Leggere molto ti aiuterà a diventare uno scrittore migliore?

«Se vuoi fare lo scrittore, devi fare due cose sopra le altre: leggere molto e scrivere molto. Non conosco stratagemmi per aggirare questa realtà, non conosco scorciatoie

Stephen King, On Writing

Leggere libri può aiutarti a scrivere meglio.

Abbiamo sentito tutti una variante o l’altra di questo consiglio, dico bene?

La prima volta, magari, sarà stato per bocca della tua insegnante delle scuole medie, magari addirittura delle elementari… e, forse, questo rappresenta una parte importante del motivo per cui non sei mai riuscito a crederci fino in fondo.

Perché ricordi cosa si premurava sempre di aggiungere, quella maestra benintenzionata?

«Bisogna leggere per farsi una cultura. Quindi, leggi per migliorare il tuo vocabolario. Leggi per imparare come funzionano la sintassi e la grammatica.»

E…

Ehi, ascolta: di sicuro, nulla di tutto questo era una bugia, okay?

Ma il punto è che, su di te che aspiri a diventare uno scrittore migliore, probabilmente la solita solfa da propinare agli studenti non sarà in grado di esercitare molto appeal.

Dopotutto, tu possiedi già un’invidiabile conoscenza delle regole che sostengono la lingua italiana. 

Saresti in grado di distinguere la differenza che passa fra l’uso di un congiuntivo e di un condizionale anche nel tuo giorno peggiore.

E non hai problemi a snocciolare una lista pressoché infinita di sinonimi e contrari… tanto più che hai imparato a usare la funzione Thesaurus di Word il giorno stesso in cui i tuoi genitori ti hanno regalato il primo computer.

Quindi, perché diavolo dovresti prenderti la briga di cominciare a leggere meglio, leggere di tutto, leggere di più?

Bè, la risposta breve (e più sincera) è che hai almeno un milione e mezzo di ottimi motivi per farlo!

E sospetto che, sotto sotto, tu lo sappia già.

Ma, forse, ti sei convinto di non avere abbastanza tempo per leggere (tesi che, in uno dei prossimi post, ti aiuterò a confutare).

Oppure, hai semplicemente bisogno di un piccolo incoraggiamento in più.

Quindi, adesso, rimbocchiamoci le maniche e proviamo a esaminare alcune di queste motivazioni da vicino…

Perché leggere molto ti permetterà di imparare a scrivere meglio?

Sai, io mi occupo principalmente di developmental editing.

E’ la mia stessa forma mentis a spingermi a pensare che tu, giovane autore alle prime armi, possa avere soltanto due obiettivi: trovare una casa editrice disposta a pubblicare il tuo libro, oppure autopubblicarlo e conquistare una piccola armata di lettori, da fidelizzare gradualmente nel corso del tempo.

Per come la vedo io, cercare di sbalordire la tua vecchia prof di italiano dimostrando in quante dozzine di frasi puoi inserire la parola “pleonastico” senza sbagliare dovrebbe essere un obiettivo secondario.

Ti consideri un virtuoso della lingua, pronto a strabiliare una gremita aula di (annoiati) studenti di Lettere attraverso il tuo inimitabile modo di piazzare il punto e virgola?

Complimenti! Dico sul serio: buon per te! Dal punto di vista dell’arte narrativa, hai comunque bisogno di imparare una “cosuccia” o due.

E la verità è che leggere è l’unica cosa in grado di aiutarti ad assimilare queste lezioni…

Dal mio punto di vista, sviluppare una solida routine di lettura ti porterà a sviluppare soprattutto tre ENORMI vantaggi:

  • Leggendo molto, riuscirai ad acquisire la necessaria familiarità con il GENERE (e l’eventuale sottogenere) che hai scelto di “frequentare”.

In effetti, tenerti al passo con le ultime uscite e recuperare i “pilastri” che hanno contribuito a forgiare la storia del tuo genere di riferimento ti permetterà di capire se la trama che hai in mente di sviluppare abbia davvero delle potenzialità commerciali, o se sia destinata a scontrarsi con l’ineluttabile muro della realtà.

Nello specifico, ti aiuterà a stabilire se la storia che hai progettato possa vantare davvero una punta di originalità, o se una piccola schiera di autori proveniente da ogni parte del mondo non sia per caso arrivata lì prima di te. Magari parecchie decadi prima di te.

Per capire di cosa parlo, prova a sfogliare rapidamente la categoria “libri fantasy” di Amazon, e dai un’occhiata alle sinossi relative alla maggior parte dei titoli autopubblicati.

Ti imbatterai presto in quello che, ormai, sono solita chiamare “L’Attacco dei Cloni”.

Perché gli elementi che balzano all’occhio, leggendo queste sinossi, sono ancora gli stessi di trenta, quarant’anni fa! Misogine ambientazioni ispirate all’età medievale europea. Arzigogolate cosmogonie di origine magica. Ragazzi di campagna che si scoprono eroi. Signori Oscuri. Talismani del potere. Uno schieramento di nobili cavalieri dai cesellati lineamenti nordici, corredati da uno stuolo di fragili damine dalla scollatura generosa…

E bla, bla, bla.

Sai che cosa comunicano, tutte queste trame, al potenziale (e non molto probabile) lettore?

Un gigantesco senso di noia e di frustrazione!

Mi pare addirittura di riuscire a sentire il ragionamento di quest’ipotetico lettore: «Diamine, questo tizio sta cercando di prendermi in giro: ha letto ieri “Il Signore degli Anelli”, e adesso pensa di essere il nuovo Tolkien!».

Un “novello Tolkien” che, magari, non ha mai sentito parlare di Terry Brooks, David Eddings, Robert Jordan, Garth Nix, Tanith Lee, Robin Hobb, Brandon Sanderson, Trudi Canavan, N. K. Jemisin, Samantha Shannon… e via discorrendo.

Che non ha la più pallida di come, fino a che punto e in quali sorprendenti direzioni questa scuderia di rivoluzionari autori internazionali abbia ormai spinto i confini del sottogenere “epic fantasy”, rivoluzionandone il canone e spingendo i lettori ad aspettarsi sempre di più.

Hai presente il filosofo che diceva «Siamo come nani sulle spalle di giganti»?

Ecco.

Prova a considerare ogni genere letterario come una sorta di torre di giganti, se ci riesci.

Ogni gigante se ne sta lì, appollaiato sulla schiena di quella successivo; a formare quello che potrebbe (e dovrebbe) rappresentare un punto di appoggio, ma che gli autori esordienti più impreparati scambieranno facilmente per una barriera.

Perché il punto è questo: tu limiti a scalare le spalle del primo gigante che troverai sulla tua strada, e non riuscirai mai a vedere la linea dell’orizzonte.

Anzi… secondo me, correrai il serio pericolo di ritrovarti schiacciato!

Il che, adesso che ci penso, basta a scagliarci direttamente fra le braccia della seconda ragione per cui dovresti considerare la lettura come un vero e proprio prerequisito della scrittura…

  • Leggere molto ti aiuterà a identificare correttamente il TUO PUBBLICO, e a sviluppare la capacità di anticiparne le aspettative.

«Il gusto sofisticato del pubblico per i generi pone allo scrittore una sfida fondamentale: non solo deve soddisfare le aspettative del pubblico – altrimenti rischia che il pubblico si confonda e sia deluso – deve anche fornire a queste aspettative delle scene originali e inaspettate, altrimenti rischierà di annoiarlo. Questo doppio obiettivo non è possibile se non si possiede una conoscenza dei generi superiore a quella del pubblico.»

Robert McKee, Story

Cercare di scrivere un libro adatto al palato di tutti è probabilmente la miglior ricetta possibile per il disastro.

In rete, si parla continuamente della necessità di “trovare la propria nicchia” e assicurarsi il successo attraverso un’affezionata cricca di aficionados.

Semmai troverai un consiglio più utile di questo, ricordati di farmelo sapere: io non l’ho ancora trovato!

Quando si scrive (quando si scrive per pubblicare), sforzarsi di tenere a mente l’Identikit del Lettore Ideale dovrebbe sempre essere una priorità.

Fra le domande che dovresti porti in fase di progettazione, alcune delle più importanti potrebbero tranquillamente essere:

  • Per chi sto scrivendo? (sesso, fascia di età, stile di vita eccetera)
  • Quali scene, colpi di scena e/o eventuali “tropes” sarebbero in grado di rendere felici i miei lettori?
  • A quali tipi di personaggi, ambientazioni e/o tematiche i miei lettori sarebbero in grado di relazionarsi con maggiore semplicità?

Diventare un buon lettore ti permetterà di calarti senza sforzo nei panni “dell’altra metà del cielo”.

Tranquillo: imparare a porti interrogativi come quelli che ti ho suggerito non ti trasformerà automaticamente in un “mercenario” della scrittura e, di sicuro, non ti farà correre il rischio di limitare la tua creatività in maniera nociva!

Dovresti SEMPRE scrivere di qualcosa che ami, a prescindere dall’ultimo trend e dagli appetiti letterario del giorno.

Ma, onestamente, non vedo proprio perché tu non possa cercare di trovare un compromesso fra quello che piace a te e quello che, secondo la tua esperienza, probabilmente farà andare in visibilio anche le persone disposte a sborsare dei soldi per leggere i tuoi lavori.

O perché i due obiettivi non possano addirittura coincidere.

E così, eccoci arrivati al terzo motivo…

  • Leggendo molto, capirai che, per funzionare, una storia ha bisogno di una STRUTTURA, e di un autore in grado di padroneggiarne pienamente la forma!

Torneremo sicuramente a parlare della struttura, delle varie fasi in cui si articola e della sua assimilazione al concetto di “arco del personaggio”.

Per il momento, mi piacerebbe soltanto spingerti a concordare con me su una cosa: ogni storia, per funzionare, ha bisogno di “un’impalcatura” alla quale sorreggersi, nella stessa misura in cui una casa ha bisogno di fondamenta per restare in piedi!

Non ha importanza che si tratti di un romanzo, della sceneggiatura di un film, della trama di un fumetto o di un videogioco.

Nel suo fondamentale saggio “Story”, il drammaturgo, autore e sceneggiatore Robert McKee cita un elenco di immortali capolavori della settima arte (fra cui “Il Mistero Von Bolow”, “Gli Spietati”, “Casablanca”, “La Donna che Visse Due Volte” e “Tempi Moderni”) e poi distilla a nostra beneficio un’altra delle sue piccole, grandi perle di saggezza:

«Immerso in un mare di generi e di stili, lo sceneggiatore (o lo scrittore!) può finire per credere che, se tutti questi film raccontano una storia, allora qualsiasi cosa può essere una storia. Ma se li esaminiamo in profondità, se andiamo oltre la superficie, scopriamo che in fondo sono tutti la stessa cosa: l’incarnazione della formula universale della storia.

Ciascuno di questi film articola questa forma sullo schermo in modo unico, ma ogni volta la forma essenziale è identica. È a questa forma profonda che reagisce il pubblico quando dice: “Che bella storia!”».

Quindi prosegue:

«Ogni arte è definita dalla propria forma essenziale. Dalla sinfonia all’hip hop, è la forma propria della musica a far sì che un pezzo sia musica e non semplice rumore. Che sia figurativa o astratta, i principi basilari dell’arte visiva fanno sì che una tela sia un dipinto e non uno scarabocchio. Allo stesso modo, da Omero a Ingmar Bergman, la forma universale della storia fa di un’opera una storia e non un ritratto o un collage. In tutte le culture e in tutte le epoche, questa FORMA INNATA è stata applicata in modo diverso infinite volte, ma è rimasta immutata.»

Capisci anche tu l’implicazione naturale di questa asserzione, vero?

Per imparare a scrivere bene devi, prima di tutto, studiare quella forma!

Non c’è altro modo.

Riconoscere ciò di cui parla McKee, quella sorta di “schema” immutato all’interno di ogni singola storia che ti capiterà di consumare, sarà soltanto il primo passo.

Perché, in realtà, dovrai sforzarti di arrivare a comprenderlo, apprezzarlo, esplorarne dinamiche e sfumature, fino ad arrivare a conoscerlo nella maniera più intima e rassicurante.

Spendere decine, centinaia, forse addirittura migliaia di ore a cercare di “dissezionarne” il meccanismo interno, analizzando il modo in cui l’unione delle sue componenti permette a ciascuna trama di funzionare.

E leggere ti mostrerà la strada.

Divorare un libro dopo l’altro, una storia dopo l’altra, fino a trasformare quella “forma innata” di cui parla McKee in una sorta di seconda natura.

Fino a padroneggiarne pienamente le regole, e saperle applicare alla perfezione.

Dopotutto scrivere, quando ti soffermi a pensarci, è un’arte come le altre. Il talento conta. L’esercizio affina. La passione è tutto.

Ma soltanto uno strimpellatore vanesio potrebbe pretendere di improvvisare un concerto senza imparare a leggere uno spartito, o avere anche solo una remota idea di cosa sia una scala musicale.

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