Ti propongo oggi la recensione de “Le Trafficanti di Anime“, un thriller gotico ambientato in Francia, nel pieno del diciassettesimo secolo. La casa editrice Nord ha portato in libreria il libro dell’esordiente Carmella Lowkis il 27 agosto 2024.
La trama verte sul complicato legame fra due sorelle legate da un passato turbolento e dalle conseguenze di uno scandalo che nessuna delle due riesce a lasciarsi alle spalle. Messe alle strette dalle circostanze, si ritroveranno a indossare di nuovo i loro panni di medium/ciarlatane dell’occulto e a unire le forze per organizzare una pericolosa, ultima truffa ai danni di un’ingenua famiglia aristocratica.
Nelle intenzioni delle ragazze, dovrebbe trattarsi di un piano semplice e indolore. Eppure, l’entità con cui saranno chiamate a fare i conti potrebbe rivelarsi molto più reale e temibile del previsto…
La trama
Parigi, 1866. Quando la Baronessa Sylvie Devereux riceve la visita di Charlotte Mothe, la sorella che ha fatto di tutto per lasciarsi alle spalle, si impossessa di lei il terrore che il suo infame passato da medium e appassionata dell’occulto possa intervenire a compromettere la sua reputazione attuale.
Anche perché il nuovo marito di Sylvie, un blasonato e ricco avvocato che ha parecchi anni più di lei, difficilmente sarebbe disposto a tollerare una simile minaccia al proprio rango di di prestigio in seno all’alta società.
Ma Charlotte ha un padre gravemente ammalato a carico, e nessuna possibilità di pagare i conti. E così, Sylvie si lascia persuadere a ricadere nelle vecchie abitudini e ad aiutare la sorella minore a portare a compimento un’ultima truffa.
I loro bersagli sono i de Jacquinots: una famiglia aristocratica altamente disfunzionale, il cui capofamiglia insiste a proclamarsi perseguitato dal fantasma di una zia, brutalmente assassinata nel corso della Rivoluzione Francese.
Sylvie e Charlotte saranno costrette a ricorrere a tutto il loro vasto repertorio di trucchi per terrorizzare la famiglia e persuaderla a separarsi da un (bel) po’ del suo oro.
Tuttavia, nella decadente magione dei de Jacquinots potrebbe essere in atto qualcosa di davvero sinistro. Così, quando una serie di inesplicabili orrori prende ad abbattersi sulle due sorelle e sui loro incauti clienti, le ragazze saranno costrette a porsi la fatidica domanda: e se una forza sovrannaturale si fosse veramente scatenata sui de Jacquinot?
Ma un’entità di che tipo, poi? Lo spirito vendicativo di una contessa massacrata dai rivoluzionari?
O qualcosa di peggio… che finge soltanto di essere la prozia, mentre aspetta di portare avanti i suoi piani e si prepara a esigere il suo tributo di sangue?
“Le Trafficanti di Anime”: la recensione
“Le Trafficanti di Anime” è il titolo scelto dalla Nord per la traduzione (a cura di Claudine Turla) del romanzo gotico “Spitting Gold” di Carmella Lowkis.
Un esordio che ha riscosso un buon successo da parte della critica, dividendo invece il pubblico pressappoco a metà: coloro che hanno apprezzato le numerose somiglianze fra la storia delle sorelle Mothe e alcuni celebri capolavori di Sarah Waters (soprattutto “Ladra” e “Affinità), e quei lettori che, invece, non hanno potuto fare a meno di notare come un confronto troppo diretto fra le due autrici possa risolversi soltanto con una completa debacle da parte della Lowkis.
Anche se non me la sento di esprimere un giudizio troppo negativo (ci sono aspetti de “le Trafficanti di Anime” che ho sinceramente apprezzato), ammetto di propendere un po’ di più per questa seconda versione.
Non fraintendermi: il modello letterario è innegabile. Probabilmente questo aspetto rappresenta una buona parte del problema: mi è bastato ripensare un attimo al complesso intreccio di “Fingersmith” per immaginare quali avrebbero potuto essere i principali colpi di scena de “Le Trafficanti di Anime”, nonché per prevedere in quali punti del plot avrebbero fatto la loro comparsa e su che tipo di sviluppi avremmo potuto contare.
E il Kirkus Review ha ragione: il libro di Carmella Lowkis è davvero un coinvolgente «thriller romantico a sfondo sovrannaturale», scritto da un’autrice in grado di intessere un racconto ricco di stratificazioni e di inganni. Solo che i suoi personaggi, secondo me, non si rivelano neanche remotamente intriganti o sfumati abbastanza da reggere il gioco fino a fine partita.
Anche perché gli indizi sparpagliati nell’arco delle prime cento pagine ti permettono di smascherare i loro obiettivi e di percepire immediatamente il bluff nel tremolio nelle loro voci narranti…
Fiaba della Sorella Buona e della Sorella Cattiva
In compenso, ho amato alla follia l’accattivante parallelismo fra le storia delle sorelle Mothe e il regno delle fiabe. L’ambiguità del Rospo (personaggio chiave della favola tanto amata da Sylvie), il modo sottile ma tenace con cui l’autrice continua a giocare con questo leitmotiv simbolico per farci capire che non esiste una sola verità, che ogni storia può essere letta secondo (almeno) due differenti versioni e che chiunque cerchi di darci a intendere il contrario sta mentendo a noi o a se stesso…
E c’è da dire che anche l’inconsueta ambientazione – seppur non particolarmente attendibile, sotto un profilo strettamente a storico – contribuisce a impreziosire ulteriormente la narrazione.
Non fosse altro che perché non capita spesso di leggere di case infestate dagli spettri di una rivoluzione che, seppur nata per perseguire motivazioni sacrosante, alla fine si è ritrovata a spargere la stessa quantità di sangue dei propri aguzzini.
Ritratto di imbrogliona
All’interno de “La Trafficante di Anime” è presenta anche una storia d’amore, di connotati molto teneri e dolci. Mi sarebbe piaciuto che la Lowkis vi si soffermasse un po’ di più: soprattutto durante il terzo atto e poi nel finale… Vale a dire, quella parte del libro in cui ogni nodo comincia a venire al pettine – inclusi gli evidenti limiti insiti nella labile caratterizzazione dei personaggi – e tutti cominciano a comportarsi in modo un po’ squinternato.
Anche perché c’è un’azione che Sylvie compie, a un certo punto dello showdown finale. Ci ho riflettuto a lungo, e continuo a restare della mia idea: non ha il minimo senso. E’ un evento che si verifica così, senza conformarsi in alcun modo alla psicologia del personaggio.
Alla fine del rompicapo rappresentato dall’intreccio, la morale è questa, i tasselli del puzzle riescono a formare un quadro ben preciso. Non è una brutta immagine, di per sé. Solo che riesci a vedere i contorni ammaccati di un pezzo o due, ai margini dell’insieme, e tanto basta a spezzare l’illusione e a evidenziare tutti i punti in cui l’autrice è stata costretta a stiracchiare i suoi elementi, pur di incastrarli a formare il suo quadro finale nitido e pulito.
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E tu? Cosa ne pensi della mia recensione di “Le Trafficanti di Anime”?
Ami i thriller storici in stile Sarah Waters e Claire Evans? 🙂
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