
In rete sono già apparse parecchie recensioni di Echo Valley.
Ho avuto l’impressione che la maggior parte di quelle disponibili nella nostra lingua fossero negative; oltreoceano, la stampa specializzata si è dimostrata forse un filo più generosa, disposta a riconoscere i grandi meriti delle due attrici protagoniste del film, se non quelli della produzione e della direzione artistica.
Per quanto mi riguarda, devo ammettere di essere rimasta piuttosto delusa dalla pellicola di Michael Pearce. Se c’è un difetto di Echo Valley sul quale non si può sorvolare, infatti, è proprio la sceneggiatura, vale a dire quell’elemento cruciale che, solitamente, rappresenta la parte che più mi affascina in ogni progetto cinematografico.
Voglio dire, Julianne Moore e Sydney Sweeney sono straordinarie in questo thriller che pone il travagliato legame madre-figlia al centro di ogni cosa! Ma perfino l’estro creativo di due interpreti eccezionali è destinato ad arrivare soltanto fino a un certo punto, quando il plot insiste a concentrarsi sui dettagli sbagliati, perdendosi in una selva nera di tropes affastellati senza criterio…
Di cosa parla Echo Valley?
Dopo aver perso la moglie a causa di un tragico incidente, l’allevatrice di cavalli Kate (Julianne Moore) vive da sola e stenta a mandare avanti l’azienda con le sue sole forze.
L’unica luce rimasta nella sua vita è rappresentata dalla figlia, la problematica Claire (Sydney Sweeney). Ma si tratta di una luce oscura: la ragazza, infatti, è rimasta invischiata in una burrascosa relazione sentimentale con Ryan (Edmund Donovan), un deliquente di bassa tacca, e ha già cominciato a manifestare segnali di dipendenza.
Come se non bastasse, sembra che Ryan e Claire abbiano fatto un pericoloso sgarro a Jackie (Domhnall Gleeson), un potente spacciatore locale, e l’uomo non fa mistero dei suoi propositi di vendetta.
Kate, però, farebbe qualsiasi per il bene della sua bambina. Letteralmente.
Perfino se questo significasse arrivare a occultare le prove di un crimine orrendo, o uscire nel cuore della notte per seppellire un cadavere insanguinato nel folto degli alberi…
La recensione di Echo Valley
Cuore di mamma
Sia messo agli atti: Echo Valley non è un film terribile. Non è neanche brutto, e i suoi colpi di scena, per quanto vagamente assurdi, in un certo senso riescono a intrattenere lo spettatore. Cioè, se l’obiettivo è semplicemente quello di trascorrere una serata rilassante in compagnia di un tipico thriller estivo, ti assicuro che tu e il tuo telecomando potreste fare scelte peggiori!
Il primo atto, in modo particolare, fila quasi liscio come l’olio. Quasi. È difficile tracciare un confine netto, perché Julianne Moore domina la scena, come in qualsiasi progetto porti il suo nome (lo sa bene chi ha avuto modo di vedere, su Netflix, la recente e brillante miniserie Sirens). E Sydney Sweeney, nel ruolo della sua biondissima e dispotica figlia, è semplicemente magnetica.
Nutro un’ammirazione profonda nei confronti di entrambe queste attrici e confesso che il puro piacere di vederle recitare insieme— per immergersi in una dinamica così viscerale e sfumata, poi!—potrebbe aver leggermente offuscato la mia capacità di giudizio.
Non a caso, la mia soglia di attenzione ha iniziato a dare segni di cedimento nel momento preciso in cui Sydney – che fra l’altro è stata protagonista di uno dei miei horror religiosi preferiti degli ultimi anni, Immaculate: La prescelta – è uscita (temporaneamente) di scena.
Una visione fumosa
A essere sinceri, però, credo che quella sia stata solo la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Come ti anticipavo poco fa, Echo Valley presenta dei seri problemi a livello di scrittura. Questi difetti emergono chiaramente nella seconda metà del secondo atto perché… beh, è proprio la fase di ogni storia in cui, se hai commesso degli errori importanti in precedenza, se non hai saputo disseminare bene tutte le tue piccole briciole di pane, ogni nodo narrativo finisce inevitabilmente per arrivare al pettine!
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