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“You’re Dead To Me”: la recensione del libro YA di Amy Christine Parker


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You’re Dead to Me“, dell’autrice veterana Amy Christine Parker, è un thriller YA che appoggia la maggior parte del peso della sua struttura su due tecniche principali: il cliché e l’effetto jumpscares.

Il risultato è un romanzo dal taglio, a mio avviso, piuttosto mediocre. Soprattutto dal momento che i personaggi si rivelano tragicamente unidimensionali e l’intreccio, pur nel suo vago retrogusto cinematografico, commette l’errore di concedere al lettore un’eccessiva quantità di indizi prematuri, svelando la propria mano troppo presto e compromettendo la riuscita dei principali colpi di scena.

Se hai meno di quattordici anni, i numerosi cliffhanger e twists sparpagliati per tutta la trama potrebbero anche riuscire a prenderti per la gola. In caso contrario… Che ne diresti di un bel rewatch compulsivo di “Gossip Girl“, piuttosto? ;D


La trama

Ruby frequenta la prestigiosa Oleander High School, un’accademia a cui ha avuto accesso grazie a una borsa di studio. In realtà, la sua mamma single annega in un mare di guai finanziari a causa delle conseguenze di un matrimonio sbagliato e della fallimentare attività di famiglia, un parco acquatico/zoo sull’orlo della chiusura.

La maggior parte degli studenti tratta Ruby con condiscendenza a causa delle sue origini. Questo, ovviamente, la indispone profondamente; soprattutto dal momento che l’elite cittadina sembra sempre pronta ad approfittarsi di chiunque si trovi in una posizione più debole per continuare a rimpinguarsi il portafogli.

Ruby attua la sua vendetta attraverso il famoso account locale di gossip, ReputationKiller. Ma quando salta fuori che è lei la responsabile della “caduta” di diversi nomi prominenti in città, l’intera comunità si rivolta contro di lei.

Tuttavia, soltanto nel momento in cui una terrificante visione del suo suo stesso fantasma, avvolto in un abito da ballo impregnato di sangue, si manifesta davanti ai suoi occhi, Ruby inizia a capire fino a che punto la sua situazione personale stia diventando drammatica.

Perché più di una persona ha giurato vendetta contro di lei. E Oleander Bay non è affatto quella pittoresca, tranquilla cittadina da cartolina che si sforza di sembrare.

Qualcuno ha deciso di uccidere Ruby. E, con così tanti segreti, scandali e colpi di scena in ballo, il suo aspirante assassino potrebbe essere, letteralmente… chiunque.


You’re Dead to Me“: la recensione

Fra le (poche) cose che mi sono piaciute di “You’re Dead to Me“, non posso fare a meno di citare la sua torrida, assolata ambientazione: dopotutto, non ho letto tantissimi thriller per ragazzi ambientati nelle Everglades, il caratteristico ecosistema umido e paludoso della Florida.

Coccodrilli e acquitrini giocano un ruolo di primo piano all’interno del romanzo di Amy Christine Parker. E intendo questo da un punto di vista letterale, quanto simbolico, dal momento che l’intreccio pullula di alligatori in giacca, Rolex e cravatta e di pantani traboccanti di menzogne!

Se ti piacciono le storie plot-driven, sospetto che potresti apprezzare anche l’inenarrabile concentrazione di colpi di scena e la catena di morti a casaccio, in perfetto stile slasher, che l’autrice collega all’improbabile subplot di un serial killer mascherato a spasso per la città.

Per quanto mi riguarda, ho avuto la netta impressione che l’autrice stesse cercando di mettere sul fuoco più carne di quanta fosse in grado di masticarne – fra oscuri segreti famigliari, turpi apparizioni di ragazze dai capelli gocciolanti e cloni imbranati di Ghostface – e che la narrazione mancasse drammaticamente di focus.

Probabilmente perché la protagonista di “You’re Dead to Me” è una delle eroine YA più anonime e deludenti di cui abbia letto ultimamente. Non c’è davvero modo di coinvolgere il lettore negli sviluppi del suo “viaggio interiore”; quando la sua caratterizzazione si basa, essenzialmente, su un grappolo di stereotipi presi in prestito da questo o quell’altro trascurabile personaggio televisivo…

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“Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute”: la recensione del libro di Grady Hendrix


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La mia recensione di “Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute”, romanzo horror di Grady Hendrix, si basa, in realtà, sull’edizione originale in lingua inglese dell’opera (“The Final Girl Support Group”).

Ero molto curiosa di leggere questo libro, essenzialmente per due motivi:

  1. nel 2016, Grady Hendrix aveva già firmato uno dei miei libri horror preferiti del secolo, alias l’irriverente e divertentissimo “L’Esorcismo della Mia Migliore Amica”);
  2. ho sempre pensato che le “final girls” fossero l’unica cosa buona e bella di ogni singolo slasher mai girato.

Complice l’altissimo livello di gradimento riscosso da “Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute” presso i lettori americani, nutrivo delle aspettative piuttosto alte nei confronti di questo titolo.

Una fiducia che è stata ripagata, alla fine, da un secondo e da un terzo atto ricchi d’azione, personaggi surreali e momenti di genuina commozione.

Ma anche smentita, in parte, da una parata di capitoli iniziali (le prime cinquanta, sessanta pagine o giù di lì…) caotici e abbastanza dissonanti da spingermi a prendere in considerazione, per un momento, l’idea di mollare la lettura…


La trama

Lynnette Tarkington è una final girl in carne e ossa: l’unica sopravvissuta a un orribile massacro, avvenuto per mano di un pazzo mascherato da Babbo Natale quando Lynne era soltanto una liceale.

Per sedici anni, la nostra eroina ha continuato a incontrarsi con altre cinque final girls nello scantinato fatiscente di una Chiesa, per cercare il sostegno di una terapeuta specializzata nell’assistenza alle vittime di crimini violenti.

Un gruppo di supporto per donne e ragazze sfuggite all’impensabile, insomma, pronte a rimettere insieme i pezzi delle loro vite. O, quantomeno, a provarci.

Un brutto giorno, però, una delle ragazze del gruppo – Adrianne, la più attiva, la più generosa fra loro – salta un appuntamento, e la peggiore paura di Lynette inizia a manifestarsi: qualcuno è venuto a sapere dei loro incontri, e ha deciso di approfittarne.

Un altro mostro – l’ennesimo di una lunga serie – che si prepara a prendersi una rivincita sulle ultime donne ancora in piedi.

Ma la cosa più importante da sapere, quando si parla di final girls, le sopravvissute per eccellenza?

Non importa quanto le possibilità possano essere contro di loro. Non conta neanche quanto oscura sia la notte, o affilato il coltello: una final girl non si arrende.

Mai e poi mai.



“Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute”: la recensione

Il romanzo di Grady Hendrix gode di un riconoscibilissimo e scoppiettante impianto cinematografico.

Infatti, come “Scream”, come la sottovalutata commedia “Final Girls” di Todd Strauss-Schulson, riesce a sfruttare appieno il concetto di “metacinema” e a trarre parte della propria forza dagli innumerevoli tropes tipici dei principali slasher in voga negli anni Settanta/Ottanta/Novanta.

La struttura del romanzo è infarcita di colpi di scena e dialoghi serratissimi. Una caratteristica che mi spinge a pensare che, dovesse mai un produttore hollywodiano decidere di investire sull’adattamento cinematografico di “Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute”, probabilmente ci troveremmo alle prese con un film infinitamente superiore al mediocre “My Best Friend’s Exorcism” diretto da Damon Thomas.

Qualsiasi amante dei B-movie in salsa horror troverà divertenti i centomila richiami ai più grandi successi del filone “exploitation”: da “Halloween” a “Non Aprite Quella Porta”, passando per “Venerdì 13” e “Le Colline Hanno gli Occhi”.

Del resto, gli stessi titoli dei capitoli rappresentano una complice strizzata d’occhi – e, al tempo stesso, una consapevole fonte di sbeffeggiamento – nei confronti di questi film così estremi, violenti e infarciti di punti problematici.


La mitologia del mostro

Punti problematici con i quali Hendrix, per fortuna, non ha alcuna paura di confrontarsi.

Se c’è una cosa che mi piacerebbe farti capire, attraverso questa recensione di “Gruppo Sostegno per Ragazze Sopravvissute”, è che la trama narra la storia di Lynette e delle sue amiche; NON dei mostri infami, brutali e disturbati che hanno sfregiato le loro vite.

Una categoria di soggetti, quella degli assassini, fin troppo esaltata – diciamocelo – da altri media affamati di visualizzazioni.

Sfatando il mito dell’assassino carismatico, affascinante e/o dotato di una complessa vita interiore (un luogo comune che fa imbestialire, e che pure accumuna quasi tutti i thriller incentrati sull’attività di un serial killer, da “Il Silenzio degli Innocenti” a “Saw”…), Grady riesce quindi a ribaltare la prospettiva e a concentrare le sue energie sulla componente più vitale e psicologicamente interessante dell’equazione: le sopravvissute stesse.

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