“Rose in Chains”: la recensione del (raccapricciante) dark romantasy di Julie Soto


rose in chains recensione - julie soto

Se hai adorato il libro di Julie Soto e cerchi soltanto un’altra recensione entusiasta di Rose in Chains, ascolta il mio consiglio sincero: salta questo articolo e passa direttamente al prossimo post, perché ciò che sto per scrivere potrebbe non piacerti!

Dopotutto, le opinioni e i gusti personali di ciascuno di noi sono indiscutibili e, soprattutto, non negoziabili. Se ritieni che Rose in Chains sia un romanzo straordinario, non sarò certo io a cercare di convincerti del contrario. Anzi, se ti sei divertita a leggerlo, se ti sei affezionata ai personaggi e hai fatto il tifo per loro, per me è una grande consolazione: almeno, così, saprò che qualcuno nel mondo ci è effettivamente riuscito, e questa fanfiction non è soltanto l’ennesima dimostrazione del fatto che algoritmi e marketing, ormai, hanno preso completamente il sopravvento su qualsiasi considerazione di ordine creativo.

Perché l’unico effetto a lungo termine che la lettura di questo romantasy ha lasciato a me, è un fastidioso senso di disagio sotto la pelle, accompagnato da un forte desiderio di tornare in terapia dalla psicologa…


La trama

La guerra è terminata, le forze oscure hanno prevalso e l’eroe destinato a salvarli è caduto.

Catturata durante l’invasione del suo castello, il mondo di Briony Rosewood è cambiato per sempre. Il male ha trionfato e il suo popolo ora rischia schiavitù sessuale, prigionia e/o morte.

Privata della sua magia e della sua libertà, Briony e gli altri sopravvissuti vengono rapidamente messi all’asta e venduti ai migliori offerenti. In quanto principessa di Evermore, Briony è senz’altro una delle prigioniere più ambite. Dopo una spietata guerra di offerte, viene venduta a Toven Hearst, erede di una famiglia famosa per la sua crudeltà.

Eppure, nonostante gli orrori di questo nuovo mondo e il difficile ruolo che è chiamata a ricoprire, non tutto è perduto. Aiuto e speranza, a quanto sembra, possono ancora emergere dai luoghi più inaspettati…

Rose in Chains: la recensione del libro di Julie Soto

Mi sarò persa qualcosa?

J. K. Rowling sarà pure diventata una figura controversa, ma nemmeno lei merita questa violazione sistematica e gratuita del suo immaginario.

Voglio dire, avrò letto decine di retelling dark di fiabe classiche e opere della letteratura per l’infanzia, ma nessuno di loro è mai riuscito a turbarmi altrettanto profondamente. (Probabilmente perché nessuno dei loro autori ha mai cercato di spacciare una premessa distopica e uno sviluppo da libro horror per una storia d’amore!).

Qualcuno mi farà notare, forse, che sembro prendere la questione troppo seriamente.

Eppure, vorrei davvero che tu capissi quanto sto cercando di trasmetterti: la verità è che faccio seriamente fatica ad accettare il fatto che una ragazza possa leggere per divertimento un fantasy in cui il sistema patriarcale del Regno dei Buoni viene presentato sotto una luce positiva perché l’unica alternativa che sembra concepibile ai personaggi è ancora più mostruosa (vale a dire, un sistema che promuove attivamente lo stupro collettivo e ritualizzato di qualsiasi donna invisa al capo di Stato) e in cui ogni singola ragazzina che compare nella storia, a parte la protagonista, viene ripetutamente violentata e ingravidata off-screen dai cattivi.


Una questione di… aspettative?

Non so tu, ma non ho mai letto HP nella speranza che Luna si trasformasse improvvisamente nella schiava sessuale di uno dei ministri anziani, o che Hermione si fidanzasse con Draco per dare alla luce un erede maschio in grado di scalzare Harry Potter dal podio dei favoriti di Silente. Non corrisponde proprio alla mia idea di “passatempo divertente scacciapensieri”.

Capisco anche il punto di vista di chi dice che vale la pena affrontare temi pesanti e presentarli al pubblico dei giovanissimi, in modo tale che abbiano la possibilità di farsi rapidamente un’idea di quali sono i grandi mali che affliggono il nostro sistema culturale e combatterli.

Ma non mi pare proprio che sia il caso di questo libro.

Perché un conto è leggere Il Racconto dell’Ancella, per avere la possibilità di infuriarsi o ribellarsi insieme alla sua protagonista, e vivere la profonda catarsi che può nascere soltanto dalla sua lenta presa di coscienza dei mille soprusi di un sistema ingiusto e opprimente.

E un conto è leggere le 581 pagine di Rose in Chains, con Briony che si innamora perdutamente dell’uomo freddo e scostante che l’ha acquistata e trascorre le sue giornate a rievocare il pom**no che è riuscita a fargli soltanto in sogno…


Conturbante e oscuro“, o… “abbozzato e puerile“?

Perfino eliminando completamente il fattore shock dall’equazione, mi scopro totalmente spiazzata dalla capacità di questo libro di ammaliare un pubblico così vasto.

Non mi riferisco soltanto al livello di scrittura amatoriale o all’assenza di una struttura narrativa coerente (mancano persino un climax o un vero e proprio terzo atto). Non parlo nemmeno del fatto che i personaggi siano semplici caricature dei vari Hermione, Draco, Harry e altri, né della consapevolezza che il libro di Julie Soto non è in grado di offrire al lettore nemmeno una singola invenzione narrativa originale.

Mi riferisco al fatto che Rose in Chains è un polpettone di una noia mortale!

Più pesante di una lezione di storia del liceo, con tutti quegli infodump che volano da tutte le parti, e più ripetitivo di una litania cattolica borbottata a fior di labbra nel ventre buio di una chiesa.

Briony, poi, è la quintessenza della passività. Toven sembra un pivello incompetente e costipato. E la Soto descrive la loro relazione con tutto il calore e il vigore espressivo di ChatGP, pensando che bastino due riferimenti al pendaglio di Toven e quattro parolacce in stile Cinquanta Sfumature di Grigio a risvegliare i sensi di chi legge…


Una lezione impagabile

Non amo il dark romantasy. A questo punto, probabilmente, l’avrai intuito: lo trovo un’ottima ricetta per la nausea, e una vaga sensazione di sconforto esistenziale destinata a prolungarsi da una a quattro settimane.

Ho deciso comunque di leggere Rose in Chains, a mio rischio e pericolo, perché lavorare nel mondo dell’editoria significa imparare ad accettare e rispettare i gusti del pubblico, anche quando non coincidono con i tuoi. E non puoi muoverti in questo ambiente, senza sapere sempre esattamente di cosa stanno parlando i lettori e per quale genere di tropes e personaggi batte loro forte il cuore…

Perciò, non mi pento di aver letto il romanzo di Julie Soto. Credo perfino di aver imparato un’importante lezione professionale o due, grazie alla lettura di questa (logorroica) fanfiction a tema HP.

Se hai esigenze simili alle mie – o stravedi davvero un mondo per la famosa ship “Dramione” – ti ricordo che puoi acquistare la tua copia in lingua italiana di di Rose in Chains su Amazon.

A tutti gli altri, invece, consiglio di…

Uscire immediatamente dall’echo chamber del BookTok e andare a leggere un libro migliore, ovviamente! LOL


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