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Il significato e l’uso di una sottotrama: l’esempio di “The Last of Us”


the last of us - uso e significato di sottotrama

Qual è il significato della parola “sottotrama”?

I subplot possono essere veramente utili allo sviluppo del tuo romanzo, oppure costituiscono un mero riempitivo (come una dilettantesca scuola di pensiero nostrana sembra determinata a ipotizzare)?

E qual è il modo migliore per gestire una sottotrama? Come si può imparare a utilizzare gli archi secondari in modo tale da riuscire ad arricchire e conferire ulteriore profondità alle proprie storie?

Non ti mentirò, queste sono domande molto complesse.

Quindi, per provare a rispondere ad alcune di esse in maniera esaustiva, penso proprio che ricorrerò a un esempio concreto.

Prima di tutto, però, concediamoci qualche accenno di terminologia


Che cos’è una sottotrama?

Secondo Masterclass, una sottotrama è

«una storia secondaria che corre parallela a quella principale. Contiene una batteria di personaggi secondari ed eventi che possono infondere importanti informazioni nell’arco principale. Conosciuta anche come storia minore, una sottotrama è in grado di creare un arco narrativo più ricco e complesso in un romanzo o in un altro mezzo di racconto.»

A queste (preziose) considerazioni aggiungerei un altro concetto importante: vale a dire il TEMA della storia. Ma vedremo a breve che cosa intendo.

Per ora, quindi, ti basti sapere che, attraverso uno sviluppo creativo e attento di una buona sottotrama, sarai in grado di:

  1. Somministrare preziose informazioni ai tuoi lettori, relative al worldbuilding, al tuo protagonista, al villain ecc., senza rischiare di incappare in quell’odiosa trappola letteraria chiamata “infodump”;
  2. Arricchire la tua ambientazione, conferendo credibilità alle tue invenzioni e aiutando il lettore a immergersi completamente nel mondo della tua storia;
  3. Potenziare l’arco trasformativo dei tuoi personaggi principali, a prescindere da quale sia stata la tua scelta in tal senso (ricordi? Abbiamo già tracciato una distinzione fra arco positivo, negativo e “piatto”…)
  4. Evidenziare il tema principale del tuo romanzo.

Non male, per uno “strumento” che gli autori meno avveduti tendono a usare alla stregua di semplice tappabuchi, eh?


Tutti i romanzi hanno bisogno di una sottotrama?

La risposta veloce a questo annoso quesito è: «Puoi scommetterci la zucca!».

La risposta complessa (e leggermente più ponderata) è :«Dipende».

Stai scrivendo un racconto o un romanzo breve, una “novella” nel senso più americano del termine? Allora non hai bisogno di una sottotrama.

Stai scrivendo una romcom in formato tardizionale? Allora ti servono un paio di cosucce: ad esempio, una migliore amica che sia l’esatto opposto della tua eroina (in modo tale da esaltare gli aspetti della caratterizzazione o del viaggio della protagonista su cui vuoi indirizzare l’attenzione del lettore). Non sarebbero male neanche un impiego o un progetto professionale pronto a creare un mucchio di guai e a trasformarsi in un ostacolo per i tuoi piccioncini. O magari una serie di problemi famigliari, in grado di giustificare l’atteggiamento ostile del tuo LI e far sapere ai tuoi lettori i motivi che lo/la spingono a fuggire ogni volta che il vero amore sembra a portata di mano.

Senza l’interazione di tutti questi ingredienti “secondari”, dimmi un po’: che cosa ti ritroveresti per le mani?

La storia di due tizi anonimi che si incontrano, litigano perché sì, si piacciono perché così è scritto sul copione e alla fine si sposano, chiedendo un mutuo e trasferendosi in una non meglio precisata città di periferia?

Ah.

Buona fortuna, quando si tratterà di vendere a qualcuno questa storia…


Il “vero” significato di sottotrama: l’esempio di “The Last of Us”

The Last of Us” è stata una delle serie più emozionanti, autentiche e struggenti della scorsa stagione televisiva.

Confido nel fatto che tu l’abbia già vista. Ma, se così non fosse, ti esorto caldamente a rimediare. Dico sul serio: se vuoi diventare uno scrittore, una delle attività più salutari a cui potresti dedicarti, in questo momento, consiste sicuramente nel concederti qualche ora per studiare la sceneggiatura di questa o altre serie tv targate HBO.

Se, invece, sei in pari e hai già avuto modo di digerire le implicazioni di quel particolare finale già da un pezzo… Continua pure a leggere l’articolo senza remore di sorta.

Cosa ne dici? Ci sei?

Allora, procediamo…

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Come scrivere un (buon) dialogo: Elizabeth George e il THAD


come scrivere un dialogo - elizabeth george e il thad

Come scrivere un dialogo”: ecco una questione con cui qualsiasi autore, prima o poi, verrà chiamato a confrontarsi.

Dopotutto, quella di scrivere dialoghi, nel contesto di un romanzo o in un racconto, è un’arte estremamente delicata.

Tanto per cominciare, bisogna sempre tenere presenti le regole dello “show, don’t tell”. E ricordarsi che uno dei primi obiettivi di un buon dialogo consiste nel cercare di «svelare un personaggio attraverso la sua voce

Ho preso in prestito quest’ultima citazione da Elizabeth George, una delle più popolari autrici americane di romanzi gialli a tema poliziesco.

In realtà, una buona parte dei suggerimenti in cui ti imbatterai all’interno di questo articolo è stata tratta proprio dall’incisivo manuale “L’Arte di Costruire un Romanzo”, pubblicato dalla George nel corso del 2020.

Una lettura molto utile e interessante, che ti consiglio senz’altro di recuperare. Peraltro, una rapida ricerca online ti confermerà la disponibilità del volume anche in italiano, in una comoda edizione economica proposta da Tea.


Gli obiettivi di un buon dialogo

«Le parole pronunciate dai personaggi all’interno dei dialoghi servono a rivelare, ammettere, incitare, accusare, mentire, informare, manipolare, sviare, suggerire, ordinare, incoraggiare e così via, e rappresentano anche un modo efficiente per far proseguire la storia.»

L’Arte di Costruire un Romanzo – Elizabeth George

Secondo Elizabeth George, in un romanzo una scena di dialogo ha il compito fondamentale di assolvere ad almeno una di queste funzioni:

  1. Illustrare al lettore la natura della persona che parla (carattere, intenzioni, educazione, background, sistema culturale di appartenenza ecc.), attraverso il suo peculiare modo di esprimersi;
  2. Aggiungere uno strato di significati sottintesi a quanto già sappiamo, sollecitando interrogativi e curiosità nella mente del lettore;
  3. Permettere alla storia di avanzare.

Un dialogo che non riesce a rispondere a nessuno di questi requisiti, deve essere eliminato dalla stesura definitiva del tuo romanzo senz’ombra di esitazione.

Perché non servirebbe A NIENTE.

A parte, forse, a tediare il lettore, incoraggiandolo a mettere da parte il tuo libro senza pensarci due volte.

Queste dichiarazioni della George si trascinano dietro un evidente (quanto fondamentale) corollario:

per scrivere un buon romanzo, bisogna, prima di tutto, imparare a differenziare il modo di parlare dei vari personaggi.

Prova a fare un giretto in stazione, e tieni le orecchie bene aperte.

Che cosa scoprirai? Che non esistono due persone inclini a esprimersi nello stesso e identico modo. Perché le varie scelte di linguaggio, l’accento, l’organizzazione della sintassi, le espressioni gergali ricorrenti, l’inflessione e, in alcuni casi, perfino il modo di accompagnare le parole gesticolando, in realtà sono in grado di riflettere la personalità e l’identità socio-culturale del parlante sopra ogni cosa.

Mi segui?

Sono tratti caratterizzanti.

E parte integrante del tuo processo di creazione di un personaggio: protagonista, villain, o altro che sia.


Come scrivere un dialogo: impara a evitare la “Sindrome delle Teste Parlanti”

Naturalmente, non è possibile scrivere un buon dialogo ricorrendo alla sola scansione diretta.

La forma e il contenuto delle singole battute andranno sempre curati con meticolosa attenzione, si capisce. Peraltro, stando bene attenti a evitare gli infodump, soprattutto nell’odiosa forma del meccanismo “As You Know, Bob“.

Ma altrettanta importanza rivestono (o dovrebbero rivestire, in un mondo ideale…) le azioni destinate ad  accompagnare le suddette battute.

Per illustrare meglio il concetto, anni fa Elizabeth George ha coniato, insieme ai suoi studenti di un corso di scrittura creativa, il termine THAD: un acronimo che sta per “Talking Head Avoidance Device” (Matteo Camporesi traduce l’espressione, giustamente, in maniera pressoché letterale: “Dispositivo Per Evitare le Teste Parlanti”).

A che cosa serve il “THAD”?

Ancora una volta, cediamo la parola direttamente alla George:

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Perché scrivere un romanzo fantasy è così difficile: le 5 scomode verità di cui nessuno ti ha mai parlato


perché scrivere un libro fantasy è così difficile

Scrivere un romanzo fantasy è difficile.

Se ci hai provato, o hai quantomeno progettato di scriverne uno, lo sai.

Se non lo sai…

Bè, qui entra in gioco il classico cane che si morde la coda, sei d’accordo con me?

Le persone (non del mestiere) a volte tendono a pensare che sia vero l’esatto contrario.

«Scrivere un libro fantasy è un giochetto da bambini», proclamano allegramente. «E che cosa ci vuole? Basta avere una fervida immaginazione e inventarsi un mucchio di cose che non esistono. Non è mica come cercare di buttar giù una storia seria!»

Se segui questo blog, o hai seguito quello che lo ha preceduto (il “Laumes’ Journey”), probabilmente non troverai difficile immaginare il mio livello di sconcerto. Anzi, magari, al pensiero della mia espressione sdegnata&disgustata, riuscirai anche a farti una bella risata ! 😆

Dopotutto, nel sistema di personalità individuate dal test di Myers-Briggs, sono un’INTJ accertata.

Sai cosa vuol dire?

Che l’ignoranza abissale della gente ha il potere di sconquassarmi il sistema nervoso come pochissime altre cose…


1. Perché scrivere un libro fantasy è difficile: la verità, tutta la verità, prego, sull’uso della parola “genere”

Da un punto di vista commerciale, il fantasy è sicuramente un genere.

Codificato, specifico, e in grado di rispondere a un certo tipo di esigenza da parte del pubblico.

Io amo il fantasy. Se qualcuno mi costringesse a scegliere un solo genere da leggere per il resto della mia vita, mi butterei sul fantasy senza colpo ferire.

E, se stai scorrendo questo articolo, ci sono ottime probabilità che lo stesso valga per te.

Ma sto per svelarti un piccolo segreto, e ho bisogno che tu adesso ascolti molto attentamente quello che sto per rivelarti, okay?

Perché, se hai intenzione di scrivere un libro fantasy, ho idea che potrebbe farti molto comodo tenere a mente queste parole:

Da un punto di vista STRUTTURALE, il fantasy non è un genere.

Dico sul serio.

Non c’è modello del Viaggio dell’Eroe che tenga.

In realtà, mentre sarai intento a sviluppare la trama della tua storia, “Fantasy” sarà solo una parola che ti aiuterà a capire se gli eventi si svolgeranno nel nostro mondo oppure in uno di tua completa (o parziale) invenzione.

Ho imparato questa preziosa lezione leggendo il manuale “The Story Grid” di Shawn Coyne.

Secondo il famoso editor americano, infatti, dal punto di vista strutturale il “fantasy” non può essere considerato alla stregua di un vero e proprio genere, perché gli unici suoi elementi SPECIFICI ed ESCLUSIVI (quelli in grado di differenziarlo da tutti gli altri) sono:

  • Il Worldbuilding
  • Il Sistema Magico

Mi segui?

Il punto è che non esiste un solo libro fantasy al mondo che riesca ad esimersi dall’appartenere ANCHE a un altro genere – uno di quelli che Coyne definisce i “generi primari”: action, love story, horror, thriller, storia di formazione ecc.

E, a livello di costruzione e sviluppo della trama, la storia fantasy in questione risponderà sempre alle “leggi” e alle convenzioni di quell’ALTRO genere.


Proviamo a considerare qualche esempio…

Il Signore degli Anelli” = Action + Fantasy (worldbuilding e sistema magico)

Twilight” = Love Story + Fantasy

Foundryside” = Heist Story (un sottogenere del Thriller) + Fantasy

Il Dottor Strange nel Multiverso della Follia” = Horror + Fantasy

Vita Nostra” = Storia di Formazione + Fantasy

Harry Potter e la Pietra Filosofale” = Action + Fantasy

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17 modi infallibili per trovare l’ispirazione e scrivere un libro, secondo Jeff Vandermeer


come trovare ispirazione per scrivere un libro

Come si fa a trovare l’ispirazione per scrivere un romanzo?

Da che parte si comincia a cercare un’idea per una nuova storia?

Sembra che tutti gli autori, gli editor e i critici di questo mondo siano d’accordo su una cosa: per imparare a scrivere meglio, bisogna continuare a esercitarsi, e farlo ogni giorno.

Ma scrivere di che cosa?!

Non è per forza detto che la risposta sia cosa scontata.

Dopotutto, alcuni autori sono dei naturali “collezionisti” di idee. Per accumulare ispirazione non serve diventare maestri di storytelling: basta continuare a nutrire la propria immaginazione in maniera costruttiva e incessante.

In che modo?

Bè, prima di tutto imparando a valorizzarla, e accogliendo con gioia tutte quelle piccole “rivelazioni” creative che, nel corso della giornata, tendono a incendiare la mente di una persona.

Ma forse hai appena deciso di riprendere a scrivere, o magari sei “reduce” dall’ultima stesura di una saga monumentale. Ti piacerebbe tantissimo lanciarti in un altro progetto, immergerti in una storia nuova di zecca, ricominciare a macinare parole come se non ci fosse un domani…

Eppure, bastano un paio di sedute infruttuose davanti alla tastiera per realizzare che la tua personale Fucina delle Idee, per qualsivoglia motivo, sembra essersi un po’… arrugginita. Come una lavagna bianca, o le pale di un mulino costruito a chilometri di distanza dal corso d’acqua più vicino.

Hai bisogno di una mano? Di qualche piccolo suggerimento operativo in grado di aiutarti a “riavviare” l’ispirazione bloccata?

Buone notizie: sto arrivando con la cassetta del pronto intervento, amico mio!

Un libro meraviglioso chiamato “Wonderbook”, scritto dall’immenso autore di speculative fiction Jeff Vandermeer


L’idea forte

«”L’ispirazione” viene spesso definita, in maniera inadeguata, come quella scintilla iniziale, o quelle scintille iniziali, che conducono a una storia.

In effetti, la parola descrive invece il processo continuo che avviene attraverso lo sviluppo di un particolare pezzo di fiction – una serie di rivelazioni in continuo aggiornamento, messe insieme dagli sforzi in tandem del tuo subconscio e dalla tua mente razionale.»

Jeff Vandermeer

Ma, prima di cominciare, vorrei soffermarmi un momento a considerare l’uso della parola “idea”.

Come forse saprai, in ambito cinematografico e televisivo, gli americani amano molto parlare di “high concept”.

Per sua stessa definizione, un high concept è un’idea «composta di determinati elementi narrativi strutturali che devono essere necessariamente presenti nella storia, al fine di poterla definire vendibile universalmente… cioè, a livello globale

In Italia, il termine viene spesso assimilato al concetto di “idea forte”.

Più avanti, torneremo sicuramente a dedicare parecchia attenzione a questo argomento. Ti fornirò, peraltro, una “formula” che ti permetterà di verificare la solidità della tua idea, una sorta di mini-guida che ti aiuterà, fra le altre cose, a scrivere la sinossi del tuo romanzo in maniera efficiente e accurata.

Per ora, cerca di tenere a mente questo: prima ancora di cominciare a lavorare sulla struttura del tuo romanzo (o del tuo racconto), avrai bisogno di formulare un’idea dotata di caratteristiche specifiche.

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Come (non) scrivere un personaggio femminile: 9 devastanti stereotipi che potrebbero distruggere il tuo lavoro


Come puoi creare un personaggio femminile accattivante, vivace e ricco di sfumature?

In un mondo ideale, la risposta sarebbe scontata: seguendo lo stesso, identico procedimento che useresti per creare un personaggio maschile accattivante, vivace e ricco di sfumature!

Vale a dire liberandoti da ogni preconcetto, buttando dalla finestra ogni idea stereotipata e provando a calarti nei panni di un’altra persona, a prescindere da quanto tu possa sentirla lontana o “diversa” da te.

Da un punto di vista pratico, ovviamente, questo si traduce nella necessità di assegnare al tuo personaggio femminile:

  • un oggetto del desiderio (che non sia il tuo protagonista maschile, per amor di Dio!) e un oggetto del bisogno (idem come sopra);
  • una complessa vita interiore e una “ferita” emotiva su cui far leva nel corso della narrazione;
  • un’identità e una serie di complesse relazioni con i personaggi che la circondano.

Tutto abbastanza ovvio, no?

Lo ribadisco: soltanto in teoria, a quanto pare!

Perché la verità è che ormai ho letto abbastanza manoscritti – e romanzi pubblicati – da sapere che quello dei personaggi femminili è ANCORA un tasto dolente per molti autori.

Nell’articolo di oggi, riassumerò i nove peggiori stereotipi a cui uno scrittore possa ricorrere durante il processo di ideazione di un personaggio femminile.

Non importa che si tratti della tua protagonista, della madre dell’eroe, del love interest o di una matrona di passaggio: se hai inserito un personaggio femminile all’interno del tuo romanzo, ricorda solo di tenerti il più lontano possibile dai fastidiosi cliché che sto per elencarti…


1. La “Sexy Lamp”

Lois Lane nel film “Man of Steel”

Questo termine è stato coniato per la prima volta da Kelly Sue DeConnick (fumettista americana nota soprattutto per la sua leggendaria run di “Captain Marvel”).

In occasione di un panel all’Emerald City Comic Con, la DeConnick ha avuto modo di esprimere il proprio disappunto nei confronti del trope del cosiddetto “Personaggio Femminile Forte”.

A suo avviso, infatti, molte opere che ne fanno uso si limitano a presentare una forza di facciata (una sorta di “copertura”), quando, di fatto, al suddetto personaggio femminile viene sottratta ogni effettiva capacità di agire e influenzare la trama per mezzo delle sue azioni.

Quando l’autore si limita, cioè, a usare la co-protagonista femminile alla stregua di un semplice accessorio di scena.

Secondo la DeConnick, infatti, perfino il famosissimo test di Bechdel è uno strumento troppo debole, incapace di determinare il reale livello di sessismo contenuto in una storia.

Il risvolto buffo? L’autrice propone di impiegare, al suo posto, il cosiddetto “test della Lampada Sexy”:

«Se puoi eliminare il tuo personaggio femminile e sostituirlo con una lampada sexy, vuol dire una cosa sola: SEI UN DANNATO SCRITTORUCOLO!»

Kelly Sue DeConnick

Parole forti, lo so, ma ancora… necessarie.

Per la serie: NON pensare che basti creare una bambolina da affiancare al tuo protagonista maschile, per soddisfare il concetto di rappresentanza femminile.

Non importa se la bambolina in questione può millantare fenomenali poteri cosmici, praticare dieci tipi di arti marziali diversi, o se racchiude in sé il potenziale per mettere al mondo il prossimo salvatore dell’universo.

Se non le permetti di FARE niente, se il suo ruolo non può dirsi indistricabilmente legato allo sviluppo del plot, se la sua presenza in scena serve soltanto a dimostrare quanto incredibilmente cool e attraente stia diventando il tuo eroe maschile…

Rimpiazzala direttamente con un accessorio da ufficio. Lampada, sedia o scrivania: non fa differenza.

Ma lascia fuori le donne da questa storia.

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Il conflitto in narrativa: la sottile arte di sfidare il protagonista, per stregare il lettore



«Il conflitto sta alla narrazione come il suono sta alla musica.»

 Robert McKee

In narrativa, il conflitto è uno degli strumenti più importanti in assoluto.

Assolutamente imprescindibile.

Senza conflitto, infatti, una storia non avrebbe alcuna possibilità di progredire.

In fondo, l’abbiamo già dimostrato un paio di settimane fa, quando abbiamo parlato dei 5 “step” necessari alla costruzione di una buona scena.

Soltanto gli autori più inesperti, ingenui e totalmente fuori controllo 😆 potrebbero prendere in considerazione l’idea di fare a meno di questo prezioso “ingrediente”.

Prova a rifletterci…

Rinunciare al conflitto narrativo?

Che assurdità!

Dimenticare che lo scontro fra forze antagoniste costituisce il motore a propulsione di qualsiasi storia, a prescindere dal suo genere di appartenenza, sarebbe la via più sicura per tediare (e confondere) mortalmente il tuo pubblico!

Perciò, se vorrai assicurarti che il tuo romanzo/racconto funzioni, questo sarà sicuramente uno dei primissimi passi che verrai chiamato a compiere: capire che cosa sottintenda, esattamente, il concetto di “conflitto” in narrativa, e in che modo potrai usarlo per generare complicazioni e complessità all’interno della tua trama…


Quanti “tipi” di conflitto esistono in narrativa?

In che modo Robert McKee propone di classificare i diversi tipi di conflitto che è possibile trovare all’interno di una storia?

E’ presto detto.

Di fatto, abbiamo:

  • Il Conflitto Interpersonale
  • Il Conflitto Interiore
  • Il Conflitto Extra-personale

Il Conflitto Interpersonale è quello che vede il protagonista opporsi alle azioni di qualsiasi altro personaggio.

Spesso (ma non necessariamente) ci si riferisce allo scontro con il villain o con uno dei suoi aiutanti. In generale, però, possiamo dire che il fulcro del conflitto interpersonale riguarda tutte quelle relazioni che si vengono a instaurare fra l’eroe della storia e il resto del cast, nel momento preciso in cui fra di loro si scatena un attrito.

Nelle storie di formazione, anche le figure genitoriali possono essere spesso fonte di grande tensione narrativa. Considera, ad esempio, il personaggio di Muneeba Khan nella recente miniserie Disney “Ms Marvel”, o il ruolo delle famiglie Fairmont e Burns nello show Netflix “First Kill“.


Il Conflitto Interiore è ciò che si scatena quando il protagonista è costretto ad affrontare i suoi demoni interiori.

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Come creare la scheda di un personaggio: guida, esempi e miti da sfatare


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«Come si scrive la scheda di un personaggio

«Da che parte si comincia a “inventare” il carattere di un protagonista?»

«Come faccio ad assicurarmi che ogni elemento della caratterizzazione del mio eroe sia coerente con gli altri?»

Ho notato che, nello sforzo di trovare un responso a questi ultimi due interrogativi, molti aspiranti autori tendono ad aggrapparsi alla necessità di compilare una “scheda del personaggio”. Quasi come se si trattasse di una fune alle quali sostenersi, per evitare di finire risucchiati dal flusso di creatività irresistibile che potrebbe trascinarli a valle…

Capisco questi autori. Credimi: li capisco davvero bene!

In fondo, come diceva Stephen King, scrivere un libro è un po’ come imbarcarsi per una traversata atlantica a bordo di una vasca da bagno. Tutto ciò che può aiutarci a sentirci più sicuri – e impedire alla nostra bagnarola di mostrare le prime falle – deve essere considerato cosa buona e giusta.

Ed ecco perché, oggi, ho deciso di fornirti una sorta di piccola “guida” alla creazione della scheda di un personaggio. Un documento che potrà veramente rivelarsi utile durante la prima stesura del tuo romanzo, e non soltanto la solita perdita di tempo.

Nello sforzo di semplificarti un po’ le cose, ti proporrò quindi una scheda-esempio relativa alla protagonista del magistrale film “Ultima Notte a Soho”, diretto da Edgar Wright


Caro Scrittore, ti presento il personaggio!

Ricordi? Abbiamo già stabilito che il protagonista di una storia, in modo particolare, deve essere in grado di influenzare la trama, il ritmo, le tematiche e le azioni del resto del cast.

Imbarcandosi in due “viaggi” diversi, ma complementari (quello esterno e quello interiore – la trama e l’arco del personaggio), l’eroe si sottopone quindi a un grandioso e avvincente percorso di trasformazione, fino a diventare la “miglior versione possibile” di se stesso.

Il discorso si applica, in scala ridotta, a qualsiasi personaggio del tuo libro. Ovviamente, più importante sarà il suo ruolo, e maggiore attenzione dovrai riservare alla cura del suo arco e della sua caratterizzazione.

Ma, affinché tu possa riuscire nella tua impresa, naturalmente dovrai assicurarti prima di tutto di CONOSCERE il tuo protagonista: intimamente e profondamente, dentro e fuori.

Non soltanto il suo aspetto fisico, quindi, o l’elenco dettagliato dei suoi pregi e dei suoi difetti (dolce, cinico, chiacchierone, ombroso, avaro, generoso eccetera).

Mi riferisco soprattutto al suo modo di pensare, di esprimersi e di parlare. Alla sua identità e ai suoi traumi del passato. Alle sue difficoltà di ogni giorno e alle sue complesse relazioni con il resto dei personaggi che definiscono il suo mondo.

In poche parole: a tutto ciò che permetterà al lettore di identificarsi con il personaggio e imparare ad amarlo.

Come possiamo riuscire a raggiungere questo livello di “intimità” con i nostri personaggi e, contemporaneamente, ad assicurarci che il nostro eroe (o villain, o mentore, o love interest…) sia DAVVERO l’uomo o la donna giusto/a per la nostra storia?

Ma, soprattutto… come possiamo riuscire a “organizzare” ogni informazione in nostro possesso attraverso una scheda del personaggio efficiente e pronta all’uso?

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Come scrivere l’incipit perfetto: dalla “domanda invisibile” alla scena d’apertura


come scrivere incipit romanzo

Se sei nato dopo il 1841, probabilmente sai già che un incipit in stile “I Promessi Sposi” non è la scelta ideale per un autore di romanzi che aspiri a procurarsi un editore e a coltivare un seguito di lettori nell’anno del Signore 2022.

La verità è che viviamo in un mondo frenetico, ricco di opportunità, mezzi di intrattenimento e distrazioni: Netflix, TikTok, Snapchat, WhatsApp, Spotify, il circolo locale del bingo, e chi più ne ha, più ne metta…

Se vuoi che il tuo lettore scelga di dedicare la sua sospiratissima serata libera al tuo libro, dovrai riuscire a confezionare l’incipit perfetto, in grado di catturare la sua attenzione e catapultarlo all’interno della tua storia fin dai primissimi paragrafi.

Altrimenti, quel lettore mollerà allegramente il tuo libro a pagina 4 e correrà a spararsi l’ennesima maratona di “Grey’s Anatomy”. Lo sai, che lo farà. Perché è quello che faresti anche tu, se ti trovassi alle prese con l’inizio di un romanzo che non riesce a risvegliare minimamente il tuo interesse.

Perciò, da che parte si inizia a raccontare una storia? Come si può riuscire a scrivere un incipit coinvolgente, accattivante e in grado di dimostrare al pubblico che il tuo romanzo vale tutto il tempo (e il denaro) speso per la lettura?

È arrivato il momento di scoprirlo insieme! 😀

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Come scrivere un protagonista indimenticabile: dalla “ferita emotiva” alla scoperta della propria verità

come scrivere un protagonista indimenticabile

L’arte di scrivere un personaggio è un processo che richiede attenzione, pazienza, capacità di ascoltare e spingersi oltre le apparenze.

Il discorso vale per la creazione di qualsiasi comprimario, a prescindere dal suo “allineamento” (buono o cattivo), ma diventa ancora più importante nel momento in cui parliamo della costruzione del protagonista del tuo romanzo: il personaggio che permetterà al lettore di entrare nel mondo della tua storia e sperimentare attraverso di lui/lei una valanga di emozioni!

Qualche settimana fa, mi sono imbattuta nel libro di Lewis JorstadWrite Your Hero”, una vera e propria “guida” alla genesi dell’ EROE/PERSONAGGIO PRINCIPALE.

Un manuale utilissimo, ricco di spunti di riflessione e suggerimenti operativi.

Nel post che seguirà, farò riferimento soprattutto (ma non esclusivamente) all’opera di Jorstad.

Per approfondire l’argomento, ti suggerisco ovviamente di procurarti il manuale in questione e divorarlo da cima a fondo! 🙂

Chi è il protagonista?

Il protagonista di un romanzo rappresenta prima di tutto una sorta di «finestra» affacciata sul mondo della tua storia.

Noi lettori arriviamo spesso a considerare l’eroe alla stregua di un vero e proprio «avatar»: per l’intera durata della lettura, infatti, avremo la possibilità di immergerci nella sua storia e sperimentare insieme a lui centinaia di avventure di ogni tipo, spesso lontanissime dalla nostra realtà di ogni giorno!

«Che si ritrovino ad affrontare battaglie epocali o a godersi vittorie schiaccianti, noi lettori abbiamo la possibilità di sperimentare la storia esclusivamente attraverso di loro [i protagonisti]. Quando hanno paura, il nostro cuore fa un balzo, e quando sono felici, non possiamo fare a meno di sorridere. A lettura finita, questi personaggi diventano reali, per noi, tanto qualsiasi altra persona all’interno delle nostre vite.»

Lewis Jorstad, “Write Your Hero”

L’eroe dovrà anche, naturalmente, rivelarsi in grado di influenzare tantissime componenti della narrazione. Ad esempio, la struttura della trama, il ritmo, i temi e il resto del cast

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Che cos’è un editor di romanzi? Superpoteri, miti e un paio di verità su questa misteriosa figura professionale

che cos'è un editor di romanzi

Che cos’è un editor?

Che cosa fa, che cosa non fa… ma, soprattutto, che cosa può fare per te?

Ancora oggi, quella dell’editor sembra essere una figura professionale ammantata da un certo alone di mistero.

C’è chi gli/le attribuisce un valore fondamentale, a volte perfino di stampo mistico/religioso.

«Un buon editor può fare la differenza fra un romanzo di successo e uno che non vedrà mai la luce del sole», sostengono costoro. «Un buon editor è la stella polare in grado di tracciare la rotta che permette a un autore di talento di sviluppare il suo potenziale e trasformarsi nell’astro brillante che è nato per diventare.»

All’altro capo dello spettro, invece, troviamo loro… Ebbene sì: i miscredenti, coloro che, all’alba dell’anno del Signore 2022, sono ancora convinti che l’arte di editare, pubblicare e sponsorizzare un libro possa essere considerata alla stregua di un lavoro da improvvisare, così, alla meno peggio.

Le stesse persone che, a quanto pare, continuano ad andare orgogliosamente fiere della loro incapacità di strutturare una trama, di gestire l’arco di un personaggio, di imparare le più basilari regole dello show, don’t tell

Loschi e inquietanti figuri pronti a sghignazzare e a torcersi i baffi, al pensiero di qualcuno, là fuori, realmente disposto a sottoporre il suo romanzo all’attenzione di questo o quell’altro book blogger di grido soltanto dopo essersi premurato di rimuovere ogni singola, infame “d” eufonica dal suo testo, o di averlo addirittura impaginato in un modo che non faccia venire voglia al lettore di cavarsi gli occhi.

Ma la verità è che, come per ogni leggenda che si rispetti, anche quella dell’editor tende ad accompagnarsi a una serie di frustranti e noiosissime dicerie da comari.

Perciò, prima di rispondere all’amletico interrogativo suggerito dal titolo del nostro post, suppongo che faremo meglio ad abbozzare un piccolo passo indietro, e a cercare di sfatare un paio di miti molto molesti.

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