, effetti prospettici particolari ecc.). Si tratta di un’osservazione molto interessante; anche perché, secondo me, è proprio la dissonanza generata dal contrasto fra elementi appartenenti a generi diversi a rendere l’atmosfera della miniserie così ipnotica e coinvolgente.

Del resto, abbiamo anche uno o due subplot romantici da tenere in considerazione…

Ma se vogliamo fare un discorso strutturale e tagliare fuori il resto, ci rendiamo presto conto che i nostri termini di riferimento possono essere soltanto due:

coming-of-age e thriller.

Rigorosamente in quest’ordine…

Perché “Baby Reindeer” rimane, sopra ogni altra cosa, una classica storia di formazione.


  • Che tipo di arco trasformativo segue il protagonista?

Il finale di “Baby Reeindeer” è dolceamaro. Si tratta di una conseguenza inevitabile, considerando il genere di storia con cui abbiamo a che fare: dopotutto, riuscire superare la propria visione in bianco e nero (tipica dell’infanzia) e accettare la dolorosa complessità morale dell’età adulta comporta sempre un prezzo incalcolabile.

Nonostante questo, Donny ha senz’altro un arco positivo. Di fatto, riesce a passare dalla grande Bugia che adombra la sua vita (soltanto se nasconderà la sua identità e riuscirà a trasformarsi in un comico di grido, simpatico e brioso, le persone gli perdoneranno le sue debolezze e si decideranno a dargli l’amore di cui ha bisogno) alla più grande delle Verità (soltanto chi ha il coraggio di accettare e amare se stesso, alla fine, sarà in grado di dare e ricevere l’unico tipo di amore che conta davvero).


  • Chi è l’antagonista della storia, e perché il suo personaggio risulta così brillante e interessante?

Sotto tanti punti di vista, Martha è un personaggio sgradevole: di fatto, stiamo parlando di una donna invadente, aggressiva, razzista, omofoba, xenofoba e chi più ne ha, più ne metta. Tuttavia, la sceneggiatura riesce comunque a sottolineare i suoi innumerevoli punti di vulnerabilità e i suoi sogni spezzati; spingendoci, in qualche modo, a provare un ampio margine di compassione nei suoi confronti.

Ti ricordi quando abbiamo parlato del Metodo S.E.R.P.E. per la costruzione del perfetto villain di una storia? Il primo passo recitava così: Scegli Il Tuo Archetipo.

Nel personaggio di Martha, è possibile rintracciare una sapiente alchimia di elementi legati ad almeno quattro archetipi diversi (Bullo, Trickster, Madre Soffocante e Reietto Sociale), magistralmente combinati a fornirci il ritratto di un’antagonista assolutamente inconfondibile, unica e vibrante di umanità.

L’altra caratteristica importante? Il legame complesso e ambivalente che unisce il protagonista alla sua nemesi. Un gioco di specchi, doloroso e intrigante, che riesce a cementare dentro di noi la certezza assoluta che Donny e Martha rappresentino semplicemente le due facce di una stessa medaglia…


La struttura in tre atti: l’esempio di “Baby Reindeer”

Primo Atto

Scena d’apertura: Un Donny nervoso e trafelato si avvicina al banco di una stazione di polizia e annuncia di voler presentare una denuncia. Una stalker di mezza età di nome Martha gli sta rendendo la vita impossibile. Ma quando l’ufficiale in servizio gli chiede da quando tempo vadano avanti le molestie, Donny esita visibilmente prima di rispondere: «Sei mesi.» Il poliziotto reagisce con evidente incredulità.

(Vedi come la scena d’apertura riesce ad assolvere a una vera e propria pletora di obiettivi diversi? Ad esempio, ci fornisce tutte le info di cui abbiamo bisogno per farci una prima impressione del carattere di Donny e, ovviamente, introduce il grande conflitto personale fra lui e Martha. Ma stabilisce anche l’ambientazione (tempo e luogo della narrazione), l’oggetto del desiderio, i toni tragicomici della storia e il tema portante della miniserie…)

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Il significato e l’uso di una sottotrama: l’esempio di “The Last of Us”


the last of us - uso e significato di sottotrama

Qual è il significato della parola “sottotrama”?

I subplot possono essere veramente utili allo sviluppo del tuo romanzo, oppure costituiscono un mero riempitivo (come una dilettantesca scuola di pensiero nostrana sembra determinata a ipotizzare)?

E qual è il modo migliore per gestire una sottotrama? Come si può imparare a utilizzare gli archi secondari in modo tale da riuscire ad arricchire e conferire ulteriore profondità alle proprie storie?

Non ti mentirò, queste sono domande molto complesse.

Quindi, per provare a rispondere ad alcune di esse in maniera esaustiva, penso proprio che ricorrerò a un esempio concreto.

Prima di tutto, però, concediamoci qualche accenno di terminologia


Che cos’è una sottotrama?

Secondo Masterclass, una sottotrama è

«una storia secondaria che corre parallela a quella principale. Contiene una batteria di personaggi secondari ed eventi che possono infondere importanti informazioni nell’arco principale. Conosciuta anche come storia minore, una sottotrama è in grado di creare un arco narrativo più ricco e complesso in un romanzo o in un altro mezzo di racconto.»

A queste (preziose) considerazioni aggiungerei un altro concetto importante: vale a dire il TEMA della storia. Ma vedremo a breve che cosa intendo.

Per ora, quindi, ti basti sapere che, attraverso uno sviluppo creativo e attento di una buona sottotrama, sarai in grado di:

  1. Somministrare preziose informazioni ai tuoi lettori, relative al worldbuilding, al tuo protagonista, al villain ecc., senza rischiare di incappare in quell’odiosa trappola letteraria chiamata “infodump”;
  2. Arricchire la tua ambientazione, conferendo credibilità alle tue invenzioni e aiutando il lettore a immergersi completamente nel mondo della tua storia;
  3. Potenziare l’arco trasformativo dei tuoi personaggi principali, a prescindere da quale sia stata la tua scelta in tal senso (ricordi? Abbiamo già tracciato una distinzione fra arco positivo, negativo e “piatto”…)
  4. Evidenziare il tema principale del tuo romanzo.

Non male, per uno “strumento” che gli autori meno avveduti tendono a usare alla stregua di semplice tappabuchi, eh?


Tutti i romanzi hanno bisogno di una sottotrama?

La risposta veloce a questo annoso quesito è: «Puoi scommetterci la zucca!».

La risposta complessa (e leggermente più ponderata) è :«Dipende».

Stai scrivendo un racconto o un romanzo breve, una “novella” nel senso più americano del termine? Allora non hai bisogno di una sottotrama.

Stai scrivendo una romcom in formato tardizionale? Allora ti servono un paio di cosucce: ad esempio, una migliore amica che sia l’esatto opposto della tua eroina (in modo tale da esaltare gli aspetti della caratterizzazione o del viaggio della protagonista su cui vuoi indirizzare l’attenzione del lettore). Non sarebbero male neanche un impiego o un progetto professionale pronto a creare un mucchio di guai e a trasformarsi in un ostacolo per i tuoi piccioncini. O magari una serie di problemi famigliari, in grado di giustificare l’atteggiamento ostile del tuo LI e far sapere ai tuoi lettori i motivi che lo/la spingono a fuggire ogni volta che il vero amore sembra a portata di mano.

Senza l’interazione di tutti questi ingredienti “secondari”, dimmi un po’: che cosa ti ritroveresti per le mani?

La storia di due tizi anonimi che si incontrano, litigano perché sì, si piacciono perché così è scritto sul copione e alla fine si sposano, chiedendo un mutuo e trasferendosi in una non meglio precisata città di periferia?

Ah.

Buona fortuna, quando si tratterà di vendere a qualcuno questa storia…


Il “vero” significato di sottotrama: l’esempio di “The Last of Us”

The Last of Us” è stata una delle serie più emozionanti, autentiche e struggenti della scorsa stagione televisiva.

Confido nel fatto che tu l’abbia già vista. Ma, se così non fosse, ti esorto caldamente a rimediare. Dico sul serio: se vuoi diventare uno scrittore, una delle attività più salutari a cui potresti dedicarti, in questo momento, consiste sicuramente nel concederti qualche ora per studiare la sceneggiatura di questa o altre serie tv targate HBO.

Se, invece, sei in pari e hai già avuto modo di digerire le implicazioni di quel particolare finale già da un pezzo… Continua pure a leggere l’articolo senza remore di sorta.

Cosa ne dici? Ci sei?

Allora, procediamo…

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Perché scrivere un romanzo fantasy è così difficile: le 5 scomode verità di cui nessuno ti ha mai parlato


perché scrivere un libro fantasy è così difficile

Scrivere un romanzo fantasy è difficile.

Se ci hai provato, o hai quantomeno progettato di scriverne uno, lo sai.

Se non lo sai…

Bè, qui entra in gioco il classico cane che si morde la coda, sei d’accordo con me?

Le persone (non del mestiere) a volte tendono a pensare che sia vero l’esatto contrario.

«Scrivere un libro fantasy è un giochetto da bambini», proclamano allegramente. «E che cosa ci vuole? Basta avere una fervida immaginazione e inventarsi un mucchio di cose che non esistono. Non è mica come cercare di buttar giù una storia seria!»

Se segui questo blog, o hai seguito quello che lo ha preceduto (il “Laumes’ Journey”), probabilmente non troverai difficile immaginare il mio livello di sconcerto. Anzi, magari, al pensiero della mia espressione sdegnata&disgustata, riuscirai anche a farti una bella risata ! 😆

Dopotutto, nel sistema di personalità individuate dal test di Myers-Briggs, sono un’INTJ accertata.

Sai cosa vuol dire?

Che l’ignoranza abissale della gente ha il potere di sconquassarmi il sistema nervoso come pochissime altre cose…


1. Perché scrivere un libro fantasy è difficile: la verità, tutta la verità, prego, sull’uso della parola “genere”

Da un punto di vista commerciale, il fantasy è sicuramente un genere.

Codificato, specifico, e in grado di rispondere a un certo tipo di esigenza da parte del pubblico.

Io amo il fantasy. Se qualcuno mi costringesse a scegliere un solo genere da leggere per il resto della mia vita, mi butterei sul fantasy senza colpo ferire.

E, se stai scorrendo questo articolo, ci sono ottime probabilità che lo stesso valga per te.

Ma sto per svelarti un piccolo segreto, e ho bisogno che tu adesso ascolti molto attentamente quello che sto per rivelarti, okay?

Perché, se hai intenzione di scrivere un libro fantasy, ho idea che potrebbe farti molto comodo tenere a mente queste parole:

Da un punto di vista STRUTTURALE, il fantasy non è un genere.

Dico sul serio.

Non c’è modello del Viaggio dell’Eroe che tenga.

In realtà, mentre sarai intento a sviluppare la trama della tua storia, “Fantasy” sarà solo una parola che ti aiuterà a capire se gli eventi si svolgeranno nel nostro mondo oppure in uno di tua completa (o parziale) invenzione.

Ho imparato questa preziosa lezione leggendo il manuale “The Story Grid” di Shawn Coyne.

Secondo il famoso editor americano, infatti, dal punto di vista strutturale il “fantasy” non può essere considerato alla stregua di un vero e proprio genere, perché gli unici suoi elementi SPECIFICI ed ESCLUSIVI (quelli in grado di differenziarlo da tutti gli altri) sono:

  • Il Worldbuilding
  • Il Sistema Magico

Mi segui?

Il punto è che non esiste un solo libro fantasy al mondo che riesca ad esimersi dall’appartenere ANCHE a un altro genere – uno di quelli che Coyne definisce i “generi primari”: action, love story, horror, thriller, storia di formazione ecc.

E, a livello di costruzione e sviluppo della trama, la storia fantasy in questione risponderà sempre alle “leggi” e alle convenzioni di quell’ALTRO genere.


Proviamo a considerare qualche esempio…

Il Signore degli Anelli” = Action + Fantasy (worldbuilding e sistema magico)

Twilight” = Love Story + Fantasy

Foundryside” = Heist Story (un sottogenere del Thriller) + Fantasy

Il Dottor Strange nel Multiverso della Follia” = Horror + Fantasy

Vita Nostra” = Storia di Formazione + Fantasy

Harry Potter e la Pietra Filosofale” = Action + Fantasy

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“Scrivere Gialli di Successo” di Paolo Roversi: un’introduzione all’arte di scrivere crime stories



Scrivere Gialli di Successo”: si chiama così il recente manuale di scrittura creativa firmato da Paolo Roversi, noto scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano.

Un libricino piacevole e snello, in grado di elargire preziose nozioni di progettazione narrativa a tutti gli aspiranti autori di crime stories.

Divulgativo, scorrevole e infarcito di aneddoti , questo volumetto offre ai neofiti un’infarinatura generale e una manciata di suggerimenti tratti dal bagaglio di esperienze professionali di Roversi.

Una circostanza che, agli occhi dei suoi fan inossidabili, rappresenterà senz’altro un valore aggiunto… ma anche un mezzo per ravvivare il loro entusiasmo nei confronti del genere mistery o del noir!


scrivere gialli di successo - paolo roversi - editrice bibliografica

Di cosa parla “Scrivere Gialli di Successo”

Il manualetto di Paolo Roversi è una vera e propria “guida” alla scrittura di un romanzo giallo.

146 pagine di definizioni, esempi e qualche suggerimento operativo, in cui Roversi passa in rassegna parecchi temi fondamentali: si parte dalla ricerca dell’ispirazione e dalla necessità di imparare a sviluppare un’idea forte, per passare alla gestione delle sottotrame, all’ambientazione e alla costruzione dei personaggi.

Il 90% dei consigli contenuti all’interno di “Scrivere Gialli di Successo” si basa su fondamenta solidissime.

Seguirli ti aiuterà senz’altro a migliorare e a rendere più coinvolgente il tuo lavoro. anche perché Roversi pone ripetutamente l’accento su un paio di punti che, come sai, possono rivelarsi di importanza vitale per qualsiasi aspirante autore:

  1. La necessità di leggere (e leggere molto), per imparare ad attribuire il giusto valore alle aspettative dei lettori;
  2. Il bisogno di imparare a progettare e costruire le proprie storie, un tassello alla volta, come un paziente artigiano che cesella il suo capolavoro.

Scrivere è un lavoro serio. Anzi: è un lavoro, punto e basta!

Roversi dimostra un talento speciale nel relazionarsi all’aspirante autore. Le sue tonalità, incoraggianti e colloquiali, riescono a mettere il lettore a proprio agio, anche perché non stentano a riconoscere alle aspirazioni narrative di quest’ultimo tutta l’agognata dignità del caso.

Puoi riuscirci, sembra recitare il motto personale dell’autore. Qualsiasi cosa è possibile, purché ti armi dell’impegno necessario e ti prepari a lavorare per il tuo sogno.

D’altra parte, in nessun momento Roversi si dimostra interessato a nascondere al neofita i risvolti più faticosi della professione (vedi l’ironico capitolo “Alla ricerca di un editore”), o la necessità di applicare alla pratica quotidiana una ferrea disciplina.

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Il conflitto in narrativa: la sottile arte di sfidare il protagonista, per stregare il lettore



«Il conflitto sta alla narrazione come il suono sta alla musica.»

 Robert McKee

In narrativa, il conflitto è uno degli strumenti più importanti in assoluto.

Assolutamente imprescindibile.

Senza conflitto, infatti, una storia non avrebbe alcuna possibilità di progredire.

In fondo, l’abbiamo già dimostrato un paio di settimane fa, quando abbiamo parlato dei 5 “step” necessari alla costruzione di una buona scena.

Soltanto gli autori più inesperti, ingenui e totalmente fuori controllo 😆 potrebbero prendere in considerazione l’idea di fare a meno di questo prezioso “ingrediente”.

Prova a rifletterci…

Rinunciare al conflitto narrativo?

Che assurdità!

Dimenticare che lo scontro fra forze antagoniste costituisce il motore a propulsione di qualsiasi storia, a prescindere dal suo genere di appartenenza, sarebbe la via più sicura per tediare (e confondere) mortalmente il tuo pubblico!

Perciò, se vorrai assicurarti che il tuo romanzo/racconto funzioni, questo sarà sicuramente uno dei primissimi passi che verrai chiamato a compiere: capire che cosa sottintenda, esattamente, il concetto di “conflitto” in narrativa, e in che modo potrai usarlo per generare complicazioni e complessità all’interno della tua trama…


Quanti “tipi” di conflitto esistono in narrativa?

In che modo Robert McKee propone di classificare i diversi tipi di conflitto che è possibile trovare all’interno di una storia?

E’ presto detto.

Di fatto, abbiamo:

  • Il Conflitto Interpersonale
  • Il Conflitto Interiore
  • Il Conflitto Extra-personale

Il Conflitto Interpersonale è quello che vede il protagonista opporsi alle azioni di qualsiasi altro personaggio.

Spesso (ma non necessariamente) ci si riferisce allo scontro con il villain o con uno dei suoi aiutanti. In generale, però, possiamo dire che il fulcro del conflitto interpersonale riguarda tutte quelle relazioni che si vengono a instaurare fra l’eroe della storia e il resto del cast, nel momento preciso in cui fra di loro si scatena un attrito.

Nelle storie di formazione, anche le figure genitoriali possono essere spesso fonte di grande tensione narrativa. Considera, ad esempio, il personaggio di Muneeba Khan nella recente miniserie Disney “Ms Marvel”, o il ruolo delle famiglie Fairmont e Burns nello show Netflix “First Kill“.


Il Conflitto Interiore è ciò che si scatena quando il protagonista è costretto ad affrontare i suoi demoni interiori.

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Come scrivere l’incipit perfetto: dalla “domanda invisibile” alla scena d’apertura


come scrivere incipit romanzo

Se sei nato dopo il 1841, probabilmente sai già che un incipit in stile “I Promessi Sposi” non è la scelta ideale per un autore di romanzi che aspiri a procurarsi un editore e a coltivare un seguito di lettori nell’anno del Signore 2022.

La verità è che viviamo in un mondo frenetico, ricco di opportunità, mezzi di intrattenimento e distrazioni: Netflix, TikTok, Snapchat, WhatsApp, Spotify, il circolo locale del bingo, e chi più ne ha, più ne metta…

Se vuoi che il tuo lettore scelga di dedicare la sua sospiratissima serata libera al tuo libro, dovrai riuscire a confezionare l’incipit perfetto, in grado di catturare la sua attenzione e catapultarlo all’interno della tua storia fin dai primissimi paragrafi.

Altrimenti, quel lettore mollerà allegramente il tuo libro a pagina 4 e correrà a spararsi l’ennesima maratona di “Grey’s Anatomy”. Lo sai, che lo farà. Perché è quello che faresti anche tu, se ti trovassi alle prese con l’inizio di un romanzo che non riesce a risvegliare minimamente il tuo interesse.

Perciò, da che parte si inizia a raccontare una storia? Come si può riuscire a scrivere un incipit coinvolgente, accattivante e in grado di dimostrare al pubblico che il tuo romanzo vale tutto il tempo (e il denaro) speso per la lettura?

È arrivato il momento di scoprirlo insieme! 😀

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Come scrivere la scena di un romanzo: 5 “step” per non sbagliare


Il 95% degli aspiranti scrittori e dei giovani autori esordienti non è in grado di scrivere una scena.

Boom!

Cosa dico?

La tragica verità è che la stragrande maggioranza di costoro non sarebbe neanche in grado di spiegarti la differenza che passa fra un mucchio di parole a caso e una scena.

Figuriamoci se possiede gli strumenti necessari a capire che questa mancanza, con ogni probabilità, rappresenta il principale motivo per cui niente di quello che scrive ha la benché minima speranza di funzionare!

Ma tu non sei come loro, dico bene, amico mio? Tu VUOI migliorare.

E il tuo cuore è finalmente pronto a imboccare la strada che ti permetterà di sbloccare il tuo potenziale…

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Come strutturare la trama di un romanzo: il metodo “Save the Cat!”

Come forse saprai, il metodo “Save the Cat!” si pone alla base del processo di costruzione del 99% delle sceneggiature hollywoodiane di successo.

Bada, sto facendo riferimento a un “modello” super-collaudato, sviluppato dall’illustre educatore, autore e sceneggiatore statunitense Blake Snyder.

Sono certa che anche tu ne avrai sentito parlare.

Ma forse c’è qualcosa che ancora non sai…

Appena una manciata d’anni fa, l’autrice americana Jessica Brody ha pubblicato un manuale che offre anche agli aspiranti romanzieri una vera e propria “guida” alla costruzione della struttura di una buona storia!

Un libro che, ovviamente, è stato ufficialmente ispirato dai principi previsti dal metodo “Save the Cat!”.

Non starò qui a menar il can per l’aia: il manuale della Brody è semplicemente grandioso, e penso davvero che dovresti leggerlo!

Si tratta, peraltro, di una lettura all’insegna della piacevolezza e del coinvolgimento. Scommetto che lo divorerai in poche ore!

In questo articolo, cercherò intanto di proporti un breve compendio dei suoi punti principali.

Se stai scrivendo un romanzo, e non sogni d’altro che di riuscire a consegnare ai posteri una storia incalzante, dinamica, coinvolgente e ricca di emozioni… bè, fidati di me: lo schema che sto per fornirti ti permetterà di partire con una marcia in più! ;D

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Come sviluppare la trama di un romanzo: un semplice test per passare dall’idea al plot

Da che parte si comincia a sviluppare la trama di un romanzo?

Come si scrive un plot accattivante?

Che cosa significa lavorare sull'”architettura” di una storia?

Bè, ovviamente non esiste una risposta semplice a nessuna di queste domande.

La strada per l’inferno è lastricata di responsi banali a interrogativi intricati: ci avevi mai fatto caso? ;D

Tuttavia, esistono numerose strategie per affrontare la questione, e oggi ho intenzione di svelarti qualche piccolo trucchetto che, con un pizzico di accortezza, ti permetterà di avviarti sulla giusta strada.

Svilupperemo l’argomento nel corso dei post a seguire. Nelle prossime settimane, infatti, avremo modo di parlare della struttura in tre atti, del metodo “Save the Cat!“, e di parecchi altri spunti interessanti!

Ma, per il momento, preferirei concentrami su un paio di aspetti preliminari….

Come si fa a inventare una storia?

Partiamo dall’ABC. E supponiamo che tu sia stato appena folgorato dalla più brillante, originale e anticonvenzionale idea della storia della narrativa!

Immagino che ne sarai orgoglioso.

Ehi, hai tutto il diritto di esserlo: dopotutto, non è mica una cosa che capita tutti i giorni, e forse nemmeno a chiunque! 😀

Peraltro, ho una certa familiarità con il tipo di “brivido” che può derivare un’intuizione del genere: perciò so che si tratta di una delle più deliziose, entusiasmanti, appaganti, maledettamente intossicanti sensazioni che un autore possa sperimentare nel corso della sua giornata!

Mi rendo anche conto di un’altra cosa, però. Dietro l’estasi, spesso si nasconde, in agguato, l’inizio di un nuovo circolo vizioso.

Perché è probabile che, che, dieci o quindici minuti dopo essere stato travolto dalla tua idea geniale, tu abbia già ceduto alla tentazione di sederti alla scrivania e accendere il PC. Con il cuore a mille. E i palmi sudati.

Le tue dita si librano sulla tastiera, già pronte a comporre le fatidiche parole: “Capitolo 1 – Un incidente inaspettato”…

E, ascolta… so che forse non mi crederai, ma questo è proprio il genere di entusiasmo destinato a scagliarti incontro all’errore più grosso del pianeta!

Un po’ come chiedere a qualcuno di sposarti, dieci minuti dopo aver realizzato che condividete gli stessi interessi e che ti piace davvero tanto il suo profumo…

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