“Nella Vita dei Burattini”: la recensione del libro di T.J. Klune


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La mia recensione di “Nella Vita dei Burattini” si basa sull’edizione originale del romanzo di T. J. Klune, “In The Life of Puppets”.

Non avevo mai letto nulla dell’autore de “La Casa sul Mare Celeste”. Eppure, la miriade di commenti positivi disponibile in rete mi ha sempre fatto ben sperare.

Unisci a tutto questo la mia innegabile passione per i retelling – “Nella Vita dei Burattini” è una rivisitazione in chiave futuristica del “Pinocchio” di Carlo Collodi – e sicuramente capirai perché stavolta non avevo nessuna speranza di resistere…


La trama

In uno strano, piccolo complesso di edifici arroccato sulla cima di un gruppo di alberi, vivono tre creature meccaniche e un giovane umano.

Il capofamiglia è l’androide inventore Giovanni Lawson; gli altri robot sono l’Infermiera Ratchet, una macchina piacevolmente sadica che ama dispensare punture e minacce di ogni genere ai suoi pazienti, e un piccolo aspirapolvere senziente di nome Rambo, perennemente affamato di amore e attenzione.

E poi c’è Victor, un ragazzo che ha ereditato il talento del padre per ogni genere di cosa meccanica e che condivide in pieno il suo amore per la tecnologia e le nuove scoperte.

Insieme, i quattro compongono una bizzarra, isolata, felicissima famigliola.

Il giorno in cui Viv salva e ripara un nuovo androide – l’unica designazione leggibile sulla sua etichetta riporta semplicemente le lettere “HAP” – segna ufficialmente la fine dell’idillio e l’inizio di un nuovo cammino per Victor e i suoi amici.

Perché nel passato di Giovani si nascondono segreti violenti, oscuri ricordi rievocati dalla mera presenza di Hap.

E poi Victor e Hap, senza volerlo, segnalano la posizione del rifugio di Gio all’Autorità che governa la mente di tutte le creature meccaniche. L’inventore viene catturato e riportato nel suo vecchio laboratorio, nel cuore della labirintica Città dei Sogni Elettrici.

Per salvarlo, Vic e il resto della banda dovranno imbarcarsi in un lungo e pericoloso viaggio attraverso una terra che sta cercando disperatamente di lasciarsi alle spalle il significato della parola “umanità”.



“Nella Vita dei Burattini”: la recensione

Nel lontano 2011, mi è capitato di leggere “Alla ricerca di Wondla” di Tony DiTerlizzi (illustratore de “Le Cronache di Spiderwick” di Holly Black).

Dalla lettura di “Nella Vita dei Burattini”, ho ricavato più o meno le stesse sensazioni: l’impressione di trovarmi alle prese con un romanzo dal taglio molto giovanilistico, piacevole e “puccioso”, determinato a mescolare elementi ispirati a “Star Wars” ad altri tipi di suggestioni, tratte da un grande classico della letteratura per l’infanzia.

Nel caso di Wondla, si trattava de “Il Mago di Oz”. Per Klune, il modello di riferimento è, evidentemente, “Pinocchio”. Ma poco cambia, in sostanza…

Sotto altri aspetti, il nuovo retelling di Klune assomiglia un po’ a una trasposizione letteraria di un film della Pixar di fascia media (metti un “Cars” o un “Lightyear”).

Tanto per cominciare, infatti, i personaggi sono un’autentica delizia – soprattutto l’inimitabile Infermiera e il vivacissimo Rambo– e i dialoghi garantiscono una perenne fonte di spasso.

Più in generale, possiamo dire che TUTTE le interazioni fra i membri della famiglia Lawson scaldano il cuore del lettore, scatenando, fin dalle prime pagine, un feroce senso d’attaccamento nei confronti dei protagonisti della storia.

Inoltre, l’estrema (e deliberata) “semplicità” dello stile si sposa bene con il ritmo vivace e spedito della narrazione. Perfino nei momenti più cupi, infatti, è come se dalla scrittura di Klune emanasse un costante senso di leggerezza e di gioia.

Con questo romanzo, Klune dimostra di saper padroneggia (e alla grande!) qualsiasi tecnica narrativa gli balzi in testa di usare. Una capacità che gli permette di intessere una storia briosa, divertente e ricca di verve… nonché di rafforzare la più grande illusione di chi legge: quella di trovarsi al cospetto di una storia dal taglio unico, irripetibile e originale.


Di scope robotiche, fate punk e stemmi misteriosi

Ah, ti ho colto di sorpresa, eh?

Ma vedi…

A questo punto, potrei pubblicare una recensione di “Nella Vita dei Burattini” completamente positiva. Limitarmi a ribadire che il libro mi ha divertito, la ship fra Vic e Hap mi ha intenerito, i battibecchi fra l’Infermiera e Rambo mi hanno fatto rotolare dalle risate.

Non equivarrebbe certo a mentire. In fondo, tutte queste cose sono vere. “Nella Vita dei Burattini” è un ottimo libro d’intrattenimento; buffo, tenero e pronto a fingere, fino allo stremo, di essere disposto a prendere sul serio anche tematiche dal taglio più maturo.

Eppure.

C’è qualcosa che mi impedisce di glissare sui suoi difetti.

Una vocina querula in fondo alla mia testa, che continua a gridare: «Sì, ma il worlbuiling? Ti sei accorta di quant’è generico? Come se Klune avesse trapiantato le sue ambientazioni e le sue creature direttamente dallo sfondo di un episodio di Futurama!».

Sì… In effetti, l’avevo notato.

Una “costruzione del mondo” che risulta anche piena di falle logiche. Tanto per fare un esempio, mi sto ancora chiedendo da dove diamine sia saltato fuori lo dello stemma del Gatto e della Volpe. Quale potrebbe essere, mi domando, il collegamento fra questi animali e un’Autorità composta interamente da forze meccaniche?

«E i personaggi secondari, tipo la Fata Turchina o il Cocchiere… Non ti sono sembrati tutti blandi, caricaturali e impunemente riciclati?».

Ah. Anche quello.

Sì, bè…

«E la prevedibilità della trama! Non farmi nemmeno cominciare a parlare di quanto banali e ripetitivi si siano dimostrati i capitoli dedicati alla quest, o di…»

Sì, sì, okay, benissimo: ho capito! Basta così.


Quando la “Found Family” non è proprio un trope: è più uno stile di vita…

“Nella Vita dei Burattini” mi è piaciuto, molto, ma non mi ha impressionato; non so fino a che punto questa affermazione possa avere un senso, ma tant’è…

Il punto è che, fra un anno o due credo proprio che avrò rimosso praticamente tutto di Vic e compagni. La trama è molto sfilacciata, e portata avanti con la metà della meticolosa premeditazione dimostrata dal plot di libri fantasy molto “light” del calibro di – che so? – “Legends and Lattes” di Travis Baldree.

Inoltre, troppi dettagli e informazioni sono stati omessi, perché riuscissi a immergermi completamente nel mondo della storia.

Per il momento, però, il libro di Klune è riuscito quantomeno nella “missione impossible” di stamparmi un gran sorriso sulle labbra. La rappresentazione dell’asessualità convince, l’arco narrativo di Vic funziona, il finale soddisfa…

Certo: se si fosse trattato di un remake di “Pinocchio” in live action messo in cantiere dalla Disney, al posto di un romanzo, la gente si starebbe già strappando i capelli in preda all’oltraggio.

(Strappando i capelli, o distruggendo i propri polpastrelli a furia di vomitare cattiverie sui social. Una delle due…).

La gente, di questi tempi, si oltraggia un po’ troppo facilmente, se vuoi sapere come la penso. E sempre per i motivi sbagliati.

Meno male, allora, che il mondo dei libri è una cosa a parte…

Godiamocela, finché dura.


Ti ricordo che, in italiano, “Nella Vita dei Burattini” sarà disponibile a partire dal 20 giugno 2023. Puoi già acquistare la tua copia su Amazon.


*Per un’altra storia d’amore queer fra un automa e un essere umano, sullo sfondo di un’intramontabile guerra contro le macchine, leggi anche la dilogia “Crier’s War” di Nina Varela.


E tu? Cosa ne pensi della mia recensione di “Nella Vita dei Burattini”?

Leggerai il nuovo libro di T. J. Klune? 🙂


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