Come iniziare la recensione del film “The Pale Blue Eyes: I Delitti di West Point”, senza permettere alla delusione di infiltrarsi nelle mie parole, condizionando il resto dell’articolo?
Ammetto che non sarà un’impresa facile. Nel senso che la pellicola targata Netflix mi è sembrata talmente “sbiadita”, posticcia e insapore, da farmi sospettare che le mie impressioni personali potrebbero tranquillamente essere riepilogate in un semplice: «Meh!».
In effetti, il mistery storico di Scott Cooper – basato su un romanzo di Louis Bayard, senz’altro una delle uscite thriller più attese di gennaio – può contare su una piacevole estetica gotico-americana e su una coppia di anticonvenzionali detective protagonisti.
Ma non posso negarlo: la gravità delle atmosfere mi ha stordito come una trave in testa e la trama, dal canto suo, non è riuscita a sorprendermi neanche per un minuto.
Il secondo atto, in modo particolare, mi è sembrato un coacervo di banalità senza capo né coda. Anche perché il mistero della morte dei cadetti di West Point non è destinato a intrigare assolutamente nessuno.
Come se non bastasse, la tremenda banalità del finale (una soluzione narrativa decisamente sciatta, già vista e stra-vista in decine di occasioni) mi ha lasciato con uno sgradevole senso di amaro in bocca…
La trama
È il 1831, e il corpo senza vita di un cadetto dell’accademia militare di West Point è appena stato trovato appeso a un albero.
Gli indizi sembrerebbero puntare verso un caso di suicidio. Sennonché, ore dopo il ritrovamento, uno sconosciuto si introduce in obitorio e sottrae il cuore del soldato morto.
Per difendere la scuola da un potenziale scandalo, il comandante dell’accademia manda a chiamare Augustus Landor (Christian Bale) un investigatore veterano ormai in pensione. Malgrado i suoi problemi famigliari e una spiccata propensione per il vizio del bere, Landor accetta di occuparsi del caso.
Durante le indagini, il nostro eroe si imbatte in un eccentrico e brillante cadetto con il pallino per la poesia. Il nome del giovane è Edgar Allan Poe (Harry Melling), e il loro incontro segnerà l’inizio di un sodalizio destinato a svelare le oscure trame che circondano la vita dell’accademia…
“The Pale Blue Eyes: I Delitti di West Pont”: la recensione del film
Christian Bale è un ottimo attore. Lo sappiamo tutti: alzi la mano l’appassionato di cinema che non si è ritrovato, almeno una volta, ad ammirare a occhi sgranati il suo straordinario trasformismo e la sua magnetica presenza scenica.
Eppure, in “The Pale Blue Eyes: I Delitti di West Pont”, perfino l’incredibile talento dell’attore britannico viene imbrigliato e costretto al servizio di una sceneggiatura che ce la mette davvero tutta per risultare ombrosa, fosca e tormentata. Senza accorgersi (o curarsi) della scia di tedio e prevedibilità imbarazzante che si sta invece lasciando alle spalle.
Così, si limita a enunciare le parole lentamente, il Landor di Christian Bale; nello sforzo evidente di caricare una serie di dialoghi che di misterioso, o inaspettato, in realtà hanno ben poco.
E che dire di Edgar Allan Poe, il personaggio-chiave, quello che sta alla base dello stesso high concept del film?
L’autore de “Il Cuore Rivelatore” e “Il Corvo”, trasformatosi per l’occasione in brillante detective dall’indole gentile.
E che colpo al cuore, la sua caratterizzazione! Un ragazzo esile e pallido, tormentato dai bulli, che arriva piano piano a incarnare la quintessenza del Giovanotto-Timido-Ma-Adorabile.
Il genere di dolce e simpatico fanciullo che ti piacerebbe veder convolare a nozze con la tua cugina preferita, per intenderci; nulla a che spartire con il poeta maledetto entrato a far parte del mito, o con l’uomo perseguitato dai disagi psicologici – e dalla terribile infelicità esistenziale – che la storia ci ha tramandato…
Una sinistra famiglia, in una sinistra magione
L’arco narrativo di Poe va a intrecciarsi – assieme a buona parte del resto del plot – al destino di una singola famiglia, i Marquis.
In un certo senso, si potrebbe dedicare l’intera recensione di “The Pale Blue Eyes” al ritratto di questa dinastia. È quello che sembra augurarsi lo stesso sceneggiatore/regista, in fondo: che lo spettatore concentri l’attenzione sul subplot gotico del film, lasciandosi ammaliare dagli sporadici riferimenti a cacciatori di streghe settecenteschi e antichi grimori di arti occulte.
Un po’ di sano fumo negli occhi, per impedire a chi guarda di recepire la povertà delle idee e la scarsissima consistenza dei personaggi. Peccato che, in ultima analisi, nessuno dei Marquis si riveli in grado di giustificare tanta attenzione: le loro personalità, un mero (e pallido) riflesso dell’immaginario e delle ossessioni tipiche dell’ epoca.
Aggiungerei che non assistevo a un simile spreco del talento di Gillian Anderson da tempo immemore.
L’unica scena in grado di suscitare un qualche tipo di emozione? Quella in cui Poe si siede a recitare gli evocativi versi di “Lenore”, indirizzandoli direttamente alla donna che li ha ispirati.
Now you see it…
Perciò, cosa salverei di “The Pale Blue Eyes: I Delitti di West Pont”?
Giusto un paio di spunti, dal punto di vista della costruzione della sceneggiatura; probabilmente un mucchio di cose, da una prospettiva meramente visiva.
Se sei interessato all’estetica del periodo – un’ambientazione “lurida” e tetra, a metà strada fra western ed età vittoriana – il film di Cooper ti offrirà parecchio “materiale” su cui riflettere.
Ma come mistery, o come semplice prodotto d’intrattenimento, onestamente la pellicola vale poco e niente. Anche perché la soluzione è lì, sotto gli occhi di tutti; per vederla, basta avere la tempra necessaria a resistere agli sbadigli suscitati dalla lentissima progressione della storia.
Non che sia un compito semplice. Mai avrei creduto di poter rimpiangere l’innocuo divertissement rappresentato da un film come “The Raven” di James McTeigue…
Eppure.
* Per un altro mistery gotico ottocentesco, leggi l’elettrizzante “Le tombe di Whitechapel” di Claire Evans.
E tu?
Che cosa ne pensi della mia recensione di ““The Pale Blue Eyes: I Delitti di West Point”? 🙂
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