“Hell Bent: Portale per l’Inferno”: la recensione del libro fantasy di Leigh Bardugo


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Breve introduzione alla mia recensione di “Hell Bent: Portale per l’Inferno”: più ci rifletto, e meno riesco ad avere un’idea chiara del perché, all’interno del mondo italico, così tanti lettori si siano proclamati delusi dalla lettura del secondo libro della serie “Alex Stern”.

Per quanto mi riguarda, il nuovo romanzo di Leigh Bardugo è fantastico, e di gran lunga uno dei miei migliori sequel che io abbia mai letto.

Un intreccio incalzante e un cast di personaggi incredibili offrono all’autrice l’occasione perfetta per replicare l’exploit rappresentato dal super-bestseller “La Nona Casa”.

La sua scrittura – una cifra stilistica ad anni luce di distanza dalla scorrevole frivolezza di “Tenebre e Ossa” – risulta incredibilmente ricca, sorprendentemente vivida, diabolicamente divertente.

Per farla breve?

“Hell Bent” è uno straordinario thriller sovrannaturale ad altissimo tasso di adrenalina, incentrato sul concetto di “demoni personali” e arricchito da una sfilza di dialoghi deliziosamente brillanti.

A perenne dimostrazione del fatto che l’estetica del dark academia non potrà mai essere, in realtà, nient’altro che questo: un insieme di dettami formali in grado di condizionare l’aspetto, il gusto e l’atmosfera di un’opera, ma non certo di influenzare la sua sostanza, la sua potenza o la profondità del suo contenuto.

Per stare in piedi, la struttura di un dark fantasy ha bisogno (anche) d’altro: colpi di scena, archi trasformativi, mitologia, worldbuilding…

Una serie di elementi in cui Leigh Bardugo eccelle, ormai, senza l’ombra di un problema.

Ed ecco spiegato perché il suo “Hell Bent” è riuscito a diventare, in breve, uno dei romanzi fantasy imprescindibili del 2023


La trama

Alex Stern sta cercando di prendere seriamente il suo nuovo ruolo di “Virgilio” all’interno dell’organizzazione conosciuta come “Lethe House”.

Ma la verità è che si sta ancora sforzando di rimettere insieme i pezzi della sua vita catastrofica, mentre, giorno dopo giorno, il senso di colpa per il destino di Darlington continua a divorarla dall’interno.

Alex ha giurato di tirare fuori dai guai il “ragazzo d’oro” di Yale a qualsiasi costo e, adesso, ha tutte le intenzioni di mantenere la sua promessa.

Anche se un giuramento del genere potrebbe richiedere più di un viaggetto improvvisato in un posto moooolto caldo. E anche se nessuno dei suoi superiori pare disposto a darle una mano.

Anzi: in realtà, i pezzi grossi della Lethe hanno espressamente proibito a lei e a Dawes di portare avanti il piano “riportiamo a casa Darlington dall’inferno”, pena l’espulsione immediata delle due ragazze dall’università.

Alex, però, non tiene particolarmente al protocollo. E ciò che pensa a proposito di regolamenti e autorità, bè… non è mai stato un mistero per nessuno.

L’unico problema è che, per trovare un portale per l’inferno, rubare un’anima dannata dal fuoco eterno e compiere il viaggio di ritorno, perfino un tipico lupo solitario del calibro di Alex potrebbe aver bisogno di una mano.

Dopotutto, per citare la battuta di un film che ho avuto di recente il piacere di vedere in sala, la verità è che “da soli, siamo tutti inutili”.

Perciò, per compiere la sua missione, Alex avrà bisogno di reclutare una squadra di improbabili alleati.

Il tutto, mentre cerca di venire a capo di una catena di brutali omicidi in atto a New Haeven; una serie di crimini perversi, che potrebbero coinvolgere direttamente l’esistenza delle decadenti Case Segrete di Yale



“Hell Bent – Portale per l’Inferno”: la recensione

Per liberarsi di una grave dipendenza e riprendere il controllo della propria vita, l’associazione degli Alcolisti Anonimi promuove un metodo scandito in 12 Passi.

Il Nono Passo, per chi non sapesse, prevede un bagno d’umiltà, la necessità di fare ammenda per tutti i danni arrecati in passato.

E trovo che, dal punto di vista di Alex, la missione al centro dell’intreccio di “Hell Bent” in fondo rappresenti un po’ questo: l’ultimo tentativo, disperato e tremendamente urgente, di porre riparo ai millemila errori della sua vita sregolata. Un percorso tortuoso, doloroso e pieno di insidie, che sembra promettere ricadute e una caterva di potenziali passi falsi a ogni bivio.

Riportare a casa Darlington. Proteggere le spalle di Dawes. Recuperare l’amicizia con Turner.

E fare i conti con un fantasma – il Fantasma, quello di una ragazza innocente e sventurata chiamata Hellie – che ha cambiato per sempre il corso della sua storia.

In realtà, credo che potrei dedicare l’intera recensione di “Hell Bent: Portale per l’Inferno” a una dettagliata analisi dell’arco trasformativo di Alex, e non rischiare di rimanere mai a corto di materiale.

In questa nuova avventura, infatti, la straordinaria antieroina della Bardugo dispiega tutto il suo potenziale. Nel farlo, riesce a instillare nei nostri cuori tutta la speranza, la tensione e l’orrore di un vorticoso viaggio nei più sordidi rioni infernali.

Ché i diavoli peggiori, si sa, sono quelli che abitano dentro la nostra testa.

Quelli che ci sussurrano dolcemente dall’altro lato di un varco, pronti ad approfittare della prima occasione buona per spalancare la porta segreta della nostra (in-)coscienza ed essere invitati a entrare…


«I have been crying out to you from the start

In “Hell Bent”, secondo alcuni lettori, l’autrice si smarrisce nei meandri di un intreccio eccessivamente denso e ricco di sottotrame.

Confesso che non potrei essere più in disaccordo di così: a mio avviso, e forse per la prima volta nell’arco della sua carriera, mi è sembrato invece che la Bardugo riuscisse a padroneggiare perfettamente ogni arco narrativo, ogni complessa linea temporale.

Permettendo, peraltro, a ogni singolo tassello narrativo di assumere una funzione organicamente necessaria allo sviluppo della trama principale.

La mitologia ha cominciato a evolversi in una direzione inattesa, questo è innegabile.

Ma “imprevedibile” e “sorprendente” non devono per forza rivestire accezioni negative, sei d’accordo?

In effetti, se c’è una cosa che mi sento di contestare – oggi, così come ai tempi della mia recensione de “La Nona Casa” – è che Darlington continua a restare un personaggio parecchio al di sotto della soglia d’attenzione minima.

Colpa dell’elemento fan service, che lo prevede in uno stato di nudità semi-perpetua, con i luccicanti e abnormi genitali in bella vista e gli addominali scolpiti perennemente in primo piano?

Forse.

Il fatto è che Leigh Bardugo ha le idee piuttosto chiare, per quanto riguarda le aspettative del suo fandom.

Il fatto che non abbia intenzione di deluderle, di per sé, mi sembra quanto di più lontano possibile da un difetto. Mi sarebbe soltanto piaciuto che si astenesse dall’esagerare in alcuni punti, perché ammetto che, a tratti, è stato davvero difficile trattenere una risatina a spese di Darlington


Lo stigma del ragazzo-copertina

C’è una scena, in particolare, che mi ha fatto sogghignare e alzare gli occhi al cielo. Senza scendere nel dettaglio, mi limiterò a dire che ritrae Darlington in posizione Hugh Hefner, con tanto di vestaglia aperta sul petto, bicchiere in mano e caminetto scoppiettante sullo sfondo del suo lussuoso studio privato.

Non che il povero ragazzo rappresenti un personaggio ridicolo, di per sé. Anzi. In realtà, ho amato i suoi conflitti, la sua caratterizzazione, il suo disperato inseguimento di un significato più grande.

Quanto può risultare facile immedesimarsi, dopotutto, nel suo desiderio smodato di confidare nel sense of wonder, nell’innocenza della magia, nel potere salvifico dell’immaginazione?

La sua stessa relazione con Alex si presenta, al tempo stesso, come una faccenda complessa, ammaliante, contradditoria e piena di spine.

Ma riesco a provare nei confronti di Darlington lo stesso livello di interesse, fascinazione ed empatia che, in questo libro, mi hanno ispirato comprimari del calibro di Turner, Trip, Mercy o Dawes?

Assolutamente no.

C’è da dire che, magari, se Darlington fosse riuscito a tenersi i pantaloni addosso per più di cinque pagine di fila, le cose sarebbero potute andare diversamente…


L’inferno dentro

Al momento (e, bada, questa sarà probabilmente una delle pochissime recensioni di “Hell Bent: Portale per l’Inferno” ad avvalorare una tesi del genere…), Alex rappresenta l’unica e autentica star della serie.

Al diavolo le ship romantiche, le beghe intellettuali, il dogma classico e le Nove Case, con tutti i loro trucchetti da ragazzini viziati!

L’unica cosa che conta, in “Hell Bent”, è l’inferno che scorre nelle vene di Alex Stern.

Insieme ad Alex, infatti, ho pianto e ho riso; mi sono spezzata, sono scesa in una buia anticamera del mio passato e ho versato lacrime amare sulle spoglie di ogni creatura innocente che non sono riuscita a salvare.

Compresa me stessa, si capisce.

Ho fatto i conti con la mia oscurità, con la mia assenza di luce; con la mia fame, la mia paura e le mie ossessioni.

E poi, insieme a lei, mi sono rialzata e ho cercato un’altra speranza, qualcosa di nuovo per cui essere forte, per ricominciare lottare.

Voglio dire…

Se non è catarsi questa, io davvero non saprei come altro chiamarla…


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*Un’altra nota autrice di YA che ha recentemente intrapreso il “salto di campo”, firmando un dark fantasy per adulti conturbante e ricco di sensualità, è Holly Black. Vuoi scoprire come se l’è cavata? Leggi la mia recensione de “Il Libro della Notte“!


E tu? Cosa pensi della mia recensione di “Hell Bent: Portale per l’Inferno”?

Hai già letto il sequel de “La Nona Casa”? Qual è il tuo libro preferito di Leigh Bardugo? 🙂


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